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Sulla fotografia dell’umano [Pino Bertelli]

di Pino Bertelli

E poiché l’uso dell’intelligenza testimonia più imbecillità a sinistra che l’uso della stupidità a destra, le leggi del profitto si applicano ovunque in bella uniformità.

Raoul Vaneigem

La fotografia riflette l’industria culturale che l’ha eretta a estetica del vero (chi è il cretino che l’ha detto?!)… non ci sembra utile scomodare Baudelaire, Benjamin, McLuhan, Barthes o Berger, tantomeno quel venditore di zuppe Campbell’s (Andy Warhol), per affermare che scrivere con la luce è un’invenzione della società capitalista, volgare e pubblicitaria (i regimi “comunisti” hanno un altro palinsesto per affrontare la dissidenza, quello del veleno, del plotone di esecuzione o dei di gulag, forse è per questo che non sono mai usciti grandi fotografi da quelle parti)! C’è un solo modo di usare la luce con la fotocamera, fotografare con la testa, gli occhi e il cuore, Henri Cartier-Bresson, diceva. Il resto è fotografia della simulazione, della seduzione, dell’estetismo senza desideri né idee… insomma, merce soltanto! L’ordine simbolico della fotografia è anche l’ordine tecnico della guerra: far cadere l’immagine nella percezione distruttiva o elogiativa come senso della storia! Quando si parla di fotografia, è perché assistiamo alla sua sparizione o alla sua tirannia!… La macchina fotografica va portata sulla spalla, come i partigiani portavano il ferro! È una questione di etica, l’estetica viene dopo.
In principio è stata l’incisione, il disegno, la pittura, la parola, i suoni, la musica… poi, per farla corta, fotografia, cinema, video, ecc, da subito e sempre, l’arte è stata preda delle nomenclature… in questo senso la fotografia è il cattivo sogno dell’industria documentale incatenata, che non esprime, in definitiva, se non il proprio compito di narcotico sociale… gli storici, i galleristi, i critici, i fotografi… sono i guardiani di questa inedia collettiva. L’immaginale comunardo della fotografia autentica non teme giudizi né corruzioni di sorta… dietro ogni immagine (che è sempre un’autobiografia anche quando si fotografano le rose di campo), c’è la promessa di un’abrasione, d’un rivolgimento culturale… attraverso la visione architetturale del fotografico si capisce che è la cultura che fa la politica, e non la politica che fa la cultura! Anzi, semmai la divora! Il culo dell’infamia è sempre quello del padrone o della teppaglia politica (quella dei saperi è sempre a libro paga delle cortigianerie mondane)… alla domanda d’un situazionista: “Siete degl’imbecilli o dei falsari?”, il politico di rango rispose: “I falsari siete voi”!… tutte le ghigliottine si assomigliano, come gli sportelli di banca!
Il crimine della fotografia predominante è il trionfo della merce assoluta come linguaggio dell’abbaglio che non si oppone alla realtà, ma l’incensa o la subisce… riviste, gallerie, premi, marche di fotocamere, storici, critici… sono il linguaggio emblematico (allegorico, allusivo, rappresentativo) della fotografia travestita in arte! Segni svuotati dall’arte! Se la fotografia è dappertutto non esiste più! L’estetica spettacolare della fotografia ha bisogno di geni e di assassini alla medesima maniera, per la stessa funzione, che è uccidere il vero e sostituirlo con una rappresentazione. L’immagine di un bambino trucidato dalle bombe delle democrazie consumeriste o dei regimi totalitari (stessa razza di saprofiti), va sempre bene in televisione, per i riconoscimenti internazionali, nelle prime pagine dei giornali… ciò che importa è vendere, altra cosa è denunciare la razza di serpi dei governi che sostengono (a vario modo) tanto le guerre quanto i terrorismi o le catastrofi ambientali… il mito del progresso si porta dietro le miserie delle disuguaglianze ed è appannaggio della barbarie.
Non appena si lascia correre la fotografia — come ogni strumento del comunicare — l’immagine si culla nell’aneddoto e nell’insignificante, e non ci sono allori mediatici che possono risollevare la pochezza e il grottesco dell’impersonale (non solo fotografico) in cerca di fama! La critica differenzialista della fotografia dell’umano è una messa a fuoco dell’esistenza… un florilegio di trasformazione antropologica dell’immaginario o coscienza del desiderio di tagliare alla radice l’origine del male… il potere squalifica, scredita, insozza il canto armato dei poeti che sono passati dal riveder le stelle alla rivoluzione sociale, come in quell’anno formidabile del ’68. Dopo, niente è stato più come prima! La fotografia dell’umano mostra che non esiste alcun uso innocente del fare-fotografia, come della libertà… alla fine dell’800 e per molta parte del ‘900 si usava la forca, oggi la fotografia, anche… la verità non è quello che si dice, ma quello che si fa! Servire la verità (nell’arte come nella vita) significa sostenere e realizzare una rivolta esistenziale che indica una via di uscita dal sottosviluppo culturale, politico o dottrinario (il “Terzo mondo” non c’entra). Quando c’è di mezzo la libertà, ogni potere lucida i cannoni! Quando il potere risparmia l’uso delle armi, affida alla cultura, all’ideologia o alla fede, la cura di mantenere l’ordine oppressivo. Il fotografo dell’umano raccoglie il reale al di là dei dizionari che lo confinano nella simbologia della merce, quindi della morte! “Il tempo narrato diventa tempo storico quando è assunto dalla memoria sociale e dall’azione sociale” (John Berger)… si tratta di “obbligare” il linguaggio fotografico a “parlare” un’altra lingua o a riorientarla su altri versanti del reale, del vero, del giusto e del bello… introdurre dunque una “nuova materialità”, per niente oggettiva ma profondamente soggettiva, che porta una nota di disturbo o negazione della fatalità accettata! La testimonianza dei fotografati ha il medesimo valore etico del fotografo e in questa fusione archetipica le emozioni vanno più in profondità delle circostanze… il fotografo vive nella situazione che sollecita o non è nulla!
Forse andare a trovare i condannati nel braccio della morte può aiutare a comprendere cos’è la fotografia dell’umano?… o forse basta ricordare che la fotografia non è solo archivi di polizia, reportage di guerra, bassa pornografia, documentazione enciclopedica o antropologia di un popolo o di un genocidio come gli indiani d’America, la Shoah o i campi di lavoro coatto sovietici o cinesi? Fuori dai generi, la fotografia dell’umano tracima i soggetti in persone! Si tratta di ritagliare il momento fotografico dal suo contesto e raccontare la storia per quella che è: un insieme di sopraffazioni che restano invendicate ai bordi della realtà offesa!
La cartografia dell’umano non si raccorda mai su immagini di una disfatta ma a frammenti d’accoglienza… qui la fotografia cessa d’essere un rituale o un evento o uno scoop, per farsi testimone d’esistenze spezzate. Si ama ciò che si accoglie e si odia ciò che viene respinto! Si spezza il pane con chi non ne ha o si fomenta l’odio razziale e si alzano i fili spinati! Le belle bandiere e i loro inni grondano di sangue angelico del genere umano! Una sola fotografia “impeccabile”, ti emancipa dalla corruzione del divenire! Si può avere pietà per i fotografi dell’aureola, ma amarli è impossibile!
Il linguaggio fotografico imposto si vieta umanamente d’essere autentico… niente è sacro, tutto si può violare! La dialettica del signore è ancora la dialettica del servo! La costrizione del dovere segue il bastone del dovuto per diritto divino (?!). Si crede di morire per la fotografia disconosciuta, invece si muore per i padroni delle fotografia capitalizzata! Un’idea di fotografia si realizza nelle forme linguistiche con cui si modella o si oppone allo spettacolo che la ri/produce… non siamo affezionati al fascino (delle rovine) della fotografia mercatale, ma il falso splendore fotografico innalzato a simulacro, è di una bruttezza che invoca i dinamitardi!
Se fossi fotografia invocherei il bello, il giusto e il vero, e se fossi amore darei la mia vita per un sospiro e un caffè preso sulla soglia di un altrove che ruba la passione all’ignoto!… lo scucimento dell’oltraggio amoroso, trafigge il fiato dei bordelli e asciuga tutte le nudità strangolate nel mai detto, nel mai conosciuto! E se fossi baci nella sua bocca e saliva sul suo viso? Ecco che la dolcezza di tutti gli analfabeti ritorna nel Cantico dei cantici e supera ogni asperità! È così che la sua vaghezza e intemporalità s’accorse subitamente dei fili scarlatti che tenevano a terra le stanze volanti… e la sguaiatezza amorosa infilzò l’anima all’anima e ne fece una foresta odorosa di cedri! È deplorevole che i fotografi blasonati non conoscano la menta selvatica palestinese, né le olive nere cotte al forno di mattoni, né il profumo del biancospino sulle camicette bianche delle ragazze in fiore… e pretendano poi di fotografare la realtà di un popolo indomito che non morde per mordere, ma per vivere! La violenza arriva sempre prima dei carri armati, con la fotografia! Il tempo dei muri è comunque breve!
Il fotografo di un certo lignaggio muore ridendo… perché sa bene che dopo la sua scomparsa la dittatura del consumabile mescolerà le carte… sa che niente è vero dove tutto è permesso, e che la sua arte si lega al guinzaglio della sopraffazione! Facciamo il punto: il conformismo della fotografia fa più omicidi dell’ordine costituito… l’incenso delle mistificazioni artistiche è velenoso! Non si può vivere senza amare, ma amare significa imparare a vivere! Non c’è amore possibile in un mondo affogato nell’infelicità. Ci si sfiora per incontrarsi o ci si uccide per ascendere alle gogne della notorietà. Non siamo mai usciti dalle frustate dei negrieri! Anche il poliziotto ha diritto a un attimo di celebrità: quando spezza il collo a un negro e viene promosso con una medaglia al valore civile!
Quelle del fotografo dell’umano… sono immagini-fionda ed esprimono l’interazione tra epifania poetica e destino storico! E per chiudere, come anche per aprire… l’indignazione in fotografia — e dovunque anche un solo uomo è bastonato o afflitto nella povertà — risponde alla violenza del potere con tutti gli utensili appropriati… si tratta di distruggere la fotografia, non di giudicarla! E avviarsi alla costruzione di una signoria senza schiavi! Utopia? Certo! La coscienza dionisiaca della fotografia (e d’ogni arte) chiede solo d’essere liberata e riconoscersi nell’insurrezione dell’intelligenza! Si combatte per ciò che si ama… c’è un tempo per seminare e un tempo per falciare! Lo stesso tempo! Il successo dei governanti sta nella vigliaccheria dei governati! Tutto qui. Il rifiuto a servire, a delegare, ad essere rappresentati… è ciò che può veramente rovesciare lo stato di cose presenti… quando gli uomini vorranno cambiare la propria coscienza asservita, allora e solo allora, potranno cambiare anche il mondo. 

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 12 volte novembre, 2020

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