La 20 esima tappa è un della poche che ho deciso prima della partenza. Wittenberge è un’anonima cittadina che sorge sulla riva Brandeburghese dell’Elba, da non confondere con la più famosa Wittember, anch’essa bagnata dall’Elba, ma nella Sassonia-Anhalt. Qui Martin Lutero affisse alla porta della chiesa del castello la sua “discussione sulla dichiarazione del potere delle indulgenze”, nota come le “95 tesi”, dando inizio al Protestantesimo. La scelta di fermarmi a Wittemberge è ponderata, il mio interesse si riversa tutto nell’Elba. Il mio primo incontro con questo fiume è a Magdeburgo. Pedalavo senza far toppo caso al corso d’acqua che mi accompagnava lungo il percorso.
Fino a 30 anni fa, gli abitanti dei villaggi sulla riva destra, erano considerati dal governo centrale dei contrabbandieri, reazionari, dissidenti ideologici, abortisti e nemici della DDR. Lungo il tratto tedesco della cortina di ferro, in molti tentavano la fuga attraverso il fiume. La Stasi deportava i contadini che stavano a ridosso del muro che percorreva l’argine destro del fiume. Questo deportazioni venivano comunemente chiamate “disinfestazioni” ed effettuate nella notte. In poche ore i funzionari della DDR espropriavano le fattorie, facendole passare al Kombinat locale. Alcune volte il villaggio preso di mira veniva completamente distrutto. In molti sono morti annegati o uccisi dalla Volkspolizei.
Sto pedalando attraverso uno dei complessi rurali più poetici e conservati di tutta l’Europa. Oggi i contadini arano la propria terra con serenità e si riposano all’ombra degli alberi, ma una volta, sull’argine destro, quegli stessi alberi erano vietati, così come ogni coltivazione oltre il metro d’altezza. Non erano ammessi ospiti oltre il primo grado di parentela e le strade erano controllate in ogni centimetro quadrato. L’Elba ha rappresentato per oltre 40 anni un muro liquido, un confine violento lontano dai riflettori e all’ombra della capitale tedesca. Questi luoghi erano prigioni dentro le prigioni, una “matrioska” di soprusi, che si compivano in maniera sistematica e con brutalità. Tom è di Dresda, sta percorrendo in bicicletta il bacino del fiume che ha separato la sua infanzia dal resto del mondo.
Per i ragazzi che abitavano ad Ovest, era estremamente differente. Durante le feste si sfidavano in prove di coraggio e remavano fino alla sponda destra per piantare una bottiglia di birra nella sabbia. I tentativi di fuga erano frequenti fino alla fine degli anni ’70, quando l’argine era controllato solo da qualche fucile e dai cani. Mi accampo sotto un albero proprio sulla riva destra del fiume, il luogo è incantevole. Il fiume mi sussurra storie di paura, ma con calma e autorità. Mi racconta di persone che con la nebbia invernale, durante la notte si lanciavano nell’acqua gelata e venivano trasportate dalla corrente nuovamente sulla sponda sbagliata. Mi racconta di aver udito le grida di persone annegate e fucilate per aver creduto di poter aver una vita diversa.
Nel 2022 le differenze tra una sponda e l’altra sono ancora tante, si vedono nelle strutture e nel ritmo delle generazioni precedenti. I ragazzi viaggiano ad un’altra velocità, molti se ne vanno inseguendo i propri sogni, gli stessi che la generazione precedente non ha avuto il lusso di poter coltivare. Wittenberge è ancora oggi l’ultimo punto di contatto tra le due sponde, dopo, per i cento km successivi si può attraversare l’Elba solo in due punti e con dei battelli a pagamento. Si può pedalare in queste zone senza incontrare un’anima viva per chilometri. La grazia nostalgica del paesaggio rende ancora più opprimente la mancanza d’umanità. Chi rimane, vive di rimpianti, alcuni si sentono ancora al di qua del muro. L’Europa e la politica tedesca degli ultimi anni, non sono riusciti a reprimere la delusione di un popolo che è rimasto culturalmente legato ad un regime che governava col pugno di ferro. Ma dove correva il Muro, nella “no man’s land” tedesca, è nato un l’habitat unico nell’Europa centrale. Trent’anni fa non avrei potuto ammirare questa meraviglia, senza rischiare di essere fucilato. Sto guardando uno dei più bei tramonti che abbia mai avuto il piacere di vedere. Il sole lascia trasparire dalle nuvole una fievole luce che crea spettacolari riflessi sull’acqua. I Romani chiamavano questo fiume Albis, i teutonici lo chiamavano Albia. Un fiume non è semplicemente un flusso di acqua. Un fiume ha un inizio e una fine e quasi sempre conduce a qualcosa, spesso al mare, ma alcune volte è la strada bianca da percorrere verso la nostra coscienza.
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Vivo in un piccolo paesino della Liguria, in riva al mare, dove sono tornato dopo aver studiato archeologia, arte e fotografia a Genova, Roma e Milano. Da un decennio sono impegnato in progetti a lungo termine con finalità sociali e di approfondimento in est Europa, Asia e nell’area del Mediterraneo. Utilizzo la fotografia come strumento d’indagine nello studio di ciò che mi interessa e quel che mi circonda. Sono da sempre un sostenitore dell’originalità, riversata nel linguaggio contemporaneo che cerco nella mia scrittura, nelle immagini e nella vita. Sostengo l’editoria indipendente e amo il libro in tutto le sue sfaccettature.
Dopo alcuni corsi di tecnica fotografica a Genova durante gli anni dell’Università decido di approfondire le mie conoscenze sul linguaggio e mi trasferisco a Milano dove frequento l’accademia John Kaverdash. Successivamente, sempre a Milano, partecipo alla Bauer dove svolgo un Master in ritratto fotografico e un Master per Photo Editor, per poi passare all’academy dell’agenzia LUZ.
Infine mi accosto a Door a Roma, frequentando dapprima un Master internazionale sul libro fotografico e svariati workshop con autori internazionali, diventandone membro nel 2019.
Sempre nel 2019 svolgo un Master per curatela museale on line presso Artedata.
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