Verrà presentato presso la sede della regione Calabria alla presenza delle massime autorità politiche calabresi e dei dirigenti scolastici della regione
Una civiltà, una nazione, una regione, una città, un paese non può progettare il proprio futuro se non alla luce del proprio passato. Perché è lì che trova la propria identità e la spinta per elaborare prospettive nuove, per inventare la vita lì dove il futuro sembra chiudersi nell’aridità di un presente senza speranza. Globalizzazione significa, anche, che le periferie sono divenute altrettanti centri.
Non esiste più un asse unico, ma ne esistono tanti, che si intersecano tra di loro, nella loro pluralità di storie, di geografie, di condizioni materiali e spirituali. Globale e locale entrano in rapporto dinamico. In questa dimensione la letteratura assume un ruolo privilegiato, diviene una delle forme primarie attraverso cui è possibile far dialogare il locale e il globale, la provincia e il sistema-mondo.
La letteratura si radica in una propria lingua, si àncora ad una realtà specifica, appartata, talvolta anacronistica, spesso isolata; dall’altro vive nella contemporaneità più spinta. La letteratura racconta il mondo; e lo scrittore diviene custode e interprete della memoria e del nuovo, di ciò che ci proietta verso il futuro e al di là della memoria.
Perché lo scrittore è testimone di ciò che si trasforma. E continua a parlare al tempo, nel tempo.
È accaduto che nell’arco di pochi anni e di pochi chilometri nella Locride siano nati cinque importanti scrittori calabresi; e lì abbiano maturato quello che Alvaro definisce «l’inventario dell’universo». Sono le esperienze fondamentali della vita, la percezione di ciò che è la vita e il mondo. Poi c’è il trapianto in nuove realtà, nuovi mondi, ma ciò che hanno vissuto, imparato, sognato, rimane. E dal contatto fra il vecchio e il nuovo nasce la loro vitalità artistica, la loro interpretazione del mondo, la loro capacità di leggere il presente alla luce del futuro. Questi scrittori sono Corrado Alvaro, Mario La Cava, Saverio Montalto, Francesco Perri e Saverio Strati, che costituiscono il corpo di questo volume del «Terzo Regno», la collana che si propone di illuminare la grandezza culturale della Calabria soprattutto (ma non solo) alla generazione Z. Quella che ― si dice troppo spesso ― non legge, si disinteressa del passato, vive nell’effimero dell’istante, non acquisisce il senso critico, è incapace di avere un proprio sguardo sul mondo.
Ma è davvero così? O, invece, è colpa degli operatori culturali che non riescono a entrare in sintonia con i giovani? Che non riescono a trovare gli strumenti giusti per fare dialogare la letteratura (e la letteratura che è scaturita dal territorio) con il loro essere nel mondo?
Questo volume del «Terzo Regno» nasce dalla convinzione che tutto ciò sia possibile. Che bisogna parlare ai giovani con un linguaggio diverso, per raggiungerli e incuriosirli. Per scuotere accidie e apatie, lì dove sono presenti. Per suscitare coscienza e conoscenza. Per infiltrare in loro la consapevolezza che la letteratura testualizza il mondo. E leggere un testo significa poi saper leggere il mondo, elaborare nuove prospettive, nuove strategie, nuove visioni. Inventare la vita lì dove sembrerebbe esserci solo il deserto.
È stato scritto giustamente che troppo spesso la cultura ha cancellato il pensiero per immagini. Che da Platone in poi c’è stata una direzione costante contro il sapere per immagini, contro il “pensare per figure”. Perché la verità del mondo risiederebbe solo nel linguaggio verbale e si aprirebbe solo ad esso. Ma non è così. Già Freud ha dimostrato che per penetrare la conoscenza del mondo e di ogni individualità bisogna possedere una “lingua di figure”; e sono le immagini che illuminano il mondo, noi stessi, i grandi sconvolgimenti individuali e collettivi.
Questo volume s’intitola Terzo Regno – Parole come pietre e luci. Le parole dei cinque scrittori sono pietre, che colpiscono la nostra apatia. E sono luci, che ci ricordano ciò che siamo stati, nei secoli, e ciò che possiamo divenire, se prendiamo coscienza di chi siamo. E usa un linguaggio diverso, attraverso tre differenti strumenti narrativi: quello saggistico, attraverso brevi scritti che vogliono essere un invito alla lettura (divulgativo, ma rigoroso a livello scientifico); quello degli aforismi prescelti: brevi citazioni che condensano la visione del mondo, da parte dello scrittore, e la sua forza proiettiva di rivolta contro la subalternità; e quello, privilegiato, delle immagini. Un grande fotografo, Pino Bertelli, reinterpreta l’opera di Alvaro, di La Cava, di Montalto, di Perri e di Strati attraverso il paesaggio che è stato il loro, attraverso le immagini che lo colgono in modo rivelante, esprimendone l’anima profonda. E i tre linguaggi si fondono, si compenetrano: sono diversi e convergenti. Rivelano, come mai prima d’ora.
Come si può comprendere uno scrittore se non conoscendo per immagini, per scorci, per visioni, per percorsi, il suo mondo?
Tutti i cinque autori calabresi, anche quando hanno abbandonato la loro terra, hanno nutrito la loro arte del mondo originario. Hanno letto la loro contemporaneità alla luce del mondo in cui sono nati e in cui hanno vissuto le prime esperienze, fondamentali e marchianti per sempre. Attraverso le immagini si disegna questa coesistenza del passato e del presente; e si profila, in controluce, un possibile futuro. Cinque storie diverse, ma unitarie nel loro partire dalla loro terra per tornare alla loro terra, attraverso la scrittura. Anche quando, come nel caso di La Cava e di Montalto, si è continuato a vivere in Calabria. Cinque narrazioni di vite, di esperienze, di drammi personali, di mondi: pietre di parole.
Parole che divengono luci.
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