Info
Chiara Calgaro è nata a Milano nel 1997 e cresciuta a Baggio, nella periferia ovest della città. Nel 2019 si è laureata con lode in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali presso l’Università di Bologna con una tesi dal titolo La costruzione sociale della virilità. Le risposte maschili al cambiamento in un nuovo rapporto tra generi.
È attualmente diplomanda presso il Corso Biennale di Fotografia di Spazio Labò a Bologna con il progetto I will get my mum a house, al quale lavora dal 2020.
Formata attraverso il metodo di ricerca antropologica, il suo lavoro sfrutta la fotografia come mezzo di partecipazione attiva sul campo. Il suo interesse è quello di creare una narrazione sulle persone che vivono ai margini della società, con particolare attenzione alle dinamiche di potere e di discriminazione e alle conseguenti forme di emancipazione, a partire dalla propria esperienza personale e interrogando costantemente il proprio punto di vista.
I will get my mum a house
Comprare una casa alle proprie madri è la promessa più comune e meno mantenuta da parte di molti giovani cresciuti in periferia che, nonostante un orgoglioso senso di appartenenza al quartiere, sognano di uscirne simbolicamente e geograficamente regalando una nuova casa alla mamma.
I will get my mum a house pone lo sguardo su un gruppo di bambini e adolescenti che abitano in via Quarti, una delle strade più malfamate di Baggio, quartiere nella periferia ovest di Milano, nel quale sono nata e cresciuta.
Attraverso questi ragazzi, nei quali mi rivedo, ma da cui sono in grado di prendere le distanze, rifletto sulla mia provenienza liminale, interna ed esterna allo stesso tempo. Io stessa vengo dal confine, non dalle case popolari né dal centro. Il mio sguardo è quello di un’osservatrice privilegiata: da una parte, infatti, la comune appartenenza al quartiere mi permette di introdurmi sempre di più all’interno della via e di instaurare un rapporto di fiducia con i suoi abitanti; dall’altra parte, il fatto di essere cresciuta a qualche isolato di distanza da via Quarti mi fornisce un punto di vista più distaccato in grado di notare gli aspetti da loro normalizzati.
La mia attenzione è rivolta alla particolare fase di crescita e cambiamento dei ragazzi che abitano nella via: osservo i dettagli di ciascuno di loro, i primi segni della pubertà, i gesti di spensieratezza infantile e quelli di una violenza adulta e precoce, la voglia di apparire e il loro modo di autorappresentarsi, la brama di riscatto attraverso la musica e lo sport, il modo in cui cercano di “cambiare pelle” per trovarne una nuova.
Per restituire la complessità della narrazione, ho scelto di avviare una collaborazione con i ragazzi della via consegnando loro una macchina fotografica usa e getta, attraverso la quale potessero scegliere cosa guardare e mostrare del luogo che abitano. In un secondo momento, poi, ho chiesto loro di scrivere o disegnare sulle fotografie che avevano scattato e che io avevo stampato per loro.
L’obiettivo del progetto è la restituzione di una narrazione sfaccettata e a più mani di una realtà periferica che ho vissuto in prima persona. Io stessa sono il motivo per cui mi interessano i ragazzi di via Quarti. Loro svelano qualcosa di me, di come avrei potuto essere se fossi cresciuta qualche metro più in là, sottolineano ciò che non sono, ma che mi ha sempre sfiorato senza mai travolgermi del tutto. Nella loro adolescenza rivedo un forte senso di appartenenza al quartiere che si fonde con quella stessa voglia di riscatto e di uscire da un confine invisibile che ha permesso anche a me di prendere gradualmente le distanze e divenire un’osservatrice. Questo lavoro parla delle infinite possibilità e strade che ogni persona, soprattutto in giovane età, potrebbe intraprendere, ma che spesso rimangono inesplorate e soffocate in un contesto di provenienza difficile e già segnato.
Proposta per CONFINI
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