Tutti conosciamo i raggi X e più o meno tutti abbiamo avuto a che fare con questo esame radiologico, ma quello che molti non sanno è che le fotografie delle ossa possono suonare come dei dischi.
Tutti conosciamo i raggi X e più o meno tutti abbiamo avuto a che fare con questo esame radiologico, ma partiamo con un po’ di storia.
La radiografia è nata nel 1895 con la scoperta dei raggi X, da parte del fisico Wilhelm Conrad Röntgen che descrisse per primo le loro proprietà. Questi raggi precedentemente sconosciuti (da qui l’X del nome) sono un tipo di radiazione elettromagnetica.
La prima radiografia effettuata per un intervento chirurgico venne realizzata soltanto un anno dopo la scoperta dei raggi, a Birmingham, dal maggiore John Hall-Edwards, vero pioniere della tecnica.
Durante la Prima guerra mondiale, Marie Curie sostenne l’uso delle unità mobili di radiografia come mezzo di diagnosi per i soldati feriti. Inizialmente molte figure professionali furono incaricate di eseguire le radiografie in ambito sanitario: fisici, medici, fotografi, infermieri e tecnici.
Nel corso degli anni si è sviluppata, intorno a questa tecnologia, la specialità di radiologia medica e la figura del tecnico sanitario di radiologia medica.
Oggigiorno il principale campo di utilizzo della radiografia è quello della diagnosi medica. Tra gli esami più comuni, lo studio dell’apparato scheletrico, che grazie alla sua densità, appare molto chiaro nell’immagine. Il suo utilizzo in ortopedia è comune per diagnosi di fratture delle ossa, lussazioni, artrosi, controlli post-operatori e di patologie a carico della colonna vertebrale come: spondilolistesi, spondiloartrosi, scoliosi.
Quello che però molti non sanno è che le radiografie possono suonare come dei dischi. Non ci credete? Allora continuate a leggere.
Sotto il potere di Stalin il partito comunista diede un giro di vite alle influenze esterne, un po’ come in tutte le dittature e la musica era una delle principali preoccupazioni. Così interi generi e artisti vennero banditi. Le “canzoni criminali” – blatnaya pesnya – in russo, erano tutte quelle musiche occidentali inammissibili, il rock di Elvis spaventava peggio del demonio.
Ma la musica, come tutte le arti, non la puoi fermare, non c’è nulla da fare, la contaminazione artistica non la puoi contenere, in qualche modo, puoi giurarci, arriva.
E così fu; la musica dell’Occidente scavalcò la cortina di ferro per approdare nella Russia sovietica, ma copiarla e distribuirla fu un lavoro di ingegno incredibile. Riprodurre i dischi fu il tentativo di moltissimi giovani: si trovavano negli scantinati con i pochi vinili di contrabbando e dopo averli ascoltati studiavano il modo meno costoso per propagarli ai loro amici.
La soluzione arrivò dall’Ungheria, dove i controlli della censura erano meno puntuali e oppressivi. Nacquero così i roentgenizdat: usando macchine costruite per copiare registrazioni militari, i russi Ruslan Bogoslowskij e Boris Taigin scoprirono di poter creare bootleg di vinili su fogli sottili — ma il costo dei materiali rendeva l’operazione proibitiva, fino a quando Bogoslowskij non ebbe un’intuizione rivoluzionaria.
Ritagliando lastre di radiografie e scavando un buco al centro, spesso bruciato via con una sigaretta, era possibile creare registrazioni musicali riproducibili da qualsiasi giradischi. La materia prima era gratuita, perché in seguito ad una serie di incendi devastanti una legge aveva vietato agli ospedali di immagazzinare sul lungo periodo qualsiasi tipo di materiale cartaceo. Erano felici di potersene liberare in blocco quando, senza dare troppe spiegazioni, i due giovani russi bussavano alla porta chiedendo radiografie.
I dischi venivano creati con un torchio speciale che incideva i solchi sulle radiografie trovate nei rifiuti degli ospedali, poi tagliate in dei cerchi di circa 25 centimetri; spesso il foro centrale veniva praticato con la brace infuocata delle sigarette.
Il mercato nero dei roentgenizdat esplose, e la musica occidentale si diffuse rapidamente in tutta l’Unione Sovietica. Nasceva così la scena Rock on the bones, una rete di cultori che si scambiavano i contatti dei rivenditori e alla ricerca continua di nuove uscite.
L’uso di questi supporti flessibili era così esteso in tutta l’URSS che, fino al 1959, la polizia organizzava pattuglie speciali per frenare il contrabbando. Una delle tecniche di dissuasione consisteva nel mettere in circolazione dei falsi roentgenizdat che, dopo uno scoppio di musica, riproducevano un fiume di insulti e minacce agli utenti.
Nel 1959 sgominarono la più grande cerchia di sovversivi e a partire dagli anni ’60, il Komosol, ovvero la Lega dei giovani comunisti leninisti, promosse delle “pattuglie musicali” che cacciavano i venditori della musica a Raggi X e confiscavano qualsiasi disco riuscissero a trovare.
Dalle difficoltà nasce l’arte e questo è uno dei rari casi in cui il medium stesso su cui l’opera è presentata si fa Arte.
Le lastre musicali sono circolate fino alla fine degli anni ’70, quando divennero poi popolari le musicassette e le bobine.
Oggi – le ossa che suonano – sono ovviamente diventate pezzi molto ricercati dai collezionisti, e per questo esistono ancora “pirati” che fabbricano dischi su lastre per raggi X spacciandoli per manufatti vintage.
Il progetto di recupero può essere approfondito qui:
https://www.x-rayaudio.com/x-rayaudiorecords/
Il video documentario:
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Adolfo Porry-Pastorel. Fotogiornalismo e piccioni viaggiatori
Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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