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Ivana Sfredda (CFP Bauer Milano)

di PHocus Young Student

Sfredda-Ivana

Info

Ivana Sfredda nata a Termoli (CB) nel 1995, vive e studia a Milano.  Dopo aver conseguito il Diploma di I Livello in Progettazione Artistica per l’Impresa presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino (2017), consegue nella medesima Accademia il Diploma di II Livello in Nuove Tecnologie dell’Arte (2019). Durante gli anni accademici frequenta un semestre presso la facoltà di Media Art all’Accademia Sztuk Pieknych di Varsavia, Polonia. In questi anni a Torino collabora con diverse realtà sul territorio come graphic designer, fotografa e videomaker. Nel 2019 collabora come fotografa con il Circolo del Design (TO) in occasione del workshop “Atlante Immateriale” con Achille Filipponi e Matteo Milaneschi. 

Nel 2020 si iscrive al corso biennale di Fotografia e Linguaggi della Comunicazione Visiva presso il Cfp Bauer di Milano. Nel 2022 collabora con NOIA Magazine e Hansel Grotesque come fotografa e con Giorgio Barrera in occasione del progetto di formazione e ricerca “Anatomia e Dinamica di un Territorio” con il Cfp Bauer presso Dolomiti Contemporanee (BL). 

Il suo lavoro si focalizza sulle dinamiche di convivenza del vivente in relazione al concetto di alterità. A partire dalle proprie esperienze personali, la sua ricerca indaga l’incontro fra corpi e contesti apparentemente incompatibili che vengono rivelati attraverso la soggettività del mezzo fotografico. 

Soak Up

Le immagini presentate sono parte di un progetto più ampio e tuttora in corso, frutto di una ricerca visiva in cui incontri casuali del quotidiano si materializzano attraverso la soggettività del mezzo fotografico.

Soak up: to absorb or enjoy something that exists around you.

Soak up è un termine anglosassone che fa riferimento all’atto dell’assimilare e del godere nel farlo; da soak up deriva inoltre la pratica sessuale del soaking: l’unione sessuale statica di due o più corpi. Un bisogno fisico che sorge dalla necessità di unirsi e assimilarsi: dello stare l’uno dentro l’altro cedendo alla volontà di annientamento dei confini che delimitano un corpo. Questa pulsione erotica si slega dalla ricerca effimera del godimento carnale in funzione di un contatto intenso in cui il corpo organico e inorganico diviene una superficie significante. Un sistema di comunicazione che salta oltre le categorie di umano/artificiale, umano/animale, animale/artificiale, tracciando le architetture fluide di un nuovo corpo che disperde e dissolve i suoi confini.

Come scrive Teresa Macrì «tale corpo mutante segna il passaggio da una identità obsoleta a una in fibrillante metamorfosi», ovvero l’incontro di due o più confini – e il loro conseguente annientamento – genera nuove entità che si coordinano in una pratica di incontro attraverso una sessualità neutra, così definita da Mario Perniola. Perniola individua nella sessualità un punto di sospensione, di distacco psichico; questa sospensione egli la definisce sessualità neutra e inorganica: ovvero il distacco dal proprio corpo che implica un sentire estraniato, cibernetico e, appunto, neutro.

Not one

Vita e metamorfosi, nelle riflessioni del filosofo italiano Emanuele Coccia, coincidono: la metamorfosi è il meccanismo che permette a due corpi di appartenere allo stesso individuo. 

Not one allude al corpo di tutti e di nessuno che diventa un canale di passaggio da una vita all’altra. La metamorfosi come nascita di tutte le nascite passate e future sotto forma di un corpo intimo e universale allo stesso tempo.

Questa continuità temporale biologica si traduce nell’atto del nutrirsi. Mangiare e essere mangiati non è altro che la possibilità di assumere la vita di un altro essere vivente nell’intento di soddisfare quel continuo bisogno di scambio energetico.

Le immagini si propongono come una restituzione di questo aspetto del vivente attraverso un’organicità ibrida che permette l’incontro tra corpi e contesti apparentemente incompatibili. Essere uno è sempre con-divenire con illimitati rapporti che possono generare imprevedibili “noi” nel tempo: un’esperienza di non-unicità e non-individualità che rimanda a un continuo legame con l’alterità

Proposta per CONFINI 

Per il progetto Confini, in linea con un immaginario fantascientifico, propongo un’indagine visiva circa la trasformazione del soggetto/oggetto in relazione al suo habitat e viceversa. La pelle o la superficie esterna non rappresenta più, appunto, un confine, ma la frontiera da valicare in favore di un inclusivo superamento degli spazi. 

“I corpi sono sempre collettivi e molteplici e operano come ecosistemi, come reti, come allenaze trans-specie, come ambienti e come clima” (A. Jaque). Se in questo senso il corpo mutante equivale a una forma fluida in costante ridefinizione dei propri confini, allo stesso tempo l’abitazione e il contesto che la ospita non può far a meno delle sue contaminazioni. In quest’ottica l’abitazione, il corpo domestico, diviene un dispositivo vivo, sensibile alle pulsioni trasformative del soggetto/oggetto che vi abita. 

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