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Vivian Maier Sulla fotografia della vita quotidiana (Parte I)

di Pino Bertelli

“Perché a chiunque ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza;

ma a chiunque non ha, gli sarà tolto anche quello che ha”.

Matteo 13, 12

 

 

1.Sulla fotografia dell’indegnità

 

La fotografia è nata da un Dio ubriaco di mercantilismo… in principio sollazza la noia della bella borghesia di metà ‘800, poco dopo, l’effluvio fotografico o l’industrializzazione della fotografia inizia a serpeggiare tra le folle… re, regine, nobiltà, politici e artisti… furono affiancati dalle immagini di viaggi, architetture urbane, memorie familiari, povertà delle periferie, guerre e carneficine… le “cassette magiche” furono sostituite dalle piccole fotocamere 35 mm e finalmente anche il popolo poteva possedere uno strumento al quale bastava schiacciare un bottone per impressionare la realtà della vita quotidiana… è vero, la fotocamera è uno strumento capace di catturare l’immagine, di crearla, di intrecciare tempo, luce e spazio, diceva Walter Benjamin (da qualche parte), per esprimere una poetica o una narrazione della storia dell’uomo e dei suoi tradimenti, anche. Tutta la fotografia a venire precorre la conoscenza e la coscienza popolare, e la significazione più profonda dell’immaginale fotografico, in massima parte, rispecchia o innalza le apparenze al livello di uno stile, che è quello dell’industria culturale.

Certo, ci sono stati e ci saranno sempre i “fuori gioco” dell’immagine fotografica, più o meno celebrati o recuperati dai cortigiani della civiltà dello spettacolo… irriducibili ad ogni forma di soggezione o ribelli agli inganni del privilegio… tuttavia, c’è più distanza tra un poeta disconosciuto della fotografia e un mito costruito ad arte, che fra una stella e uno sputo, diceva… la fotografia è un’affabulazione dei nostri eccessi, delle nostre dismisure e sregolatezze, o non è niente… solo una malattia culturale, paludata di speranze senza nudità primordiali! Un mattone dell’edificio delle lusinghe costruito sul discredito, il sarcasmo e il supplizio… o l’enorme bacino della vocazione spirituale della fotografia che passa dai lupanari delle folle e cimiteri delle definizioni! Poiché ogni immagine è il riflesso o l’impronta di un’ordine supremo o un pretesto di pietà sul dolore immutabile d’ogni epoca, solo la fotografia in amore che si oppone alla farsa vertiginosa dei domani prescritti, solleva l’anima da ogni idea di verità che non contenga l’insurrezione dell’intelligenza. La fotografia insegnata tormenta soltanto assassini, santi e tutti quelli che dicono la “mia fotografia è arte”, senza fare dell’arte la gioia di vivere fra liberi e uguali.

Merda! puttanaccia la miseria!… corpo di un cristaccio morto (sempre troppo tardi)!… che il diavolo se lo porti!… insieme alla masnada di canaglie che lo adorano!… alla pretaglia senza regalità e alla nobiltà dell’odio affinato!… tutti al macello!… con i saprofiti del sapere!… buoni loro!… fedeli servitori di ogni potere!… in ogni epoca!… poliziotti dell’intelligenza!… adulatori di forche!… arlecchini di molti padroni!… alla garrotta!… senza lacrime!… in pasto ai cani randagi… l’appellativo di  ribelle a tutto!… senza dio né patria!… è l’insulto più elogiativo che si possa rivolgere a un uomo in rivolta!

L’indignazione universale passa dalla coscienza insorta e della conoscenza che gli uomini di potere sono validi solo il giorno in cui pendono dalle loro stesse forche!… battuta di spirito (ma non troppo): nell’immaginario di un padrone si cela un’anima di assassino. È sempre quello che detestiamo a qualificarci!… lo sanno perfino i ritardati mentali! “Quando incontriamo un essere vero, la sorpresa è tale che ci  chiediamo se siamo vittime di un abbaglio” (E.M. Cioran) o comparse in un banale film da Oscar alla Spielberg o Tarantino o Benigni…. lo scoramento è sapere che l’ottimismo è una mania degli imbecilli e la speranza il postribolo degli agonizzanti. Meglio l’utopia!… che è l’arte del ribaltamento di prospettiva!… almeno sappiamo contro chi sputare!… bisognerebbe essere nel partito dei deficienti per credere che l’arroganza della finanza, la corruzione della politica o le armature della fede possano portare a qualcosa di buono!… allora tabula rasa!… prima sarà!… meglio è!… l’amore dell’uomo per l’uomo insegue il profumo di libertà e di giustizia sul filo dei secoli!… e solo i bambini, i poeti e i folli sanno che la bellezza coincide col cammino che porta dalla rivoluzione dell’umano nell’uomo.

Il fotografo senza patria s’intrattiene più col barbone che ascolta Mozart che con Dio… poiché conosce l’orgoglio di non governare mai, di non disporre di niente e di nessuno… non ha sottoposti né padroni! Non detta leggi né riceve ordini! Sa che c’è un macellaio e un santo in ogni fotografo e in una mescolanza tra grazia e imbecillità, degrada la bellezza e la giustizia che contiene la fotografia, al ballo mascherato della celebrità! Il segreto dei fotografi moralisti è quello di non avere nessuna morale, che non sia quella che aspira alla salvazione della propria operetta benificata… forse è per questo che stimo di più un prete che s’impicca di un fotografo vivo!

È la fotografia dell’indegnità mercantile che tradisce la vita quotidiana e la fotografia stessa, invece di rendere la vergogna del potere ancora più vergognosa… gli ultimi, gli esclusi, gli sconfitti… porco boia!… l’abbiamo gridato cento!… mille volte!… cadono in fotografia come i Comunardi sulle barricate di Parigi!… il mondo comincia e finisce con loro!… per la miseria!… e i fotografi?… i fotografi fissano il loro assassinio in bella posa per la storia dei vincitori!… bella roba!… la fotografia che vale non ha bisogno di martiri!… né di eroi!… tantomeno di gente che fa della fotografia una sommatoria del miserabilismo o dell’edonismo da galleria.

I diseredati hanno diritto alla dignità (calpestata dai governi) e non dello spettacolo decadente che deterge millenni di soprusi invendicati!… applicare la fotografia come crocifissione e resuscita del delitto di indiscrezione, è come riprodurre i ferri dei dominatori e infierire su chi ha come primo pensiero del mattino — non morire per fame o in qualche guerra sostenuta dai governanti dello spettacolare integrato —… si può essere fieri di ciò che si è fotografato, ma si dovrebbe esserlo molto di più di ciò che abbiamo contribuito a smascherare. Anche la fotografia sociale è da reinventare.

La fotografia può esistere senza la realtà, ma non senza la possibilità della realtà… al culmine dell’indecenza una sola immagine riuscita vale più di tutto il sapere fotografico… il resto è comunicazione abortita!… roba da dizionario per rincitrulliti dell’impero dei media!… sozzura patinata!… megalomania dell’impotenza!… che schiattino i fotografi senza utopie!… al macero tutti!… insieme alle loro immagini da boudoir!… ci si può immaginare un fotografo che non abbia in corpo la voglia di ammazzare, prima di fotografare?… c’è sempre un premio internazionale che lo abilita all’assassinio!… è sempre quello contro cui ci scagliamo o assolviamo a qualificarci briganti o coglioni!… la fotografia, va detto!… esprime la magia del disinganno o è parte del firmamento dell’ipocrisia!… sbarazzarsi della fotografia, ad ogni livello o stadio di putrefazione estetica, significa non privarsi del piacere di mostrare la sua ridicolezza!… fotografi, critici, storici, addetti alla manutenzione mercantile della fotografia… confondono debitamente il genio col cretinismo, senza sapere mai che la bellezza della fotografia sta in ciò che c’è di più arcaico e vitale nell’intera umanità, la rivolta.

Gli dèi di ogni arte, di ogni fede, di ogni politica sono sempre all’erta… vivono nel terrore di essere declassati a piccoli uomini quali sono!… costruiscono mitologie e rancori ordinari perché non sanno nemmeno accendere il fuoco di una stufa! né acquistare il biglietto di un treno o deporre una rosa rossa sui maglioni inzuppati di sangue delle giovani generazioni che nel passato — come oggi — hanno osato assaltare il cielo spento dei potenti… e fatto dell’utopia incendiaria i migliori anni della loro vita.

Il disgusto per ogni potere è un sintomo di salute!… una condizione necessaria per andare al di là dei propri singhiozzi… fare della propria esistenza ereticale un’opera d’arte. Mai il potere si è stimato così tanto!… mai l’arte è stata così asservita!… mai la stupidità (specie quella elettorale) è stata così diffusa!… è così che si creano i destini!… i fuori gioco non meritano desideri!… solo miseria, centri commerciali e bombe!… il Nobel per la pace la vecchia Europa se lo merita proprio!… il traffico d’armi, della droga, dei diamanti, dell’acqua, i colpi di Stato della finanza internazionale… passano da qui! (benedetti dalla bandiera a stelle strisce di Wall Street)… le democrazie parassitarie si sostengono bene!… come i regimi comunisti!… esistono finché dura il sostegno degli schiavi che hanno allevato!… come per dio!… finché dura la stupidità della grazia e della vita eterna.

Al fascino dell’adulazione politica e al fervore ottimista degli eruditi, preferiamo di gran lunga la compagnia dei quasi adatti”, ubriachi o folli… perché non vogliono avere ad ogni costo dei discepoli…  i ricchi, i militari, i governi promuovono le guerre, i popoli le subiscono… i profili dei malvagi sono sempre gli stessi… gloria, onorabilità, decoro sono l’idolatria delle codificazioni che autorizzano le carneficine della civiltà…  “a che pro frequentare Platone, quando basta un sassofono a farci intravedere un altro mondo?” (E.M. Cioran)[1]. Anche la fotografia senza compassione né malinconia si afferra alle nefandezze del passato o alle buffonerie del futuro…la fotografia che si avvicina alla verità è superiore sia alla verità che alla fotografia. La fotografia, quando è grande, esprime il ritratto di un’epoca.

[1] E.M. Cioran, Un apolide metafisico. Conversazioni, Adelphi 2004

[Continua…]

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