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SLIPSTREAM di Alessandro Vasapolli

di PHocus Magazine

Dal 25 ottobre 2025 al 28 febbraio 2026 – A cura di Carola Allemandi

FONDAZIONE NATALE CAPELLARO – LABORATORIO-MUSEO TECNOLOGICAMENTE L’INNOVAZIONE OLIVETTI

In occasione dei suoi primi venti anni di attività, il Laboratorio-Museo Tecnologicamente L’Innovazione Olivetti di Ivrea, insieme alla Fondazione Natale Capellaro, dal 25 ottobre 2025 al 28 febbraio 2026 presenta la mostra “Slipstream”, prima antologica dedicata all’artista Alessandro Vasapolli (Torino, 1988) e curata da Carola Allemandi. 

Da sempre impegnato nella divulgazione della storia industriale della Olivetti e nella promozione di un dialogo costante con le nuove generazioni, la mostra “Slipstream” (dall’inglese: “scia”, “traccia”), suggella l’apertura del museo verso le forme espressive dell’arte, intese come ulteriore chiave di lettura e punto di incontro dei suoi valori e del patrimonio che conserva. La ricerca di Alessandro Vasapolli, infatti, da sempre articolata sull’intersezione tra sperimentazione tecnico-scientifica, riflessione teorica e restituzione formale attraverso la fotografia, si pone come riflesso e sintesi di quell’evoluzione ingegneristica e industriale attraverso cui da sempre l’uomo cerca di sfidare i propri limiti, leggere e interpretare il mondo. La mostra, che conterà ventuno opere di grande formato, seguirà l’evoluzione della ricerca dell’artista condotta finora presentando una selezione dei primi tre cicli di lavori di Vasapolli: Early Works (ante-2017), DéVoilées (2014-16) e Dance Notes (2019-21), sviluppati a partire da prima del 2017. In una lettura che, dal testo critico di Carola Allemandi, vuole indagare la “struttura coerente” della ricerca di Vasapolli, la mostra intercetta nei due temi dello sguardo negato e della danza gli espedienti narrativi che in essa maggiormente ricorrono per la sperimentazione formale e teorica dell’artista. Alessandro Vasapolli, parlando di “realismo illusorio”, ci dice fin da subito che la realtà così come la vediamo potrebbe essere soltanto una delle molte possibilità che essa ha di manifestarsi, minando quella certezza percettiva a cui ci affidiamo per muoverci nel mondo. Attraverso meccanismi ottici specificamente studiati e prodotti dall’artista, che diventano quasi degli accessori tecnici all’attrezzatura fotografica che utilizza per realizzare le sue immagini, la corrispondenza tra il referente e la sua rappresentazione inizia a vacillare fino alla crisi totale. Iniziando con Early Works, infatti, di cui in mostra verranno presentate due opere come simbolico avvio del discorso dell’artista, la realtà non è già più quella che ci appare e i soggetti fotografati iniziano a sfuggire, a voltare le spalle a chi li guarda. Come chiaro esempio di quella che l’artista definisce “estetica dell’incertezza”, nelle nove opere tratte dal ciclo DéVoilées il discorso si sviluppa prendendo forma in una negazione marcata e reiterata del soggetto, in una irraggiungibilità che pone lo spettatore a una distanza più definitiva. All’interno di un contesto imprecisato, e velati dalle trasparenze di panneggi “più metaforici che scenografici” – sempre dal testo di Allemandi – i corpi che stanno di fronte allo spettatore sfuggono non soltanto ai suoi occhi, ma a una qualsiasi narrazione lineare. Ma è col ciclo di lavori più recente di Vasapolli, Dance Notes, che le premesse viste fin qui trovano uno snodo sia teorico, che formale.

Il lavoro, suddiviso in sei capitoli, viene qui proposto nelle ultime due sale in una forma più sintetica volta a sottolineare il passaggio che fa della negazione dello sguardo dei soggetti quasi un passo di danza, un dissolversi dentro un gesto più complesso nelle linee del tempo. Le quattro opere tratte dai capitoli Dynamics, Movement e Impetus (realizzate grazie ad alcune tecniche specifiche, come la produzione additiva e l’uso di Arduino), sono qui poste a penultimo passo verso la risoluzione del sesto capitolo, Time, a cui viene dedicata l’ultima sala. Il movimento, struttura portante e fine ultimo del danzatore, diventa una traccia visibile, mentre il corpo che lo produce scompare: le scie che vediamo – nate luminose e qui invertite in segni scuri, quasi d’inchiostro – fermano sull’immagine il tempo che quei gesti hanno abitato, rendendo l’esistenza stessa del corpo una forma incerta, da immaginare, definitivamente lontana da noi.

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