Le fotografie di Bryan Adams hanno una potenza comunicativa fortissima. Non si può parlare di lui senza coinvolgere la sua natura creativa di musicista e fare qualche accostamento tra le due arti. Se la sua voce graffiante e piena trova altitudini abissali tra contenuti poetici e facilità di fruizione, così la sua produzione fotografica incontra un livello di lettura immediato eppure alto: altissimo.
Il canadese ha ritratto molti artisti, e ogni volta trova in essi un particolare legato alla loro produzione o alla loro anima che esalta riverberandolo come in una casa di specchi: potenziandolo anziché frammentandolo. È il caso dei Rammstein, che se nella vita lavorano a musiche industrial, metal, post punk e ruvide, nei riquadri del 2014 appaiono eleganti, misteriosi, lirici. Mantengono la loro potenza musicale evocativa – silenziata ma non depotenziata – che viene utilizzata come un’eco amplificatore: vengono raccontati con scatti che ne esaltano la forza collettiva, mentre trasportano un divano come facevano le tribù eschimesi degli Inuit quando alzavano le canoe per spostarle da un lago all’altro: insieme, uniti: la bellezza che risiede nella forza comune. I sei membri del gruppo sono per lo più coinvolti fotograficamente nella loro comunione o addirittura nell’assenza: tutti o niente.
La modella berlinese Nadia Auermann esalta in Adams la fotografia colta, quella che conosce e abbraccia la regola dei terzi (i tre terzi che dividono verticalmente lo spazio interno allo scatto), che rende le atmosfere ancora più potenti e scenografiche, portando la tedesca là dove forse trovano sito i desideri di collocazione dei fruitori cinematografici: eccola potente padrona di una qualche pantomima sadomaso o maestra di seduzione in abiti che sono al contempo provocatori e raffinatissimi: l’eleganza sembra essere una costante indiscutibile, automatica, nel lavoro di Adams.
Sappiamo naturalmente che l’automatismo non è mai forza casuale ma costruzione elaborata e impegnativa. Il bianco e nero sembra essere una scelta consapevole piuttosto che un’improvvisata armonia. Nadia Auermann viene vestita e denudata con una sensibilità che conferma la potenza formale dell’autore: il canadese non indugia mai nella volgarità, che pure potrebbe essere – per contrasto – una visione interessante della modella stessa; la racconta mentre si concentra nell’esercizio fisico fino ad annullarsi o con elementi usuali di bellezza che la cingono però come catene: i gioielli le imprigionano il volto e ne svelano la selvaggia bellezza
Si potrebbe parlare senza mai annoiarsi dei singoli scatti del canadese, ma sarebbero troppi: Adams ha raccolto in un sito moltissime delle sue intuizioni realizzate nella sua lunga marcia di fotografo, prediligendo anche soggetti lontani dallo show business – che sembra piacergli più per frequentazione naturale piuttosto che per uno snobismo che non gli appartiene. Forse per il fatto che fin da piccolo è stato costretto a spostarsi spesso con la famiglia per via della carriera diplomatica del padre, egli si trova bene nelle zone di mezzo: nelle camere d’albergo, nei luoghi impersonali, negli studios. Nel caso dell’attore Ben Kingsley è proprio uno dei mezzi finali, il televisore, a incastonare l’attore, forse ricordando gli inizi della sua carriera, quando i televisori erano analogici e l’artigianalità dei mestieri poteva raggiungere livelli dimenticati, altissimi.
Altrove, sempre in posizione centrale, dominante come una cattedrale, l’attore ci guarda come dietro una maschera, con i suoi occhi che sono demonici e sembrano congiungere il mondo degli dei alla terra degli uomini. Dove risiede la vera natura dell’attore? Dietro la mimica teatrale? Nell’interstizio impossibile tra scatto e sviluppo meccanico ideale? Credo piuttosto che essa venga evidenziata dallo sguardo sepolcrale del britannico, che proietta sul proprio volto il dipinto del clown sopraffino che gioca ai rimandi con drammaticità. Ovunque nei lavori di Bryan Adams la proporzione dei terzi sembra vincere su quella delle porzioni auree dando un connotato cinematografico prima che modaiolo e potenziando il personaggio raffigurato attraverso piani interi e figure complete.
La sua carriera di fotografo inizia per un’esigenza naturale, quella di avere una copertina per il suo primo album: la scatterà proprio lui. Tra i personaggi fotografati ci sono Jake Bugg, Mickey Rourke, Kate Moss, Amy Winehouse, Mick Jagger, Lana Del Rey, e la Regina Elisabetta II, il cui ritratto appare su un francobollo canadese. Per altre ragioni legate sempre alla famiglia, cioè la partecipazione del nonno alla seconda guerra mondiale e il ruolo del padre nelle forze di pace dell’Onu, Adams inizia un progetto di immagini di soldati reduci e sfregiati nel corso degli impieghi bellici. Trascorre due anni con i militari inglesi che hanno subito mutilazioni durante le campagne di guerra mediorientali. Sono immagini violentissime, che raccontano, immediate e solitarie, una nuova terribile condizione “che forse in Occidente, nel tutto sommato opulento presente, non siamo ancora pronti ad affrontare.”
Il libro “Wounded. The legacy of war” – Feriti. L’eredità della guerra – pubblicato nel 2013, è un esercito di scatti che dilaniano lo sguardo di chi indugia sui corpi e sui volti martoriati dalle armi. La posizione pacifista e colta del canadese ci riporta a un dramma quanto mai attuale, e lo fa con un lirismo e un bianco e nero da reportagista consapevole. Gli scatti, esposti nella galleria Somerset House di Londra tra 2014 e 2015, affrontano i reduci britannici dalle guerre in Iraq e Afghanistan, mostrando la loro fragilità umana dopo aver affrontato la battaglia. È questo un lavoro che sospende la sensibilità sognante di Adams e che tocca la difficoltà del reinserimento, portando alla nostra attenzione i conflitti – non solo bellici – che siamo abituati a mirare da lontano. Qui siamo invitati alla conoscenza, a non girare lo sguardo ma a indirizzarlo verso coloro che hanno combattuto al posto nostro. I quaranta ritratti verranno venduti con proventi destinati ai soldati rientrati. Il suo ultimo lavoro fotografico risale al 2019, con le foto di Robbie Williams, Sasha Luss e Noomi Rapace, e un set per lo stilista nostrano Ermenegildo Zegna. Per ammirare Adams nel 2020 dovremo spostare la nostra attenzione dalle gallerie d’arte ai palcoscenici musicali post-pandemici: non dimentichiamoci che il suo mestiere è quello di raccontare panorami attraverso la voce e la musica; se poi lo fa anche con una macchina fotografica al collo, si tratterà solo di traslare la nostra attenzione da un media all’altro. Adams sta sempre sulle fenditure del mondo, non scende mai nel dejà vu, non cade mai nella tentazione del volgare o nella banalità. Rimane come una sentinella sulla breccia, a guardare le stelle dell’universo e a riverberarle su di noi.
Senza mai cadere.
Bryan Adams/Exposed
A cura di Denis Curti
Ventotto opere di grande formato in mostra presso
Leica Galerie Milano, via Giuseppe Mengoni 4 (angolo piazza Duomo)
Dal 21 aprile al 9 luglio 2022
Orari di apertura
Martedì – Sabato: 10.00 -14.00; 15.00 – 19.00
Domenica e Lunedì: Chiuso
Info:
+39 02 72740227
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