Mario Giacomelli l’ho trovato dentro una scatola di scarpe.
Avevo 19 anni, mi aggiravo annoiato dentro casa quando andai a rovistare in una scatola che conteneva le foto di famiglia. Dal mucchio disordinato di color print lucide e sbiadite di qualche compleanno, guardate senza particolare coinvolgimento, vengono fuori sei stampe in carta baritata opaca, spesse e ruvide, che ritraggono i miei genitori e alcuni amici in spiaggia a fumare sigari.
È Giacomelli, il genio visionario delle figure sospese, del bianco mangiato e del nero inchiostrato. La vista di quei ragazzi, così eleganti e volutamente in posa, che galleggiano sulla spiaggia invernale di Senigallia, cambia per sempre il mio modo di pensare alla fotografia.
I negativi di quel lavoro erano andati persi ed erano rimasti solo rari esemplari di quelle piccole stampe. Ne ritrovai un paio, citate come “unique vintage” nell’introduzione del grande catalogo Mario Giacomelli a cura di Germano Celant, in occasione della mostra a Palazzo delle Esposizioni di Roma, avvenuta esattamente vent’anni fa. Mario Giacomelli era morto da pochi mesi e ricordo la grande emozione di una inaugurazione molto affollata e partecipata.
Il volume intitolato semplicemente Mario Giacomelli, forse nell’impossibilità di dare un titolo esaustivo e significativo all’imponente lavoro poetico in esso contenuto, raccoglie quasi tutte le serie prodotte dalla metà degli anni cinquanta fino agli ultimi tempi.
Dentro c’è tutto il mondo di questo uomo che non ha rappresentato accadimenti e fatti, ma, come pochi, ha saputo raccontare l’essere umano nelle sue paure e contraddizioni, nella fatica del vivere fino all’attesa della morte.
Dentro quel libro ci sono anche mio padre e mia madre, da poco fidanzati, con una vita davanti e un sigaro in bocca. Mica poco per uno come me che dentro quella scatola di scarpe ha trovato nella fotografia una ragione di vita e un gioco appassionante.
In seguito ho frequentato la stessa camera oscura dove Giacomelli portava a sviluppare i suoi ultimi negativi, lo ascoltavo mentre raccontava storie di segni e di terra, sempre sul filo della poesia, unica in grado di dare sollievo al dolore dell’esistenza.
Lorenzo Cicconi Massi si laurea in sociologia con la tesi Mario Giacomelli e il gruppo Misa a Senigallia. Nel 1999 ottiene il 1° premio Canon Giovani Fotografi.
Dal 2000 è uno dei fotografi dell’agenzia Contrasto. I suoi lavori compaiono sulle maggiori riviste italiane e su diverse testate europee, sono esposti in gallerie italiane ed estere, alla Biennale di Venezia e a Parisphoto.
Riceve numerosi premi e riconoscimenti, tra cui, nel 2007, il World Press Photo nella sezione “Sports features singles” e, nello stesso anno, per la serie Fedeli alla tribù, il premio Amilcare Ponchielli organizzato da G.R.I.N. Nel 2016 la serie Le Donne Volanti viene esposta a Palazzo Montecitorio su invito della Presidente della Camera Laura Boldrini. Dal 2020 collabora con la Scuola di giornalismo e fotografia Jack London.
Esordisce al cinema nel 2003 come sceneggiatore e regista del lungometraggio Prova a volare con Riccardo Scamarcio, Ennio Fantastichini e Antonio Catania. Nel 2011 realizza il film per dvd Mi ricordo Mario Giacomelli (ed. Contrasto).
Nel 2018 pubblica, in collaborazione con il Polo Museale delle Marche, In aria, un catalogo completo delle sue serie fotografiche realizzate fino a quel momento.
Con Emuse ha pubblicato, insieme a Francesco Comello, Francesco Faraci, Sara Munari e Lorenzo Zoppolato, Suite n. 5, uscito nel 2020.
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