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Sulle orme di Vincent

di Maria DI Pietro

La carne è triste, ahimè, e ho letto tutti i libri.

Fuggire! Fuggire laggiù… Partirò!

(Mallarmè)

Ho sempre avvertito forte il richiamo della sua anima.

Le sue pennellate folte delle tinte del mondo emettevano voci di storie vissute; le ho sempre udite e il desiderio di percorrere i luoghi dove i suoi scarponi hanno camminato, mi ha portato ad andare oltre le pagine dei suoi libri e le parole delle sue lettere.

Sono proprio qui, sono arrivata al paese giallo. Nel Sud della Francia, dove il fiume raggiunge il Mediterraneo, c’è il mare e la montagna, ogni stagione è un viaggio, il mio desiderio trottola traducendosi in scoperta.

Vincent vi giunse il 20 febbraio del 1888 trovando il giallo coperto di neve. Io, in pieno luglio, quando tutti i colori colano dalla tavolozza.

Ad accogliermi le mura romane, il centro e il suo teatro. A sinistra del mio sguardo una giostra con i cavallucci e la carrozza magica suona melodie parigine, cerco Rue de Molière per arrivare alla locanda.

Nessun albergo lussuoso, volevo il cuore di questa città e avrei riposato la prima notte nello stesso posto in cui ha soggiornato Vincent.

Le Relais De Poste: un’antica locanda per la sosta delle carrozze del XVIII secolo è ora un hotel nel cuore di Arles, a soli tre minuti a piedi dal centro storico. Salgo una scala a chiocciola, intorno pareti arancioni e quadri al muro che raccontano la Provenza.

All’ultima stanza della locanda una finestra si affaccia sui tetti di Arles. Esploro, socchiudo gli occhi per mettere a fuoco la parte più lontana, ma quello che vedo è frutto della mia impaziente immaginazione. In lontananza so che c’è il ponte di Langlois, voglio vederlo subito.

Maglia bianca per danzare col sole, reflex al collo, percorro la prima parte asfaltata di un sentiero, susseguono pietre, terra e vecchi binari intrecciati a fili d’erba.

Nonostante l’ora, c’è ancora una luce energica, uno specchio d’acqua mi fiancheggia, è il Rodano. Silenzio, non odo più auto né voci ma cinguettii e vento fra gli alberi.

Come Alice che apre la porta per inseguire il suo coniglio bianco, una porta si spalanca alla natura e alla sua musica. Il fiume è pieno di verde riflesso, dondola i battelli che dormono. A quel punto mi chiedo quanto peso aveva Vincent sulle spalle al tramonto di un giorno trascorso qui, con un tozzo di pane imbevuto nel giallo in attesa di saziarsi. Mi fermo, sono giunta a Langlois.

Le prime tele, frutteti in fiore, paesaggi dai colori splendidi, Vincent li abbozza con una rapidità che lo sorprende. I tentativi che faceva minuziosamente a Parigi, qui non sono adeguati, di fronte al maestrale che batte la sua tela come quella di un veliero nella tempesta, di fronte al sole che mette dello zolfo.

Davanti alla natura ascolta solo la sua esigenza imperiosa e la sinfonia del giallo, del blu, del rosso e del verde, segna la conquista definitiva e così pazientemente acquisita, del colore. Dalle tenebre Vincent ha finalmente raggiunto la luce nella quale ogni cosa troverà un aspetto nuovo, e forse un senso nuovo. Non ha ancora conosciuto l’estate meridionale e già sogna altri soli.

Quasi sento l’odore di bucato delle lavandaie. Davanti alle distese egli ritrova il sentimento dello spazio. Per non dimenticare si è lanciato nel lavoro; gli stessi problemi di prima, finanziari e domestici, anche qui si sono abbattuti su di lui. Iniziano a Carrel, dove soggiornava ad Arles, perché vogliono che paghi di più a causa del materiale con cui ingombra l’albergo, troppe tele… Gli viene servito un vino infame che il suo stomaco malandante non regge, cibi grassi, sporchi.

Domanda, senza ottenerle, delle patate, del riso, della pasta. Non mangia molto e non beve di più, a ragione, perché spende tutto per la sua pittura, non avendo mai abbastanza da nutrirsi. Allora si rimette ad architettare progetti di vita comune con altri pittori. Vorrebbe avere uno studio non solo per sé ma per coloro che sogna di fare suoi compagni di battaglia creando lo ‘Studio del Mezzogiorno’. È sempre più stanco, ma non più triste.

Anche questa vita artistica, che sappiamo non essere quella vera, mi sembra così viva e sarebbe da ingrati non contentarsi –, scrive Vincent al fratello Theo.

In questa prospettiva s’interroga di nuovo. È sempre al di là del presente che egli pone lo scopo, la ricompensa dello sforzo. Egli parla del pittore del futuro; lo vede fatto delle sofferenze e degli sforzi di oggi. Vede se stesso come l’anello di una catena che viene da lontano, che va ancora più lontano attraverso generazioni di artisti.

Questa successione di generazioni non fa dell’arte qualcosa paragonabile alla vita, un’altra vita? Un fervore, una volontà che si trasmetterebbe da un artista all’altro.

Noi sentiamo che la cosa è più grande di noi e di durata più lunga della nostra vita -. 

La vita, forse continua al di là dei campi di grano e delle culle. Il sentimento cosmico è entrato nello spirito di Vincent.

A me sembra di essere un viandante, diretto a una qualche destinazione -. 

Nella banalità della vita quotidiana, attraverso la vicissitudine del suo destino umano, questo nomade aspira sempre a stabilirsi. Chimera, come il suo desiderio di ordine, di vita sana e tranquilla. 

È troppo bello! – esclama Vincent. Sistema il suo cavalletto nei frutteti, attacca i piedi a dei paletti e batte sulla tela a colpi irregolari preso improvvisamente da una furia di lavoro per dipingere la Provenza di una gaiezza enorme. 

Nessuno avrebbe avuto la pazienza di farsi mangiare dalle zanzare, di lottare contro questa fastidiosa contrarietà del maestrale continuo, senza contare che ho passato le giornate fuori con un po’ di pane e di latte. Era troppo lontano per tornare in qualsiasi momento in città -. 

Quanto è vero tutto ciò, ancor più ora che mi trovo qui a vedere con i miei occhi le distanze e il caldo… quanta pazienza e amore infinito per la sua passione.

Il luogo è stupendo. Dal lato dell’immensa piana, la vista porta fino alle torri di Avignon. In fondo la catena delle Alpilles staglia le sue cime rocciose su un cielo cobalto e scava le sue valli in un dedalo di burroni e di pendici tappezzati da una vegetazione lussureggiante, frusciante per il frinire delle cicale che non smettono un solo minuto durante tutto il giorno.

Entro e ho il cuore che fa cose strane, mi pizzica il sangue… sono emozionata, commossa. Vedo l’iris, il suo dipinto, e l’ulivo con dietro l’edificio, il suo dipinto, e il verde, il suo verde. Vedo lui, sento lui… a pochi passi, prima di entrare al chiostro, una meravigliosa statua che lo ritrae con mano dei girasoli: nulla poteva raccontarlo in egual modo e in modo più veritiero.

Mi vien voglia di abbracciarlo come fosse lui stesso, di abbracciarlo lì in quel posto per ringraziarlo del fuoco che da sempre porto dentro anche grazie a ciò che lui ha lasciato a noi, del fuoco della mia passione che io difendo con simili difficoltà, eguali privazioni di libertà, eguali incomprensione che inducono chi ti guarda a pensare che tu sia un folle a non accettare questa vita corrotta e sporca, questa vita che t’induce all’isolamento, a una solitudine necessaria… vorrei abbracciare questo luogo e non lasciarlo più per non lasciare così l’illusione di poter vivere di luce.

Sento talmente che la storia delle persone è come la storia del grano, se non si è seminati nella terra per germinarvi, succede che si è macinati per diventare pane -.

Scrive Pierre Leprohon nel suo libro del 1990, Van Gogh. Il sublime pittore del sensibile:

La follia non ha mai generato il genio, ma bensì è più plausibile di un’attività intellettuale al servizio di una passione che la spinge senza posa a creare, logora gli animi di tempra troppo debole, esagera la facoltà di commuoversi. È la pittura, o meglio la sua lotta per dipingere che ha determinato la follia in Vincent. Ed è quindi inutile spiegare ciò di cui lui soffrì, quanto è inutile spiegare la sua arte. Poiché il genio, che inventa le sue forme, la sua espressione, è forse capace anche d’inventare le sue malattie’.

Siamo folli, e c’è poco di che vantarsi. Vincent voleva essere un uomo degno, un fiume della vita che scorre. E noi tutti non inventiamo ogni giorno paure e ansie per l’impotenza che palpiamo davanti a una vita che ci sfugge, a un mondo che si distrugge, a una lotta per salvarlo e salvarci? Noi bramiamo di essere folli di Dio ogni volta che proviamo ad essere persone migliori, senza mai riuscirci. 

Scattai l’ultima foto uscendo dall’ospedale di San Remy. Ombre di rami e foglie stagliate sul muro dell’ingresso del giardino. Ma quando a casa qualche mese dopo sviluppai le fotografie, in quella foto, inspiegabilmente, c’era l’ombra di un uomo col cappello di paglia…

Buon compleanno Vincent.

“… intensificando tutti i colori si ritrova calma e armonia. È un po’ come nella musica di Wagner, che per quanto sia eseguita da una grande orchestra non per questo è meno intima.

…quello che ho portato a casa oggi ti piacerebbe, è un pezzo di terra lavorato in un frutteto, uno steccato di canne e due peschi in piena fioritura, rosa contro il cielo azzurro brillante con nuvole bianche alla luce del sole”.

Arles, venerdi 30 marzo 1888 ( 590,N)

Maria Di Pietro

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