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Alpecedario di Claudia Marini

di PHocus Magazine

                                  Memorie fotografiche di una comunità di montagna

Alpecedario presenta una selezione di fotografie raccolte dall’Archivio Fotografico di Comunità di Peio, una piccola valle delle Alpi Trentine. Oltre a raccontare per frammenti la storia di un territorio e della sua comunità, il libro restituisce la bellezza di immagini private semplici e spontanee, che troppo spesso rimangono nascoste nei cassetti delle case e non vengono condivise. La bellezza che esce da questi album di famiglia ci trascina in un mondo che non c’è più ma che ha una valenza universale, a cui tutti sentiamo di appartenere. La narrazione per immagini fotografiche è punteggiata da brevi racconti, che costituiscono l’Alpecedario, un abecedario dell’Alpe, e che sono ispirati a ricordi raccontati dalle persone che hanno partecipato al progetto.

La raccolta delle fotografie ha inizio nel 2020, per iniziativa della curatrice del libro, Claudia Marini, fotografa e originaria della Val di PeioL’archivio raccoglie gli album di fotografie delle famiglie della valle e le cartoline. Il patrimonio raccolto copre un periodo storico che dal passato arriva all’anno Duemila e tramanda una memoria collettiva del territorio attraverso le fotografie che documentano storie di vita individuali e familiari, ovvero attraverso ciò che le persone hanno chiesto alla fotografia, in privato, che fosse ricordato: la quotidianità, le escursioni in montagna, la bellezza del territorio, le feste e gli eventi pubblici, le grandi nevicate, l’amore, i bambini che crescono, i parenti lontani nello spazio e nel tempo, il lavoro, i viaggi e le vacanze.

Dal saggio di Romina Zanon, fotografa e ricercatrice, che chiude il libro:

«La Nouvelle Histoire riconosce alla fotografia il ruolo di fonte per la storia e di strumento imprescindibile per la trasmissione della memoria visiva della società contemporanea. Se nel 1969 il filosofo tedesco Siegfried Kracauer formula l’ipotesi secondo cui storici e fotografi avrebbero molte cose in comune, nel 1977 Susan Sontag, con la pubblicazione del suo imprescindibile classico Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, riprende la riflessione sulla possibilità di utilizzare i repertori fotografici, al pari degli archivi di documenti scritti, come fonte storica, qualificando l’immagine meccanica come una traccia di ciò che è stato presente nella realtà. Così come fa l’orma di un piede rispetto a colui che la lascia, la fotografia registra la presenza e informa sull’identità del soggetto raffigurato: “Queste immagini riescono a usurpare la realtà perché, prima di tutto, una fotografia non è soltanto un’immagine (come lo è un quadro), un’interpretazione del reale; è anche un’impronta, una cosa riprodotta direttamente dal reale, come l’orma di un piede o una maschera mortuaria. Mentre un quadro, anche se rispetta i criteri fotografici della rassomiglianza, non fa mai nulla di più che enunciare una interpretazione, una fotografia non fa mai niente di meno che registrare un’emanazione (onde luminose riflesse da oggetti), un’orma materiale del suo soggetto, come un quadro non è mai in grado di fare”.

Se applichiamo tali riflessioni alla fotografia vernacolare, il valore testimoniale di cui è permeata sembra risultare più autentico rispetto a quello insito nell’immagine pubblica o professionale, poiché priva di particolari aspirazioni stilistiche e autoriali o canoni consolidati di rappresentazione formale che potrebbero compromettere una riproduzione fedele del reale. Gli autori e le autrici delle fotografie raccolte nell’Archivio di Comunità di Peio assistono in prima persona alla realtà raffigurata attraverso la lente del loro obiettivo e si accostano alla loro realtà quotidiana come “testimoni oculari” producendo con spontaneità immagini dal valore di prove storiche».

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