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W LA LIBERTAD FOTOGRAFIE DI PROTESTA

di Tiziana Bonomo

È un mantra, una preghiera, un inno al fotoreportage al lavoro sporco del fotogiornalista che affronta insieme alla gente situazioni di lotta, conflitti per fa valere i diritti, la loro e la nostra libertà. Due, Federico Montaldo e Luciano Zuccaccia, insaziabili lettori di libri fotografici, hanno deciso di frugare in archivi, nelle biografie e in tutto quanto fosse necessario a placare la loro sete di curiosità su alcune storie di avvenimenti storici. Una ricerca approfondita e organizzata a dovere si svela nel libro W LA LIBERTAD FOTOGRAFIE DI PROTESTA edito da Postcart.

Ma cosa svela questo libro? Il desiderio dei fotoreporter di documentare fatti che percepiscono come pezzi di vera Storia. E così è.

È un mantra che ritroviamo in quasi tutte le storie: voler testimoniare, essere dalla parte dei più deboli, respirare la stessa rabbia dei manifestanti, cogliere l’immagine decisiva, prendere posizione, mettere in salvo la macchina fotografica e i rullini, far vedere al mondo quello che sta succedendo, testimoniare ciò che i potenti, i dittatori cercano di nascondere.

La maggior parte delle fotografie trasferiscono azione, movimento. Quasi tutte in bianco e nero che come diceva Eugene Smith rappresenta disperazione e speranza. Una buona parte delle storie rimandano al Sud America grazie al saggio Fotografía e Historia en América Latina e spesso di fotografi poco conosciuti.

Armindo Cardoso in Cile è riuscito a seguire e fotografare Salvador Allende: “folle indescrivibili sostenevano il Presidente nelle strade: in quel tempo tutto poteva essere fotografato, ad ogni momento e ovunque”. Fino a quando l’11 settembre del 1973 la sua avventura finisce con Pinochet e la sua unica preoccupazione è salvare l’archivio di fotografie della redazione di Chile Hoy. Un fotografo ribelle, curioso, smanioso di documentare la vita dei civili, di non accettare il convenzionale che gli veniva imposto. La sua storia è comune a molti altri fotoreporter che decidono di intraprendere questo mestiere come Eduardo Longoni, giovane fotografo dell’agenzia Noticias Argentinas, che dichiara: “Sentivo sempre di più che la macchina fotografica era il mio modo di parlare e protestare. Presi la macchina fotografica molto presto (appena ventenne) con l’aspettativa che fare delle fotografie sarebbe stato parte della mia militanza contro la dittatura. Non mi interessava l’immagine della violenza per il gusto della violenza stessa, quello che mi interessava era prendere una posizione”. Le stesse forze visive dovute alla tensione della manifestazione, all’incredulità dei civili (donne, ragazzi, uomini …), all’agitazione delle forze dell’ordine le ritroviamo sia nell’immagine di Longoni a Buenos Aires in Plaza de Mayo nel 1982 così come nell’immagine dei manifestanti che fuggono dal gas e che vengono presi dalla polizia in Nicaragua negli scatti di Aurelio Gonzáles nel 1973. Altre manifestazioni ci raccontano l’irrefrenabile desiderio di giustizia come l’iconica foto di Margarita Isabel Montealegre che realizza, nel 1980, senza esitazione un gruppo di contadini che avanzano decisi e fieri e sorridenti brandendo i loro machete per la riforma agraria. Margarita realizza lo scatto della vita tant’è che quella immagine verrà usata su una banconota da venti cordobas.

Non è da meno l’immagine di Gideon Mendel del 1985 a Città del Capo che ritrae l’atteggiamento di un incredulo e apparentemente immobile giovane di fronte alla polizia armata di “sjamboks” (fruste di cuoio) che avanza verso i manifestanti. La furia della polizia contrasta con il primo piano del giovane dalle bellissime mani affusolate, eleganti. Anche questo giovane fotografo nato a Johannesburg inizia a fotografare proprio in quegli anni finali del regime dell’apartheid. Dice Gideon: “Sebbene fossi ufficialmente un membro della stampa, le mie immagini erano estremamente di parte, inquadrate nell’immensa sofferenza delle persone nere sudafricane sotto l’apartheid.” Si replica lo spirito del testimone che è lì e che desidera essere lì e rischiare insieme a chi deve fotografare. Il giovane Dario Mitidieri non si risparmia con le immagini sanguinose del devastante evento in piazza Tienanmen. Un dottore gli aveva detto: ‘Fotografa e fai vedere al mondo quello che sta facendo l’esercito cinese’. La forza di regimi duri contrasta con la fragilità di esseri umani spinti dalla coscienza per difendere la propria vita, la propria libertà. In tanti luoghi – come a Torino, a Pechino, in Germania le folle di giovani, di operai, di donne, di uomini – la macchina fotografica ha avuto un ruolo speciale in quei momenti. È stata lì per registrare la disumanità, l’ingiustizia e lo sfruttamento. Cerca la pace e la speranza. È chiamata dalla storia a schierarsi.

Nell’incalzare di rivoluzioni ci sono due immagini che mi hanno sorpreso per qualche curioso elemento. Una foto del 1959 fatta da Paolo Gasparini: un ritratto di famiglia italiana emigrata a Bobare in Venezuela. Questo fotografo arriva in Venezuela quattro anni prima con le esperienze del dopoguerra italiano, ma porta con sé anche le forme visive del fotografo Luigi Crocenzi, realizzati per la rivista Il Politecnico (1945-1947), diretta da Elio Vittorini.  Inevitabilmente ricorda Paul Strand ma alcuni particolari mi incuriosiscono assai in quell’ambiente estremamente povero: un dignitoso orologio al polso del marito in piedi con il quadrante bianco alla stessa altezza delle patacche grigiastre sulla canottiera, la bambina nuda in braccio ad una mamma che potrebbe essere più bella senza i vestiti lerci e i fogli di giornale attaccati a una presunta scarpa e il bambino che sembra stupito da qualcosa che vede davanti a sé. Ma il quadretto neorealista familiare si completa con i segni dell’ allora cultura italiana: l’immagine del volto di Cristo sulla parete in alto all’ingresso della casa che sembra benedire anche le donnine in pose provocanti in bikini con sigarette e calendari ai due lati dell’ingresso . Una lampadina appesa chiude la visione che sembra costruita per una scena di un film neorealista di De Sica.

L’altra immagine sognante è quella di Jean Pierre Rey, reporter dell’Agenzia Gamma fatta a Parigi il 13 Maggio del 1968. Una fotografia iconica che nasce per caso. Nel giorno del più grande sciopero generale della V Repubblica, che paralizzò la Francia per diverse settimane, Jean Jacques Lebel, noto artista anticonformista si offre di prendere sulle spalle la modella inglese  Caroline de Bendern stanca per la lunga marcia. Lei diventa un simbolo del ’68 per la sua posa con la bandiera del Vietnam che sventola sopra la folla dei manifestanti. “Quando lei vede i fotografi si ricorda di essere una modella. Il resto lo fa il suo fisico statuario, lo sguardo fiero e l’abilità di Jean Pierre Rey.” La fotografia è in bianco e nero ma io la vedo a colori per quel gesto che inevitabilmente rimanda al famoso quadro di Eugène Delacroix.
Fotografa non vorrei esserlo, troppo difficile ma “la Marianne del ’68” sì! Lasciatemi sognare una rivoluzione dolce con la bandiera della Pace che svetta in cima a tutti i cattivi della terra e bella come Caroline! W La Marianne! W La Libertad!

BIOGRAFIE

Federico Montaldo Vive e lavora a Genova. È un avvocato specializzato in diritto civile- commerciale e diritto della fotografia. Oltre alla sua attività professionale, da anni si occupa di divulgazione della cultura fotografica, come promotore di incontri a tema, curatore di mostre e progetti fotografici. Ha pubblicato: Nuraxi Figus. Ultima miniera. Reportage sull’ultima miniera di carbone in Italia (Emuse, 2017). Manuale di sopravvivenza per fotografi. Diritti, Obblighi, Privacy (Emuse, 2019 e 2022); G8/Venti. Un sogno in sospeso (Emuse, 2021). Per Postcart ha curato i testi e la pubblicazione dei volumi di Ivo Saglietti, Lo sguardo inquieto. Un fotografo in cammino (2021) e di Paola Agosti, Itinerari. Il lungo viaggio di una fotografa (2023).

Luciano Zuccaccia Fotografo e curatore editoriale. Si interessa di libri fotografici in qualità di collezionista e studioso, cura progetti editoriali e partecipa come giurato a concorsi sul libro fotografico. Per università, associazioni e scuole di fotografia tiene seminari relativi alla storia e l’evoluzione del libro fotografico, nonché laboratori per la creazione di autoproduzioni editoriali. Dal 2020 ha avviato la super interessante piattaforma www.protestinphotobook.com dove propone, alla visione, libri fotografici riguardanti le proteste nel mondo, per una ricerca sull’argomento. Con la casa editrice Postcart ha pubblicato, nella collana Postwords, il saggio Un mondo libri. Luciano vive e lavora a Montefiascone.

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