Cosa può innescare, far vivere, incendiare come una crepitante scintilla questa fotografia? Attrae, respinge? È famosa, non lo è? La sua forma tonda con una specie di oblò in mezzo mi fa pensare alla testa di uno scafandro. Però non sembra credibile a causa di quella stoffa rossa a pieghe, morbida, con una fascia dal sapore folkloristico. E poi cosa sono mai quegli inserti tagliati tondi colorati?
Mi piace giocare un poco con lei, giusto per alimentare la fantasia e stuzzicare la curiosità di scoprire chi c’è dietro all’immagine. La didascalia ci viene in aiuto Ishiuchi Miyako “Frida. Il body in gesso. Gonna rossa con reggiseno a corsetto con grande foro. 2012/2015”.
Adesso sì che possiamo liberare i nostri pensieri.
Questo tipo di immagini segna una svolta nel linguaggio della fotografia. Una svolta epocale almeno nell’immaginario, la prova che il miracolo, la magia del ricordo e della memoria delle persone possa avvenire attraverso immagini che documentano i loro volti, i loro ambienti. Insomma attraverso una narrazione apparentemente retorica.
D’altronde la storia dell’arte occidentale ci ha abituato alle immagini del dolore di Cristo sulla croce, ci ha legato alla necessità di attribuire sempre un volto e un contesto per sfiorare il mistero di Dio.
Ishiuchi Miyako cerca altre soluzioni senza attingere alle rappresentazioni storiche.
Questa celebre fotografa giapponese ha iniziato a riprendere gli oggetti anziché i luoghi di persone che hanno lasciato un segno su di lei: nella sua vita familiare, nella storia dell’arte e negli eventi storici. Lo fa con una notevole abilità.
Ishiuchi Miyako è una artista eccellente, orientale, giapponese fino al midollo, che respira l’arte come emanazione di un dolore troppo complicato da raffigurare. Come rendere il dolore attraente e non sfuggente e non retorico affinché anche le persone più indifferenti possano avvicinarsi?
Sì, Ishiuchi rende accessibile il dolore. Lei esprime la sua sofferenza di essere umano così, con la bellezza estrema di uno still life appartenuto a qualcuno che ha avuto un significato profondo nella sua vita.
L’artista Ishiuchi rimase, immagino, affascinata dalla vita dolorosa e coraggiosa di Frida Kahlo un’artista come lei, una pittrice morta nel 1954, sette anni prima della sua nascita. Alla morte di Frida Kahlo, nel 1954, suo marito, il pittore Diego Rivera, chiuse tutte le cose che le appartenevano in un bagno della loro casa di Messico City, chiedendo che la porta venisse aperta 15 anni dopo la propria morte. In realtà la stanza è rimasta chiusa fino al 2004.
Immagino cosa ha potuto provare Ishiuchi quando nel 2012 ha visitato la stanza piena di abiti, accessori e di oggetti privati della grande artista. Entrare nella vita di Frida Kahlo che ha affrontato la sua vita di donna, artista, attivista politica con coraggio e passione dopo il terribile incidente che le martoriò il corpo a soli 18 anni e che la costrinse a vivere in preda a dolori indicibili, a continue operazioni chirurgiche, controlli medici. Immaginiamo quel momento: due vite che si incontrano in una stanza, due vite che sanno cosa significa soffrire, due vite di donne, due vite di artista. Scattiamo fotografie come parliamo, perché siamo mortali, parole e foto non sono segni, sono anni. Dicendo ciò dicono tempo, sono nomi del tempo.
Quando ho visto questa fotografia la prima volta l’ho guardata come se fosse un semplice still-life e solo dopo alcuni anni sono riuscita a coglierne, credo, il vero significato. Questo abito racconta Frida Kahlo, racconta di una donna che non ha ceduto ad essere vittima del destino. Ha sempre voluto affrontare la vita con la normalità di che è in salute anzi, di più bruciarla, saziarsene, farne spettacolo e racconto! Occorrono virtù e vizi tenaci per tenersi a galla, per salvare quei modi intraprendenti che servono per resistere alla malia del naufragio o del singhiozzo.
In questo abito mi sono immaginata il dolore che il busto le procurava ma che la rendeva normale, mi sono immaginata la scelta di un vestito bello, elegante, seducente, femminile, mi sono immaginata la creatività anche nell’inserire nel corsetto pezzi di stoffa, schegge di vetro e disegnare la falce e il martello simbolo di una militanza in un partito che si schierava per gli umili, gli oppressi, i lavoratori in un paese dove anche un’altra donna, forse anche la sua amante, Tina Modotti ha scattato foto da folgorante artista e attivista come lei.
Come ha fatto Frida Kahlo a sopportare il dolore, a imporsi come artista, a creare una vita così esemplare, a non protestare con il destino, un segno che appartiene a chi non ha attraversato alcun calvario?
La risposta forse è molto semplice: «Pensavano che anche io fossi legata al movimento surrealista, ma non è vero. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni.»
Ishiuchi fotografa la realtà rimasta in un abito che per indossarlo sarà costato a Frida qualche penosa complicazione fisica. Una vita rinchiusa in un corpetto per poter vivere, per dimostrare che è possibile dialogare con il dolore fisico. Solo stoffa? Eppure ci svela l’altro lato, l’ombra interiore degli esseri e delle cose, siamo di fronte agli istanti che sono nudi.
È di Ishiuchi: “Non riesco a smettere di scattare fotografie di cicatrici perché sono così belle come una fotografia. Sono eventi visibili, che ricordano il passato. Sia le cicatrici che le fotografie sono manifestazioni di dolore che non possono essere più recuperate”.
“Frida” è il titolo della raccolta fotografica realizzata da Ishiuchi Miyako Ishiuchi, con l’obiettivo della sua Nikon da 35 mm, che racconta il guardaroba dell’artista Frida Khalo. In questo guardaroba scopriamo gli stivaletti di cui uno con un tacco più alto, i guanti in velluto, gli occhiali a gatto dorati, la protesi alla gamba, i corsetti in gesso decorati con colori sgargianti, le lunghe gonne a fantasie surrealiste legati alle stampe antiche del Messico. Più di 300 pezzi del guardaroba dell’artista messicana.
Dal suo guardaroba emerge la vita di Frida una vita intensa tutta al femminile fatta di amori, determinazione, volontà, convinzioni, traumi, incubi. Due donne artiste che hanno saputo rivoluzionare, in epoche e paesi diversi, il loro sentire con sguardi nuovi, con produzioni – immagini, dipinti – fuori dal convenzionale, dal comune. Due donne che hanno attinto al loro dolore, immerso nel sangue dei loro corpi, l’energia per creare nuovi linguaggi, nuove emozioni.
Per Miyako: “Scattare una foto significa misurare la propria distanza dal soggetto e rendere visibili le cose invisibili che si trovano sotto la superficie.”
DIDASCALIA Ishiuchi Miyako “Frida. Il body in gesso. Gonna rossa con reggiseno a corsetto con grande foro. 2012/2015”
BIOGRAFIA
Miyako Ishiuchi nasce il 27 marzo1947 a Nitta, distretto di Gunma. Dopo essersi trasferita con la famiglia a Yokosuka, alla fine del 1960 si trasferisce a Tokyo per studiare design tessile presso la Tama Art University. Avendo, tuttavia, ben presto iniziato con il lavoro fotografico, lascia gli studi prima di laurearsi. Nello stesso anno espone le sue prime fotografie sotto il nome da nubile della madre, Ishiuchi Miyako, che da allora adotterà come suo. Ishiuchi Miyako ha iniziato la sua carriera fotografica fotografando strade ed edifici familiari nella sua città natale, Yokosuka, trasformata nel dopoguerra in una delle più grandi basi navali americane del Pacifico. Per oltre dieci anni, Ishiuchi ha documentato questa presenza aliena, catturando le tracce dell’occupazione statunitense che permanevano decenni dopo la fine della guerra e caricando il suo lavoro di una soggettività che mescolava consapevolezza personale e politica. Da studentessa, Ishiuchi era immersa nel clima politico radicale della Tokyo della fine degli anni Sessanta. Le politiche identitarie contemporanee e i dibattiti sull’espressione di sé hanno incoraggiato Ishiuchi a riflettere sul suo rapporto difficile con Yokosuka e nel 1976 è tornata nella città che ha descritto come un luogo di paura, dolore, risentimento e disorientamento. Usando i soldi che suo padre aveva salvato per il suo futuro matrimonio, produce le stampe e pubblica il libro Yokosuka Story, che prende il nome da una canzone pop giapponese. Per Ishiuchi, il processo fisico di creazione delle stampe, che ha imparato da sola sperimentando in una camera oscura allestita a casa, ha un’importanza fondamentale. Il suo stile monocromatico a grana grossa di questo periodo è stato paragonato allo stile are-bure-boke (ruvido, sfocato, fuori fuoco) reso popolare da Daidō Moriyama. Questa estetica distintiva è stata elogiata da Tōmatsu Shōmei ed è stata celebrata in numerose mostre in patria e a livello internazionale, presso istituzioni come la Tate Modern di Londra, l’International Center of Photography e il Museum of Modern Art di New York. Miyako, infatti, fa parte di un gruppo di fotografi giapponesi, come Tomatsu e Moriyama che hanno affrontato il trauma post bellico giapponese. Il lavoro di Ishiuchi ha continuato a registrare le tracce materiali del passaggio del tempo, spostando l’obiettivo dai luoghi ai corpi e agli oggetti personali delle persone. La serie Mother’s (2002), in cui documenta gli oggetti di sua madre come mezzo per affrontare la sua morte, è stata selezionata per rappresentare il Giappone alla Biennale di Venezia del 2005. Ciò ha indotto il Museo del Memoriale della Pace di Hiroshima a invitarla a immortalare oggetti di uso quotidiano appartenuti alle vittime della bomba atomica. Il Museo Frida Kahlo ha incaricato Ishiuchi di fotografare gli oggetti di Kahlo conservati nell’archivio del museo (Frida, 2013). Durante la sua brillante carriera fotografica, Miyako Ishiuchi è stata premiata con il più alto riconoscimento giapponese per la fotografia: il Kimura Ihei Memorial Photographic Award nel 1979 e con il prestigioso Hasselblad Award nel 2014. Ishiuchi ha pubblicato 20 libri, tra i quali segnaliamo: Yokosuka Story (1979), Endless Night (1981), To the skin (1947), Mother’s (2002) e Club and Courts Yokosuka Yokohama (2007). Ishiuchi è stata protagonista di retrospettive personali, tra cui quelle al J. Paul Getty Museum di Los Angeles e al Museo d’Arte di Yokohama. (Fonti: https://www.michaelhoppengallery.com/artists/90-ishiuchi-miyako/ e https://fotografiaartistica.it/miyako-ishiuchi-il-fascino-dellanomalia/#google_vignette)
Altri articoli di questo autore
Reportage Parte 3 | ARLES, LA FOTOGRAFIA IL FESTIVAL
Reportage Parte 2 | ARLES, LA FOTOGRAFIA IL FESTIVAL
Reportage Parte 1 | ARLES, LA FOTOGRAFIA IL FESTIVAL
W LA LIBERTAD FOTOGRAFIE DI PROTESTA
TORINO, LA FOTOGRAFIA, IL FESTIVAL
Dal 2015 mi dedico attivamente al progetto ArtPhotò con cui propongo, organizzo e curo eventi legati al mondo della fotografia intesa come linguaggio di comunicazione, espressione d’arte e occasione di dialogo e incontro. La passione verso la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale fra cui Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Ellen von Hunwerth, Marino Parisotto, Elliott Erwitt e i più famosi fotografi dell’agenzia Magnum.
No comment yet, add your voice below!