Info
Martina Morrone nasce a Napoli il 15 Agosto 1998.
Dopo essersi diplomata al liceo Albert Bruce Sabin in scienze umane a Bologna, ha studiato per un anno Filosofia presso l’università di Trieste.
Successivamente ha deciso di seguire la sua passione per la fotografia e nel 2019 si è iscritta all’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata (ISFCI) a Roma.
Ha sempre cercato attraverso la fotografia di evocare sensazioni e considerazioni per chi guarda le sue foto, per trasmettere e illustrare idee che derivano dalla sua esperienza personale. Ed è grazie ad ogni esperienza vissuta che ha origine il suo processo creativo: oltre a prediligere la fotografia d’archivio e gli strumenti di lavoro analogici, per Martina Morrone è estremamente essenziale integrare la scrittura nel processo fotografico. Scrivere è un mezzo di comunicazione che le permette di associare ogni pensiero a una foto e ricondurre chiunque alla propria realtà ed esperienza personale.
Nell’Aprile 2022 ha partecipato a un workshop sull’editoria fotografica con la curatrice e book-designer Fiorenza Pinna e ha preso parte alla quarta edizione di H24, una mostra fotografica ideata e allestita in ventiquattro ore sotto il coordinamento di Luca Santese e Marco Valli del collettivo Cesura.
In collaborazione con due colleghe d’Istituto, ha realizzato “Non rompere il silenzio”, un progetto fotografico volto a formare un gruppo di studenti dell’Istituto Statale d’Istruzione Specializzata per Sordi (Isiss Antonio Magarotto) sull’importanza del mezzo visivo come strumento di comunicazione.
Ad oggi i suoi interessi sono legati alla fotografia concettuale, d’archivio e reportagistica.
Gocce di limone
È possibile ricostruire l’identità di una persona attraverso foto rovinate, vhs e sentimenti legati a ricordi spiacevoli? Il mio passato si è sempre insinuato nel mio presente, ritornando sotto forma di ricordi, flashback di giorni che forse non sono mai esistiti, parole che nel tempo hanno assunto un significato diverso e un susseguirsi di domande sulla mia infanzia. Da qui la necessità di riportare in superficie le sensazioni passate, l’urgenza di costruire un dialogo con una persona che non c’è e non vuole esserci. Tutte le foto del progetto che vedono volti cancellati sono state rimosse dalla stessa persona raffigurata nella foto. È importante precisarlo in quanto la necessità di ricostruire l’identità del soggetto deriva proprio dall’assenza di foto in cui il suo volto è integro. La rimozione gioca un ruolo fondamentale anche nella scrittura: dopo aver selezionato alcune pagine di libri, attraverso la cancellazione ho tradotto in parole le sensazioni suscitate dalle singole immagini. Oltre alle foto d’archivio, ci sono immagini digitali e analogiche, che estrapolate dal loro contesto hanno la possibilità di creare una nuova narrazione. I tanti piccoli pezzi del puzzle di goccedilimone devono il loro completamento a Leoncillo Leonardi, artista e poeta italiano, che mi ha ispirato a ripercorrere le tracce del mio passato, in particolare alcune sue parole: “Io voglio dire semplicemente certe cose mie. Come gli ubriachi che, di notte, ti vogliono dire i loro fatti. Come chi è innamorato e racconta anche ciò che non dovrebbe. Come chi ha avuto un grande dolore, una gran perdita, che di notte, al buio, nel letto, ripete ancora certe parole a voce alta e poi le parole fuori di lui, nel silenzio della notte diventano ormai un’altra cosa.”
Grazie all’ISFCI e sotto il coordinamento di Luca Santese e Marco Valli del collettivo Cesura, che hanno assegnato “il Corpo” come tema del progetto, in 24 ore di tempo è stato realizzato e presentato in mostra J’ai perdu mon corps.
Proposta per Confini
“Si ha una certa oscurità a definire cosa sia un confine, dove possa iniziare e finire la realtà.”
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