Ogni pietra che trova, ogni fiore raccolto e ogni farfalla catturata sono per lui già il principio di una collezione, e una sola grande collezione è, ai suoi occhi, tutto ciò che comunque possiede. In lui questa passione mostra il suo vero volto, il severo sguardo indio di cui negli antiquari, ricercatori, bibliofili non resta che un bagliore offuscato e maniaco. Come si affaccia alla vita è già cacciatore. Caccia gli spiriti, di cui fiuta la traccia nelle cose; tra spiriti e cose gli passano anni interi, durante i quali il suo campo visivo si conserva libero da presenze umane. Gli accade come nei sogni: non conosce niente di duraturo; le cose gli succedono, crede lui, gli capitano, gli si presentano. I suoi anni di vita nomade sono ore nel bosco dei sogni. Di là trascina a casa il bottino per mondarlo, consolidarlo, liberarlo dagli incantesimi. I suoi cassetti devono trasformarsi in arsenale e serraglio, museo del crimine e cripta. «Metter ordine» vorrebbe dire distruggere una tana piena di castagne spinose che sono mazze ferrate, cartine di stagnola che sono un tesoro d’argento, cubetti per le costruzioni che sono bare, piantine grasse che sono totem e monetine di rame che sono scudi di guerrieri. Da un pezzo ormai il bambino aiuta a rassettare l’armadio per la biancheria della mamma, la libreria del babbo, mentre nel proprio territorio è ancora l’ospite nomade e bellicoso.
(Walter Benjamin, Ingrandimenti, in Id., Opere complete. Scritti 1923-1927, Torino, Einaudi , 2002)
Il concetto di immagine è centrale nel pensiero di Walter Benjamin soprattutto all’interno della sua riflessione sulla verità, sulla conoscenza e sulla storia che va di pari passo con l’idea di ‘frammentarietà’. La frammentarietà riveste sia la produzione stessa di Benjamin ma anche un vero e proprio intento programmatico dell’autore (montaggio, citazione) e un modo di stare al mondo avverso a qualsiasi organizzazione in ‘sistema’ e all’interpretazione universale.
Non aspira a creare un sistema ma con la sua scrittura fatta di una successione di idee e istantanee, attraverso la strategia dell’interruzione, i cambiamenti di punti di vista, i dettagli, i frammenti, fa affiorare determinate immagini-pensiero (Denkbilder), ossia immagini “scarabocchiate”, che diventano mezzo dialettico e elemento attraverso il quale indagare i concetti e la storia.
L’immagine è una costellazione, in cui diverse temporalità si rivelano in un bagliore. È la dialettica nell’immobilità. Le immagini dialettiche trovano nel testo «il tuono in cui tornano a risuonare a lungo» (Benjamin, Opere complete. Scritti 1923-1927). Questa capacità di relazionare tempi diversi avviene quindi grazie al testo e visivamente grazie ai media ottici. Le immagini dialettiche, infatti, vivono nella lingua e il mondo stesso viene percepito come un testo cifrato che deve essere commentato per allenare uno sguardo capace di leggere nelle ombre, di scavare nei segni nascosti della storia, di vedere con l’intelletto. È con la cesura che la lingua riesce a vestirsi del carattere rappresentativo, di rendere leggibile ciò che non si potrebbe esprimere a parole.
Benjamin paragona l’immagine dialettica a una lastra fotografica impressionata che solo il futuro potrà rivelare con gli strumenti adatti. Egli auspica a un ripensamento della storiografia per immagini dialettiche: una storia fatta di una successione discontinua di citazioni che viene analizzata a partire da queste discontinuità, che non procede linearmente ma a scosse; che «Si frantuma in immagini non in storie» (W. Benjamin, Sul concetto di storia). L’immagine dialettica si lega all’immaginazione e all’atto del guardare unito alla dimensione dell’inconscio. È espressione di corrispondenze interne, una forma di indagine che ricalca le affinità magiche fra gli elementi. Il collezionista, immagine chiave che ritorna più volte in Benjamin, è proprio colui che «libera l’oggetto dall’insieme delle sue relazioni funzionali» (W. Benjamin, Tolgo la mia biblioteca dalle casse, in Id., Opere Complete. Scritti 1930-1931). Nel suo lavoro di raccolta, classificazione, commento, montaggio il collezionista ha uno sguardo di “grande fisiognomico”, forma un’enciclopedia magica, un suo ordine universale. Colleziona perché toccato dalla frammentarietà delle cose nel mondo. Applicare il montaggio alla storia significa ricostruire sulla base del piccolo momento singolo. Come per il collezionista, ci si deve lasciar catturare dalle cose. E per questi motivi lo storico ideale di Benjamin procede come se dovesse interpretare sogni, scrive per immagini e si ritrova nell’essere affascinato come un bambino dagli oggetti.
Gli stessi Passages di Benjamin non sono solo la sua grande opera incompiuta ma rappresentano anche il Dialektisches Bild per eccellenza poiché il Passaggio è la struttura stessa della modernità. Infatti, per come si configura nello spazio architettonico, il passage è una soglia, zona di passaggio e transizione nella città. Ma è anche vero che la stessa scrittura di Benjamin si configura come un passage spazio-temporale, portando le immagini collettive di sogno allo stato di risveglio. «I passages sono case o corridoi senza alcun lato esterno – come il sogno» (W. Benjamin, I “passages” [L 1a, 1]). Nei Passages il suo intento è di ricercare tracce di presente nel passato e nel passato tracce che possano profetizzare il presente, soffermandosi su ciò che è stato sognato sullo sfondo degli spazi urbani del XIX secolo per risvegliarle, prenderne coscienza (Erwachen). Il risveglio pure è un luogo di passaggio, in cui il presente si costruisce con frammenti di memoria, andando a scavare nel ricordo, rimontando immagini istantanee e discontinue.
Si tratta di interpretare la storia nel senso di coscienza storica del XIX secolo, dai sogni dell’inconscio collettivo alle mitologie di un’epoca.
Il suo testo Strada a senso unico, pubblicato nel 1928 e contemporaneo alla stesura dei primi frammenti del Passagenwerk, presenta anch’esso una struttura a mosaico, ispirata a fotomontaggi dadaisti e costruttivisti e al cinema sperimentale. La prima edizione venne infatti pubblicata con un fotomontaggio urbano appositamente realizzato da Sasha Stone (Fig). Il montaggio ha infatti per Benjamin funzione pragmatica e analitica: consente una conoscenza attiva, coinvolta, grazie alla sua efficacia distruttiva e ricostruttiva.
Ritornando all’immagine-pensiero (Denkbild) della citazione iniziale, che Walter Benjamin delinea del bambino disordinato, possiamo rintracciare una postura rispetto all’ordine delle cose che è quella dell’apertura al mondo. Tale atteggiamento, cioè una predisposizione all’incoscienza e all’ingenuità è il motore per costruire un cambiamento. La curiosità è proprio quella dimensione che induce a collezionare e archiviare ma con un’apertura tale alle situazioni e alle cose, da dover spezzare e ricreare legami nel proprio modo e nel proprio mondo. L’immaginazione porta a cogliere, individuare, creare somiglianze tra le cose, parlare per immagini e lasciare che ambiti apparentemente estranei e incompatibili interagiscano fra loro. Ciò significa volontà di giocare con il mondo e manipolarlo e, soprattutto, un’apertura al futuro.
Ricominciare e ricostruire il nuovo significa infatti conoscere e confrontarsi con il passato. Ha a che fare con la riconfigurazione: un nuovo modo di vedere, di vedere nuove immagini, ri-vedere le immagini del passato e di instaurare con il passato un rapporto critico. Rispetto al tramandare una storia e una tradizione sempre uguali, l’importanza risiede per Benjamin nell’idea di citabilità, che implica una distruzione e riconfigurazione, per arrivare a una visione diversa e più complessa rispetto a quella originaria. Ciò non si trova nelle macrostrutture ma in un pensiero micrologico che è alla costante ricerca di immagini, tracce, frammenti, scarti: tutto ciò che passa inosservato allo sguardo distratto.
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