DELLA FOTOGRAFIA SOVVERSIVA DALLA POETICA DELLA RIVOLTA ALL’ETICA DELL’UTOPIA
…Ma non voglio parlare di me. Desidero parlare soltanto di fotografia e di ciò che possiamo realizzare con l’obiettivo. Desidero fotografare ciò che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore”.
Tina Modotti, 1926
Sempre, quando le parole “arte” e “artistico” vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo. Questo è dovuto sicuramente al cattivo uso e abuso che viene fatto di questi termini. Mi considero una fotografa, niente più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni. La maggior parte dei fotografi vanno ancora alla ricerca dell’effetto “artistico”, imitando altri mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che non riesce a dare al loro lavoro le caratteristiche più valide che dovrebbe avere: la qualità fotografica.
Tina Modotti, 1929
I. DALLA POETICA DELLA RIVOLTA ALL’ETICA DELL’UTOPIA
Dopo Auschwitz nessuno può parlare di fotografia senza dire qualcosa su qualcosa o possibilmente contro qualcuno. La bellezza (non solo) della fotografia, è negli occhi di chi guarda. “L’ora di chiusura della fotografia mercantile risuona nelle camere a gas della civiltà dello spettacolo. Ogni fotografia è il risultato delle nostre azioni, delle nostre mediocrità prezzolate. Le menzogne stampate su carta patinata incantano solo gli stupidi o i mercanti di sogni… la fotografia-argot 2 o della radicalità visuale non è un veicolo dell’odio ma uno strumento, un grimaldello, un’arma di dissolvimento della s/ragione dominante. “In una società dove tutto è proibito, si può fare tutto: in una società dove è permesso qualcosa si può fare solo quel qualcosa” (Pier Paolo Pasolini). Nell’epoca della falsificazione e del conformismo sociale la sovrapposizione delle conoscenze serve a nascondersi meglio… l’ordine presente è la burocratizzazione del disordine spettacolarizzato. Voltaire da qualche parte ha scritto (mi pare in Candide): ”In questo paese è bene ammazzare di tanto in tanto un ammiraglio, per dare coraggio agli altri”.3 Soltanto là, dove il mondo è sentito come periferia o come autenticità della storia, l’uomo avverte la necessità di trasformazione della vita quotidiana. Fin quando esisteranno sistemi autoritari, dogmatici o semplicemente di dominio dell’uomo sull’uomo, ci sarà la rivolta nelle strade della terra. L’uomo in rivolta trasfigura tutto e nella dismisura della sua disobbedienza radicale, valica il limite della morale concessa e si trasfigura in novello generatore di realtà differenti. La rivolta è all’opposto della rivoluzione, che è una delle forme politiche dell’ideologia. La rivolta emerge dal reale ed è in continua lotta, non solo verso la verità, ma anche per fare della libertà l’agorà di tutte le iniziazioni sociali. L’uomo in rivolta accende negli occhi e nel cuore il “meraviglioso”, il nichilismo dei poeti di strada che fa del “caso” il primo passo per minare alla radice l’ordine costituito e far saltare in aria i farabutti del Palazzo. Il grande ribelle si chiama fuori dal carcere della storia e dalla menzogna di Dio, la sua selvaggia liberazione non risparmia nessuno, si sbarazza di Dio, degli idoli e dei parlamenti e passa ad abbattere i santuari dell’oppressione. La rivolta (a differenza della rivoluzione) è il movimento stesso della vita. “Il suo grido più puro fa sì che ogni volta sorga un nuovo essere” (Albert Camus).4 Quando l’uomo ha fame o è vittima di chi lo affama, la rivolta non è solo necessaria ma è il principio d’ogni denuncia e il canto d’ogni rivendicazione sociale dei più elementari diritti umani. L’uomo in rivolta insorge contro la storia che lo vuole servo e schiavo. L’Esseno, amico di Spartaco, crocifisso alle porte di Roma con migliaia di schiavi che si erano ribellati a chi li aveva incatenati, prima di morire sorrise e disse: “Beati coloro che impugnano la spada per porre fine al potere delle bestie, coloro che erigono torri di pietra per giungere alle nubi, che salgono la scala per battersi con l’angelo; perché loro sono i veri figli dell’uomo”.5 Là dove gli insorti hanno sporcato di sangue i loro paesi, i conquistatori li hanno trasformati in mattatoi. La poetica della rivolta e la visione dell’utopia sono al fondo della scrittura fotografica di Tina Modotti. A leggere con attenzione e grazia le sue immagini di presa del reale, non è difficile scorgere la radicalità del suo sguardo e la grande forza estetica ed etica che emergono da ogni singola fotografia. La Modotti strappa il velo del dominio dell’apparenza e non partecipa alla codificazione dei valori dominanti.
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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