Dal 9 febbraio al 26 giugno 2022, le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino ospitano la mostra di Vivian Maier, ormai superstar della cosiddetta street photography, così celebre che chiunque si interessi alla fotografia si è ormai imbattuto nella sua bizzarra storia almeno due o tre volte.
Il titolo Inedita presuppone di mostrare cose mai viste prima. Qualcosa di inedito c’è ma più che altro racconta aspetti sconosciuti o poco noti della vicenda umana e artistica di Vivian Maier, approfondendo nuovi capitoli e in effetti proponendo anche lavori finora inediti, come le immagini a colori e la sequenza di viaggio in Italia, in particolare a Torino e Genova, nell’estate del 1959.
L’esposizione presenta oltre 250 immagini; a queste si aggiungono dieci filmati in formato Super 8, due audio con la sua voce e vari oggetti che le sono appartenuti come le sue macchine fotografiche Rolleiflex e Leica, e uno dei suoi cappelli.
Devo però essere sincero, mi sono trovato di fronte a delle immagini davvero affascinanti, intriganti, curiose, fotografie che raccontano un mondo antico dove vivono persone che sanno di film: il tutto davvero straordinario. Vivian Maier meritava di vivere tutto questo successo…. ma la sensazione ormai è quella di voler far soldi da tutto quello che si può spremere dalle memorie analogiche di questa donna ignara del successo postumo.
A tratti è imbarazzante.
Ci sono dei cartellini appiccicati al muro con delle frasi inventate dove si immagina Vivian che ti parla e ti racconta cose come se stesse parlando ad uno dei bambini che accudiva: tipo – Sai, se mentre guardi le mie fotografie ti sembra che io le abbia fatte senza pensare e di fretta devi sapere che invece ero una che sapeva aspettare il momento giusto.”
E non è tutto, sui muri hanno riportato aforismi di filosofi, poeti e scrittori, cercando un fil rouge con le fotografie.
Ma che senso ha? Ma perché?
Sembra quasi che dovevano riempire le stanze come se le foto non fossero sufficienti.
Un mio maestro diceva sempre che se dopo aver fatto una fotografia ti veniva voglia di mettere qualcosa di più, forse era perché non avevi fatto una buona fotografia.
Leggere gli aforismi sul muro e le finte frasi di Vivian ai bordi delle porte distrae e basta, è un di più inutile. Anzi, abbassa il livello. E poi ci sono i totem in quasi ogni stanza e poi ci sono i video e poi ci sono le registrazioni sonore, i provini e si sfiora il feticismo con il cappello e le sue fotocamere e i contenitori delle scatole di pellicola con le sue scritte sopra (!!!) Vi prego basta!
Con un personaggio pazzesco come VIVIAN MAIER basta la storia della sua vita e la vicenda dei rullini ritrovati, poi il silenzio mentre guardi le immagini delle sue passeggiate americane e in giro per il mondo. Fotografie che farebbero venire l’invidia a Cartier-Bresson.
Vidi la prima mostra di Vivian Maier a Brescia alla galleria dell’Incisione, non so quanti anni fa, credo fosse il 2012. Era incentrata sui bambini e fu una delle prime mostre in Italia se non erro. Poche stampe, perfette. Maier era ancora pressoché sconosciuta ai più. Vidi poi il celebre documentario e ne rimasi estasiato. Poi andai a visitare altre mostre un po’ ovunque, davvero incredibili, …poi hanno iniziato a esagerare.
Un po’ come Steve Mc Curry, ottomila mostre che girano e rigirano in tutte le vesti:
i ritratti di Steve, i bambini di Steve, i viaggi di Steve, le persone che leggono, le famiglie che mangiano, gli animali, i paesaggi, …e basta!
Mc Curry è vivo e avrà i suoi motivi per accettare tutto questo scempio del suo lavoro, ma Vivian no, caspita. Centellinatele queste immagini, fate un editing pensato, date alla luce il meglio, con calma, mantenete un’eleganza, una curiosità, non date tutto in pasto sennò è ovvio che stia dilagando un po’ ovunque una stanchezza dal lavoro della bambinaia. E non se lo merita. L’avete creata e ora la state distruggendo.
La mia personale sensazione è che le stiate mancando di rispetto e questo mi rattrista moltissimo.
Per quei pochi che ancora non conosco questa triste ma curiosa storia, ecco qui la sintesi, ma se potete guardate il documentario “Alla ricerca di Vivian Maier” e almeno una mostra andatela ad ammirare.
Nata a New York da madre francese e padre austriaco, Vivian Maier (1926-2009) trascorre la maggior parte della sua giovinezza in Francia, dove comincia a scattare le prime fotografie utilizzando una modesta Kodak Brownie. Nel 1951 torna a vivere negli Stati Uniti e inizia a lavorare come tata per diverse famiglie. Una professione che manterrà per tutta la vita e che, a causa dell’instabilità economica e abitativa, condizionerà alcune scelte importanti della sua produzione fotografica. Fotografa per vocazione, Vivian non esce mai di casa senza la macchina fotografica al collo e scatta compulsivamente con la sua Rolleiflex accumulando una quantità di rullini così numerosa da non riuscire a svilupparli tutti.
Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del nuovo millennio, cercando di sopravvivere, senza fissa dimora e in gravi difficoltà economiche, Vivian vede i suoi negativi andare all’asta a causa di un mancato pagamento alla compagnia dove li aveva immagazzinati. Parte del materiale viene acquistato nel 2007 da John Maloof, un agente immobiliare, che, affascinato da questa misteriosa fotografa, inizia a cercare i suoi lavori dando vita a un archivio di oltre 120.000 negativi. Un vero e proprio tesoro che ha permesso al grande pubblico di scoprire in seguito la sua affascinante vicenda.
Tutte le fotografie riprodotte dalla mostra sono:
©Estate of Vivian Maier – Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, New York.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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