La seconda stagione di Squid Game non si limita a riprendere i temi introdotti nella prima, ma li espande e li approfondisce, portando la narrazione in nuovi territori psicologici e culturali. Lungi dall’essere un semplice sequel, questa stagione rappresenta un’evoluzione sia estetica che concettuale, consolidando l’impatto globale della serie attraverso un linguaggio visivo ricercato e una riflessione più stratificata sui meccanismi sociali.
Squid Game sempre caratterizzato da una palette cromatica sgargiante e infantile, simbolo di un’ironia visiva che maschera la brutalità degli eventi.
La nuova estetica riflette il progressivo degrado morale dei partecipanti e il loro confronto con i limiti della propria umanità. I nuovi giochi, ancora più elaborati e nuovi, sono ambientati in semi-labirinti geometrici che ricordano le opere di Escher. La composizione fotografica cattura il senso di alienazione e impotenza, sfruttando profondità di campo ridotte per isolare i personaggi, mentre le riprese dall’alto sottolineano la loro natura di pedine in un gioco più grande.
Disuguaglianza di status sociale come motore narrativo
La seconda stagione di Squid Game approfondisce il tema della disuguaglianza sociale, ampliando la gamma di personaggi e storie personali per rappresentare diversi aspetti dell’oppressione economica e culturale.
Attraverso le interazioni tra i personaggi, la serie esplora la sociologia del potere e della resistenza. I partecipanti, costretti a collaborare o a tradirsi, incarnano le dinamiche competitive di una società che premia l’individualismo e punisce la solidarietà. La seconda stagione inoltre mette in luce il fenomeno della spettacolarizzazione della sofferenza, con un pubblico sempre più vasto e coinvolto che osserva i giochi come intrattenimento, riflettendo una critica meta-televisiva al voyeurismo del pubblico reale.
Ritualità e sacrifici
Uno degli aspetti più intensi della seconda stagione è l’espansione dell’immaginario rituale che circonda i giochi. I giochi diventano una sorta di “teatro del sacro” dove il sangue dei partecipanti assume forse un valore simbolico, un tributo alla perpetuazione di un ordine sociale crudele.
La serie esplora inoltre il concetto antropologico del dono e del debito, approfondendo la dinamica tra i “frontmen” e i giocatori. I protagonisti sono intrappolati in un sistema dove ogni scelta ha un prezzo, e la loro sopravvivenza è continuamente barattata con la perdita della propria umanità.
Il sangue in Squid Game assume una funzione simbolica che richiama il concetto antropologico del sacro, o meglio spesso associato al sacrificio, alla purificazione e al potere. In molte culture, il sangue è considerato un elemento carico di significati: è la sostanza che garantisce la vita, ma la sua perdita rappresenta la morte, il caos o la trasformazione. Nel contesto della serie, il sangue non è solo il risultato della violenza ma anche il segno tangibile di un’offerta obbligata a un sistema totalizzante che esige tributi per perpetuare il suo ordine.
In alcune società tradizionali, il sacrificio di sangue è stato usato come atto rituale per placare le divinità, sancire accordi o rigenerare il mondo. Ad esempio nelle popolazioni azteche: i sacrifici umani e il sangue erano offerti agli dèi come mezzo per mantenere l’ordine cosmico. Il sangue umano era visto come il carburante necessario per garantire il ciclo della vita e il movimento degli astri, nei popoli africani, in alcune culture, il sangue degli animali sacrificati veniva versato sulla terra come un dono agli antenati o agli spiriti, sottolineando la sua funzione di ponte tra il mondo materiale e quello spirituale.
In Squid Game, il sangue versato dai concorrenti non assume una dimensione “sacra” non per redenzione o ordine divino, lo vogliamo sottolineare, ma per il mantenimento del sistema. I giochi si trasformano in riti di passaggio che segnano la transizione tra vita e morte, sottomissione e ribellione, con la violenza che funge da linguaggio rituale per regolare questa dinamica.
Gerarchia e Ordine: Chi Comanda e Chi Obbedisce
La gerarchia è un concetto centrale in Squid Game, presente sia tra i giocatori che tra gli esecutori del sistema. Questo riflette un ordine sociale rigidamente stratificato, simile a quello osservato in diverse società umane, dove la posizione gerarchica determina potere, privilegi e vulnerabilità.
La suddivisione tra cerchio, triangolo e quadrato richiama il funzionamento gerarchico di molte istituzioni umane:
Cerchio: Rappresenta il livello più basso, incaricato di compiti semplici e meccanici. È la base della struttura.
Triangolo: Ha un potere intermedio, con responsabilità legate alla supervisione e all’esecuzione della violenza.
Quadrato: È al vertice degli esecutori, rappresentando un’autorità diretta e intermedia tra i sottoposti e il “Frontman.”
Questa gerarchia suggerisce un ordine funzionale e disciplinato, dove ogni ruolo è parte di un meccanismo più grande, ma è anche una metafora del controllo sociale, in cui gli individui sono ridotti a pedine in un sistema rigido e inesorabile.
Tra i concorrenti, emerge una gerarchia “naturale” basata su forza, astuzia o carisma. In situazioni di crisi, come nei giochi mortali, i rapporti di potere diventano fluidi ma crudeli: la cooperazione è utile solo fino a quando non entra in conflitto con la sopravvivenza individuale. Questo riflette il concetto darwiniano di “lotta per l’esistenza”, ma anche il tribalismo umano, dove le alleanze sono strumentali e spesso temporanee.
Ossimoro
Uno degli aspetti più disturbanti e al tempo stesso affascinanti di Squid Game è il contrasto tra la brutalità degli omicidi e l’innocenza dei giochi infantili. Questo dualismo crea una tensione narrativa ed emotiva che amplifica il senso di disorientamento dello spettatore.
I giochi come “1, 2, 3 stella” o la trottola sono archetipi di innocenza e socializzazione. Essi richiamano momenti della vita umana in cui le regole erano chiare, condivise e accettate, e le conseguenze di una sconfitta erano irrilevanti o puramente simboliche. Tuttavia, in Squid Game, queste regole vengono sovvertite: l’errore non comporta una semplice perdita simbolica, ma la morte.
Questo contrasto evidenzia un abisso morale: il sistema trasforma qualcosa di ludico e comunitario in un’arma di distruzione. La natura dei giochi, apparentemente semplice e innocua, diventa un mezzo per sottolineare l’assurdità della violenza che ne scaturisce.
Dal punto di vista antropologico, il ricorso a simboli dell’infanzia per giustificare la morte riflette una profonda perversione dei rituali comunitari. Nelle società tradizionali, i giochi erano strumenti di apprendimento e coesione sociale; in Squid Game, questi stessi strumenti sono usati per spezzare i legami e dividere.
Gong Yoo: Un Volto, Due Anime
Il reclutatore di Squid Game, interpretato da Gong Yoo, rappresenta un elemento magnetico e inquietante all’interno della serie. Gong Yoo, attore coreano acclamato, possiede una caratteristica fisica che lo distingue: il suo viso leggermente asimmetrico, con un occhio più aperto dell’altro. Questa peculiarità non è un semplice tratto estetico, ma una risorsa attoriale che Gong Yoo sa sfruttare con maestria per aggiungere complessità ai suoi personaggi.
Nella prima puntata della seconda stagione, durante la scena della roulette russa tra il giocatore 456 e il reclutatore, Gong Yoo porta questa sua caratteristica al massimo dell’espressività. È come se il suo volto fosse letteralmente diviso in due personalità: da un lato, un sorriso glaciale e una calma inquietante, che incarnano il controllo e la sicurezza di chi conosce le regole del gioco; dall’altro, uno sguardo terrorizzato, quasi vulnerabile, che tradisce un’umanità sepolta sotto la maschera del suo ruolo. Questo dualismo non solo amplifica la tensione della scena, ma suggerisce anche una riflessione più profonda sulla natura di chi partecipa al sistema: il reclutatore è un carnefice o una vittima consapevole di un sistema che lo ha trasformato in strumento?
L’intensità della performance di Gong Yoo rende impossibile ignorare la dicotomia morale che il suo personaggio rappresenta. È come se il reclutatore fosse contemporaneamente il volto del potere e della paura, un uomo che, nonostante la sua apparente superiorità, è intrappolato in un gioco che, in fondo, lo consuma.
Il personaggio del reclutatore non è solo un volto del sistema di Squid Game, ma anche una figura archetipica che ricorda il “traghettatore” della mitologia greca, come Caronte. Il suo ruolo non si limita a convincere i partecipanti a unirsi al gioco; egli li introduce in un universo separato, un limbo tra la vita e la morte, dove le regole sono dettate da un’entità superiore e dove il ritorno al mondo reale è quasi impossibile. In questo senso, Gong Yoo rappresenta un intermediario che manipola la scelta dei giocatori, mascherandola come libero arbitrio.
Un’interpretazione interessante è considerare il reclutatore come simbolo della società contemporanea, che spinge gli individui verso scelte apparentemente libere, ma in realtà dettate da necessità economiche e pressioni sociali. Gong Yoo non è solo un attore; diventa il volto di un sistema che sa essere affascinante e spietato al tempo stesso. La sua asimmetria fisica non è casuale: rappresenta il disequilibrio morale e strutturale del mondo di Squid Game, dove nessuno è interamente innocente o colpevole. Il suo volto diviso è lo specchio di una società che costringe a convivere con l’ambivalenza, a scegliere tra l’obbedienza al sistema o la ribellione a costo della propria vita.
Lo Sguardo del Numero 1
Nella seconda stagione, il giocatore 456 inizia a mostrare una trasformazione significativa: non è più solo un partecipante schiacciato dal sistema, ma un uomo che cerca di manipolare il gioco per i propri scopi. Una scena chiave è quando, alzando la testa, comunica implicitamente che gli “osservatori,” i potenti ai piani alti, trovano piacere perverso nei giochi e che lui, consapevole di ciò, intende sabotare il sistema dall’interno. Il momento in cui il numero 1 osserva il giocatore 456, immobile, durante la sua dichiarazione implicita di voler sabotare il sistema, è una scena carica di tensione simbolica. Questo sguardo non è solo un atto di osservazione, ma un confronto silenzioso tra due visioni opposte della società: il controllo gerarchico incarnato dal numero 1 e il caos necessario al cambiamento rappresentato dal numero 456.
In quel momento, lo sguardo del giocatore 1 (il fondatore del gioco) si fissa su di lui, immobile, osservandolo con una calma glaciale. Questo gesto, apparentemente privo di azione, è in realtà carico di significato. Il numero 1, che rappresenta l’origine e il culmine della gerarchia, sembra quasi voler testare la determinazione del numero 456. È come se gli stesse dicendo: “Sei sicuro di poter sfidare ciò che ho costruito? Capisci davvero cosa significa giocare con il potere?”
Questa scena riflette un confronto silenzioso ma potentissimo tra due ideologie opposte: il desiderio di ribaltare un sistema ingiusto e la ferrea convinzione di chi lo ha creato per dimostrare la propria visione della natura umana. È come se il numero 1 vedesse nel numero 456 non solo una minaccia, ma anche una versione più giovane e idealista di sé stesso, un uomo che potrebbe fallire nello stesso modo in cui lui ha fallito nel tentativo di cambiare le cose.
In questo dialogo muto tra i due personaggi, Squid Game offre una critica sottile e profonda alle rivoluzioni contemporanee, che spesso si scontrano con la difficoltà di sostituire un sistema corrotto senza generare un vuoto pericoloso. Lo sguardo del numero 1, in definitiva, non è solo quello di un antagonista, ma anche quello di una figura tragica che comprende l’inevitabilità del proprio declino.
1, 2, 3 Stella: La Leadership del Giocatore 456
Il gioco di “1, 2, 3 stella” è uno dei momenti più iconici di Squid Game, ma nella seconda stagione assume un significato ancora più profondo. Il giocatore 456, consapevole del massacro che può derivare dalla disorganizzazione e dalla paura, decide di guidare il gruppo, adottando una strategia che limita le morti. Questa scelta altruista, è anche un atto di leadership calcolata: mantenendo il controllo sul gioco, cerca di costruire alleanze e preservare la vita dei concorrenti, ma al tempo stesso guadagna consenso e consolidando la sua posizione.
Questo escamotage, tuttavia, non è privo di critiche. Alcuni concorrenti lo vedono come un tentativo di manipolazione, un modo per ottenere potere in una situazione dove la fiducia è una merce rara. Altri, invece, lo considerano un gesto eroico, un raggio di speranza in un sistema che li spinge alla competizione feroce. Nessun concorrente è al corrente del vero piano del 456 in quel momento.
Questa ambivalenza solleva domande etiche profonde: può un atto apparentemente altruista essere motivato dall’interesse personale? E fino a che punto è giustificabile usare gli altri come mezzo per sopravvivere in un sistema brutale? La scena di “1, 2, 3 stella” diventa così una metafora della lotta per il potere nella società, dove anche le buone intenzioni possono essere percepite come strumenti di controllo.
Squid Game funziona come un microcosmo che distilla i meccanismi della società contemporanea: la disuguaglianza, la competizione e la manipolazione del potere. L’uso di simboli infantili per perpetrare la violenza, insieme a una gerarchia rigida e al sacrificio del sangue, crea un sistema che sembra ordinato ma che, in realtà, è intrinsecamente caotico.
La serie non offre soluzioni, ma ci costringe a riflettere sulle dinamiche della nostra società: la brutalità nascosta dietro le strutture di potere, la perversione della comunità in competizione, e la perdita della sacralità della vita in nome di un ordine imposto. Un messaggio crudo e provocatorio che si riflette in ogni immagine, dialogo e gesto.
No comment yet, add your voice below!