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William Klein

di Massimo Mastrorillo

William Klein (New York, 19 aprile 1928 – Parigi, 10 settembre 2022), è stato un autore immenso, sempre in perfetto equilibrio tra provocazione, andare contro e riuscire a convivere con le leggi del mercato. Qualunque cosa abbia prodotto, in qualunque campo si sia cimentato, è riuscito a produrre arte e guadagno, senza scendere mai a compromessi.
È singolare che il lavoro che lo ha reso celebre, “Life Is Good and Good for You in New York”, sia del 1956, quasi contemporaneo di “The Americans” di Robert Frank. Entrambi, con modalità e stili diversi, sono stati dirompenti con le loro immagini, influenzando intere generazioni di fotografi, ma sono stati anche accomunati dallo scarso successo iniziale dei due capolavori citati. Erano troppo avanti rispetto ai tempi e non era facile accettare una visione così critica sulla società americana.
Pur non avendo molto in comune, specie dal punto di vista caratteriale, sia Klein che Frank hanno finito con il dedicare, non casualmente, il loro talento all’immagine in movimento. La fotografia era un grande amore, ma fondamentalmente solo uno dei possibili linguaggi visivi.

© William Klein
© William Klein

Klein è stato sicuramente un artista più poliedrico di Frank. L’arte era stata per lui una via di uscita dalla povertà (il padre dilapidò la fortuna della famiglia, creata dal nonno, con investimenti nel 1929, anno del crollo della Borsa a New York). Frequentatore assiduo del MOMA già all’età di 12 anni, si arruolò nell’esercito e dopo la fine della seconda guerra mondiale decise di fermarsi a Parigi, dove diventò allievo di Fernand Leger. Era l’epoca in cui frequentare i salotti dell’arte significava trovarsi spesso a braccetto con artisti del calibro di Picasso e Giacometti.
Da Leger apprese molto, soprattutto l’importanza della sperimentazione e dell’andare per strada. Fu proprio grazie ad alcune sue ricerche sul mosso in architettura d’interni, che attirò l’attenzione dell’art director di Vogue Alexander Liberman, il quale decise di dargli un impiego come fotografo, con un ottimo stipendio per i tempi e senza l’obbligo di doversi occupare per forza di fotografia di moda. In quel periodo realizzò il suo lavoro su NYC nonchè l’indimenticabile film “Broadway by light” in cui usò lo stesso sarcasmo e critica nei confronti del consumismo americano, attraverso immagini piene di colore, per rispondere a coloro i quali lo avevano accusato di aver realizzato cupe immagini in bianco e nero.

© William Klein
© William Klein

In “Life Is Good and Good for You in New York”, il punto di rottura fu determinato dalla decisione di andare contro le regole in voga fino a quel momento, per lo più ispirate dalla fotografia di Henry Cartier Bresson. Di Bresson aveva un gran stima, ma non condivideva il suo punto di vista sull’oggettività in fotografia. Era un fermo assertore dell’impossibilità di essere oggettivi e per questo motivo affermò: “…Decisi che ogni cosa doveva avere il suo corso. Una tecnica priva di regole e taboo: il fuori fuoco, la grana, il contrasto, qualunque cosa potesse accadere”.

La vita, a volte, disegna strani incroci e incontri. Klein lavorò con una Leica M appartenuta proprio a Bresson, a cui sostituì solamente il 50mm con un ottica grandangolare. La scelta di mettere spesso a fuoco non sul primo piano ma sul fondo, sfruttando la profondità di campo delle ottiche grandangolari, l’avvicinarsi estremo ai soggetti, usati come quinte, la capacità di riempire il fotogramma dal punto di vista compositivo, dando la sensazione di tridimensionalità laddove non esiste, sono state fonte di ispirazione per i fotogiornalisti dalla sua epoca fino ad oggi.

Come non riconoscere la sua influenza in Telex/Iran di Gilles Peress, altro grande autore che a sua volta ha influenzato fotografi del calibro di Antonin Kratochvil, Paolo Pellegrin e così via. L’alto contrasto è stato invece fonte di ispirazione per la fotografia giapponese e in particolare per Daido Moriyama e il movimento Provoke.

© William Klein
© William Klein

Al libro su NYC seguirono altri libri simili su Parigi, Mosca, Tokyo e Roma dove Klein si recò per assistere Federico Fellini sul set di Cabiria.

Da buon sperimentatore, in seguito rivisitò i suoi provini a contatto, li ingrandì facendoli diventare opere d’arte attraverso l’intervento pittorico, campate di pittura rossa e a volte gialla, a circoscrivere il fotogramma. In sostanza trasformò in arte un gesto, quello di cerchiare i fotogrammi di interesse sul provino a contatto, che per la maggior parte dei fotografi era routine.

William Klein è stato un innovatore anche nel campo della moda. La portò per strada, creando delle situazioni da “street photography” con le modelle e soprattutto introdusse l’uso del teleobiettivo fino ad allora poco usato. Le sue immagini ebbero un così forte riscontro, da creare “una moda tra i fotografi di moda” e determinare un incremento considerevole nella vendita dei teleobiettivi.

 

© William Klein
© William Klein
© William Klein
© William Klein
© William Klein
© William Klein

Tuttavia Klein non ha mai realmente amato la fotografia di moda. La strada era il suo ambiente, la gente e la vita quotidiana il suo pane. Per questo motivo si dedicò sempre più al cinema (girò più di venti film) concentrandosi su tematiche spesso scottanti e sicuramente scomode. Il suo film più conosciuto è sicuramente “Mohammed Alì the Greatest”. Per una serie di strane e fortunose circostanze si ritrovò affianco a Malcom X durante un viaggio in aereo e fu proprio lui a introdurlo allo staff del pugile, incuriosito dal quel simpatico artista ebreo interessato ad un campione afroamericano, pieno di talento, sfacciataggine e coraggio. Erano entrambi due personaggi con un ego straripante, consapevoli e determinati e diventarono, inevitabilmente, allegri complici nella realizzazione del film.

Sempre attraverso il cinema Klein, impavido, provocò dapprima il “fashion world”, che lo sosteneva economicamente, realizzando “Who Are You Polly Magoo?”, in cui si prese apertamente gioco della famosissima e potentissima capo redattrice di Vogue, Diana Vreland, che ovviamente non apprezzò e in seguito attaccò, senza alcun timore reverenziale, il suo Paese di origine, prendendo parte al documentario “Lontano dal Vietnam” diretto anche da Joris Ivens, Claude Lelouch, Agnès Varda, Jean-Luc Godard, Chris Marker e Alain Resnais. Nella parte da lui diretta, diede voce alle manifestazioni contro la guerra e l’utilizzo del Napalm sulle popolazioni locali. Per non finire, realizzò un documentario sul leader delle Pantere Nere, ricercato negli USA e in esilio in Marocco. In particolare questi ultimi due episodi, indussero Vogue a licenziarlo, privandolo di un guadagno importante.

Klein non ebbe problemi a trovare nuove motivazioni. Ne è una riprova il fatto che ha continuato a lavorare nella moda sino alla tarda età e che le sue opere sono da anni tra le più vendute tra i collezionisti.

Anni fa la BBC girò un documentario su di lui. Anche in questo frangente, nonostante l’età e i problemi di salute, non esitò a mostrare il suo carisma. Continuò a fumare nonostante fosse proibito nelle produzioni della TV inglese e non lesinò battute ironiche e taglienti nei confronti del conduttore, sempre con la solita educazione e l’immancabile sorriso ironico. Al termine, salutò il pubblico e la BBC con un dito medio alzato.

William Klein ci ha lasciati. Un altro grande autore se ne è andato, anche lui risucchiato in questo strano vortice di morti celebri, che negli ultimi anni ci ha fatto perdere tante icone e personaggi importanti del mondo dello spettacolo, del cinema, della letteratura e della fotografia. Il suo immenso talento rimane, comunque. Le sue immagini, le sue opere continuano ad essere attuali e lo saranno per sempre. Non credete che questo sia un segnale inconfutabile della grandezza di un autore? Io ritengo sia l’unica prova plausibile.

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