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Sony A1: l’ammiraglia delle ammiraglie

di Maurizio Natali

Ho iniziato a lavorare nel mondo della fotografia quando se dicevi “ammiraglia” intendevi una cosa ed una soltanto.

Prima degli smartphone c’era una lotta feroce nel settore consumer ma, quando si saliva di fascia, la progressione era piuttosto chiara e lineare. Oggi non è più così.

La fotografia si è intrecciata con il video e i produttori cercano di realizzare prodotti specifici per ogni tipologia di utente. Sony ha trasformato questo approccio in una vincente politica di prodotto, declinando i suoi corpi in diverse varianti.

Per questo non basta più dire “ammiraglia” quando ci si riferisce ad una fotocamera Sony. Potrebbe essere la A7R IV per chi fa pubblicità, foto prodotto o paesaggistica, oppure la A9 II per lo sport o ancora la A7S III se l’attività principale è il video. L’ultima nata in famiglia riscrive, per l’ennesima volta, le precedenti regole: una fotocamera che vuole essere “la” fotocamera.

L’ammiraglia tra le ammiraglie.

La Sony A1 ha un sensore stabilizzato BSI full-frame da 50MP capace di sfornare immagini grandi e dettagliate. Si possono stampare in formato 40 x 60 cm a 300 dpi oppure arrivare ad 1,4 m di lunghezza scendendo a circa 150 dpi. Ma è anche un sensore di tipo “stacked”, ovvero abbinato ad una DRAM che va a velocizzare la fase di lettura dei dati.

Ed ecco come l’elevata risoluzione perde il suo tradizionale svantaggio: la lentezza. La Sony A1 può scattare raffiche da 30fps a massima risoluzione con l’otturatore elettronico e proseguire con questa velocità per 5 secondi scattando in RAW compresso + JPG su una SD V90.

E non si ferma subito dopo, mentre svuota il buffer, dandoci la possibilità di scattare ancora se ce n’è bisogno. Passando all’otturatore meccanico la velocità si riduce a 10 fps, ma rimane ottima, e si prosegue per oltre 23 secondi prima di rallentare a causa del riempimento del buffer.

Quindi, la Sony A1 offre tanta risoluzione unita alla massima velocità, ma si sa che questa è “inutile senza controllo”. Ecco perché arrivano nuove implementazioni sul fronte AF, con 759 punti che copro il 92% del sensore e la capacità di aggiornare il punto di messa a fuoco nel tracking per ben 120 volte al secondo. E rimane attivo anche nella raffica con rilevamento dei volti e dell’occhio.

Prestazioni incredibili che trovano riscontro sul campo, offrendo al fotografo la tranquillità di portare a casa immagini sempre perfettamente a fuoco, anche quando la profondità di campo è davvero minima.

L’otturatore elettronico è utile per aumentare la velocità senza ricorrere a complesse soluzioni meccaniche, ma anche lui ha i suoi difetti. Uno dei più noti è quello dovuto alla lettura progressiva dei dati che introduce delle deformazioni sugli elementi in rapido movimento. Già la A9 II ha raggiunto un ottimo risultato nel contenere questo difetto ma nella A1 c’è un ulteriore miglioramento del 150%.

Altra cosa molto interessante è che l’otturatore meccanico raggiunge 1/400 con sincronizzazione flash, ma può utilizzare per la prima volta anche quello elettronico fino a 1/200.

Risoluzione, velocità… cos’altro? Ovviamente il video.

La Sony A1 primeggia anche in questo ambito, essendo la prima fotocamera del brand a registrare in 8K @ 30fps 4:2:0.

Con il 4K si arriva a 120fps 10-bit 4:2:2, anche in all-intra, utilizzando tutta la larghezza del sensore, oppure si può lavorare in modalità Super 35 con un oversampling da 5.8K che migliora la definizione.

La gamma dinamica arriva a 15 stop registrando in S-Log 3 a 10-bit ed è stato aggiunto anche il profilo S-Cinetone derivato dalla linea cinema Sony FX.

Il sistema di dissipazione passiva è simile a quello della A7S III e consente di registrare anche in 8K per 30 minuti consecutivi senza problemi di surriscaldamento.

A completare il tutto, la possibilità di registrare video in RAW tramite l’uscita HDMI fullsize.

Di livello professionale sono anche le connessioni, che includono la porta Gigabit Ethernet, PC Sync Flash, audio in/out, microUSB, USB-C e HDMI. C’è ovviamente anche il Wi-Fi, in standard 802.11ac a 5GHz con antenne 2×2 MIMO, e il supporto per il trasferimento delle foto via FTP.

Per la memoria, il doppio slot supporta sia le SD UHS-I/II che le nuove CFexpress Type A, velocissime ma costose e ancora poco diffuse. Per fortuna con una buona SD V90 si riescono ad utilizzare quasi tutte le principali modalità foto e video senza problemi.

La batteria è la classica Sony NP-FZ100 che ormai troviamo in tutte le fotocamere del brand e che garantisce un’autonomia più che valida con i suoi 530 scatti secondo lo standard CIPA. Si tratta di un dato indicativo e spesso anche restrittivo, ma posso dire di aver fatto un intero shooting di 3h con circa 500 foto arrivando alla fine con un 25% residuo.

È davvero difficile trovare un singolo elemento fuori posto nella Sony A1. Quel dettaglio che ti fa pensare: ecco, questo non mi basta, ho bisogno di più. Per questo la definizione di “ammiraglia delle ammiraglie” mi sembra calzante e trova riscontro anche nel prezzo di listino: 7299€.

Ho avuto la possibilità di provarla un po’ grazie a Cine Sud, scattando qualche foto con il mio collega Salvatore Cosentino.

Il tempo è stato tiranno, non solo quello limitato del test ma anche quello meteorologico, che ci ha costretti ad abbandonare l’originale pianificazione all’aperto per ripiegare in studio. Per analizzare tutte le caratteristiche di una fotocamera come la A1 non basterebbe un mese, immaginate quanto poco si può capire in una manciata di ore.

Basta poco, però, per notare la velocità operativa, i nuovi menu molto più chiari e l’efficacia dell’AF. E quando si portano i file al computer si ritrova quell’estrema flessibilità nella post-produzione che caratterizza i sensori Sony. A causa dell’elevata luminosità dello schermo e complice una certa superficialità/fretta che ci ha indotto a non controllare adeguatamente l’istogramma, alcune foto sono risultate sottoesposte anche di 1 stop. Ma con questo sensore il recupero è semplicissimo e mantiene il rumore digitale bassissimo anche nelle aree più scure. Certo, è sempre meglio scattare bene da principio, ma è certamente un vantaggio avere uno strumento che ti aiuta quando capita di non riuscirci.

Per me che uso una Sony A7R III, una A7S III ed una A7c, l’esperienza di scatto è stata subito familiare. Ancora di più lo sarà per chi usa una A9 II, dato che il corpo è sostanzialmente identico e riprende anche la torretta con metodo drive ed AF sulla sinistra, che invece manca nella serie A7.

Se devo essere sincero, però, io un limite lo vedo in questa super-ammiraglia ed è proprio il corpo.

È molto robusto, è tropicalizzato, l’ergonomia della presa non è affatto male e si riesce a poggiare anche il mignolo – seppure rimanga un po’ a metà nel mio caso. I controlli sono numerosi ed altamente personalizzabili, lo schermo è abbastanza valido e si può inclinare, il mirino è al top della categoria con 9,43 milioni di punti ed ingrandimento dello 0.9x.

Insomma, tutte cose positive in fin dei conti.

Questa è la visione di Sony e non posso dire che sia sbagliata: prestazioni massime con la massima portabilità.

Ma se devo dire la mia, da un punto di vista puramente soggettivo, ritrovarmi a scattare con un corpo di questo calibro e non notare praticamente differenza rispetto ad uno base gamma, come quello della A7 III, un po’ mi delude. E non parlo di una questione meramente estetica o per il family feeling, che è pur sempre un vantaggio quando si usano più corpi dello stesso brand. È proprio il fatto di non percepire in mano quello scarto che ti aspetteresti guardando alle specifiche e considerando il prezzo pagato.

Posso immaginare numerose obiezioni lecite a questa osservazione perché la qualità è ciò che conta e il battery grip è sempre lì, basta acquistarlo. Peraltro, è fortemente consigliato se si ha bisogno di maggiore autonomia, si usano obiettivi importanti o lo scatto in verticale. E quanti sono gli utenti tipo della Sony A1 che non hanno bisogno di tutte queste cose? Non è una domanda retorica, sul serio, non lo so. Immagino che abbiano fatto ricerche di mercato ed interrogato gli Ambassador, quindi sarà risultato più giusto questo approccio. Però io, che il battery grip lo uso sulla A7R, vi dico che non è la stessa cosa: un elemento aggiuntivo rende il tutto meno rigido, porta a dimensioni maggiori, rende più complicata la tropicalizzazione e non consente di ottimizzare controlli e connessioni come si potrebbe fare con un blocco unico. Sarò un sempliciotto, ma ho sempre ritenuto che le tradizionali ammiraglie reflex fossero realizzate in quel modo non per colpa dello specchio o per semplice vezzo ma perché un corpo integrale è nettamente più bilanciato e comodo per i fotografi cui quel prodotto è destinato. Per il tipo di lavoro che fanno.

Insomma, capisco l’approccio e la Sony A1 è semplicemente il massimo che si possa avere in ogni campo. Dico solo che le ammiraglie piccole già ci sono e si chiamano A9 II, A7R IV e A7S III, ognuna con la propria nicchia ben definita.

Lo step in più della A1 forse meritava di non essere limitato alle specifiche tecniche e di trovare riscontro anche nelle caratteristiche strutturali del corpo. È l’unica cosa che Sony, dal mio punto di vista, poteva fare meglio.

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