Ore 5.43
Nel dormiveglia faccio un sogno lucido, di cui dovrò interpretare i segni. L’inconscio agisce in base alle mie pulsioni, che assecondano a loro volta il principio del piacere opposto a quello della realtà.
Mi sento sospeso, sono sveglio ma non riesco a muovermi. Sono paralizzato dentro il sacco a pelo. Mi sforzo di alzare la testa e poi la schiena, ma non succede nulla. Le gambe sono immobili.
All’interno un tempesta emotiva travolge i miei sensi, tramortendoli.
L’esterno è l’unico punto visibile in cui mi riconosco, ma anche questo, presto, diventa luce irradiata dall’interno.
Mi sveglio completamente rintronato. Lentamente verifico che tutti i miei arti funzionino per davvero e faccio un controllo sulle mie funzioni vitali. L’orologio segna un ritmo cardiaco che si aggira intorno ai 40 battiti al minuto. Mi è già successo di entrare in trans, a Novosibirsk sdraiato nel letto di un albergo alle 4 del pomeriggio, nel cuore della Siberia in pieno inverno. Allora avevo creduto che lo spirito di mio padre, mancato poche settimane prima, cercasse di mettersi in contato con me in qualche modo e per chissà quale motivo. La cosa mi aveva riempito d’inquietudine e così decisi di alzare il già forte senso di guardia che assumo nei paesi dell’est.
Non ho mai più vissuto un’esperienza simile, dopo quel pomeriggio. Del resto non sono un medium e nemmeno un portale che conduce all’Averno.
Accendo il fornello e metto su il caffè. Il suo odore penetra nelle radici e viaggia lungo la corteccia fino a quelle strabilianti aree del cervello, nelle quali le emozioni e i ricordi condividono gli stessi confini. Nessuno luogo pullula di idee più di una tazza di caffè sorseggiata guardando un orizzonte infinito!
Provo a dare un significato all’accaduto senza successo, ma dall’analisi emergono riflessioni interessanti. La percezione che ho dell’esterno è costruita dalla mia interiorità che si manifesta come una luce che cambia la natura delle forme che osservo nel mondo. Un bagliore interno si mescola ai fotoni della luce esterna e insieme creano una realtà da interpretare, quella che si manifesta dinanzi agli occhi di chi osserva. Questo baleno interiore è un simbolo della memoria inconscia, che riduce la materia ed esalta la totalità dei colori nella percezione dell’esterno. In questa esperienza “transpersonale”, il confine tra interno ed esterno della realtà diventa liquido fino a quasi a svanire del tutto. Questa luce modifica le abitudini dell’occhio e la natura del suo agire, creando un nuovo intreccio di luminosità e azioni che generano le forme. E’ fondamentale non opporre al sogno alcuna resistenza razionale e lasciarlo fluire lasciandosi trasportare dalle emozioni. Al risveglio queste emozioni possono trapelare in commozione, ma mentre la prima è di natura spirituale, la seconda è di carattere puramente sensoriale. Quindi esprimersi con emozioni (spiritualmente) porta come conseguenza a reazioni sensoriali che coinvolgono la sfera emotiva. Attenzione: emozione e commozione non sono la stessa cosa.
Che cos’è dunque la forma se non una protezione dello spirito nella realtà? L’unico modo per registrare una forma è attraverso un’intuizione poetica, che si identifica con il contenuto. Quindi una commistione di spirito e contenuto crea ciò che siamo in grado di osservare. Uno stesso soggetto può essere visto e riportato in modi completamente diversi da individui/autori differenti per una questione di “forma”, cioè l’interazione tra la luce interiore e quella esteriore di chi osserva e di chi invece viene osservato, un intreccio complicatissimo di contenuto e spirito che genera la visione, che si trasforma in arte. L’arte intesa in questo senso diventa un linguaggio intimo, conseguito per illuminazione non per pensiero critico. La descrizione critica di un’intuizione è la conseguenza dell’intuizione stessa, ma il punto di partenza è sempre il lampo che segue all’intreccio dell’illuminazione, che crea la forma.
La forma è l’unica via attraverso la quale si manifesta l’emozione, che è il contenuto.
Rimetto in ordine tutte le mie cose, lentamente e senza badare ai movimenti del mio corpo. Sono troppo concentrato sul pensiero e ogni dieci secondi lascio cadere tutto quello che ho in mano, per scrivere gli appunti. Questi pensieri sono troppo complicati per tenerli nella RAM celebrale. Appena riprendo a pedalare, il sole spunta tra le nuvole assieme allo stesso vento del sud di ieri. Sembra una risposta ad un preghiera. Se voglio raggiungere Stoccolma con due giorni d’anticipo dovrò pedalare per circa 120 Km fino a Nyköping e la pioggia di certo non mi aiuterebbe ad ottenere il risultato. Lo spazio in cui mi muovo è sempre lo stesso ormai da giorni. I soliti boschi di conifere, le solite campagne arate da grandi trattori, le medesime case rosse sparse qua e là lungo la strada. Lo stesso sole che va e viene e il costante dolore alle gambe a cui ormai non faccio più caso.
Sono in un loop, ma per fortuna la testa va vanti lo stesso.
Manca ormai un ora al traguardo di giornata e incontro nuovamente l’americana. E’ una ragazza di poche di parole, non vuole stare in mezzo alla gente, ma si lamenta in maniera velata della solitudine. Io posseggo la linea internet che mi permette di capire dove sto andando mentre lei pedala alla cieca. Questa volta sarà lei a seguirmi e io farò l’andatura. Mentre pedaliamo, ad un ritmo accettabile per le mie gambe, mi racconta un pò della sua vita. Senza troppo entusiasmo dice di essere una programmatrice di computer, ma da come si muove sembra Jhon Rambo in versione femminile.
Dopo poco più di un ora arriviamo Nyköping. E’ già buio, ma questa sera la luna è nascosta dalle nuvole che ne riflettono un bagliore quasi impercettibile. Entriamo in un campo da golf, percorriamo una strada privata che ci porta ad un sentiero e successivamente al bivio che devia la strada verso la cima del colle più alto della zona.
Poco dopo la metà della salita, nella vegetazione più fitta, il rumore di un automobile mi scuote. I fari si spengono, dall’auto scendono due persone con dei bauli e cominciano ad assemblare quello che sembrerebbe essere un set cinematografico. Cavalletti, fari a luce continua alimentati da un gruppo elettrogeno, macchine da presa . Sul tavolo sono riposti un paio computer di ultima generazione e alcuni taccuini da disegno. I due uomini tendono alcune lenzuola bianche a mezz’aria su diversi cavalletti da studio e sistemano una luce una funge da back light. E’ buio pesto e mi trovo da solo in mezzo ad un bosco con gente che non conosco. Ovviamente penso subito male, apro la borsa e prendo il coltello che nascondo aperto nella tasca della felpa. Alla fine, tra un chiacchera e l’altra, scopro che cercano una farfalla notturna endemica della zona e ripongo il coltello nella borsa sentendomi un idiota. Forse ho guardato troppi film horror nelle notti di Halloween all’università. Ancora mi rimane il dubbio se fossero ricercatori di qualche ente statale o privato oppure dei semplici appassionati di lepidotteri.
Poco importa. Ci accampiamo, Page da una parte e io dall’altra di un prato, in luogo che sembra dimenticato dalla civiltà. Attraverso la fitta maglia di rami delle conifere s’intravedono i bagliori di luce della città vicina. E’ davvero molto tardi, anche questa sera mi sento molto stanco, ma non ceno in compagnia di qualcuno da giorni, così mi sforzo di ascoltare la sua storia.
Mentre lei cucina la sua quinoa e io addento un panino salame e formaggio, la osservo. C’è qualcosa che mi mette a disagio. Forse quel senso di sicurezza che trapela dal suo volto mi atterrisce, anziché darmi fiducia. Non ha ne l’aria e nemmeno le movenze di una persona di New York. In un minuto monta la tenda, e prepara i fornelli da campo per cucinare.
L’aria diventa pungente, Page mette la sciarpa sulla bocca come una maschera. Questa di tanto in tanto si allenta scivolandogli dal naso, ma lei la risistema con una calma ancestrale. L’operazione si ripete continuamente.
Mentre penso a come far evolvere il discorsi, lei rompe gli indugi chiedendomi informazioni sulla chiesa. Dice di essere molto religiosa e le credo. Forse è dal suo credo incondizionato che deriva la mia inquietudine. L’idea che ci sia qualcuno che ha già deciso tutto, che ogni movimento del mio corpo sia stato studiato a tavolino, oppure pensato con superficialità, mi atterrisce e mi fa incazzare nello stesso tempo. Le spiego che ruolo ha la chiesa in Italia, e il motivo per il quale la religione incontra l’uomo solo in tarda età. Rimane delusa, dato che vede il Vaticano come un faro che illumina il mare e segnala i pericoli alle navi che si avvicinano troppo alla costa. Il Vaticano!
Page non parla quasi mai del suo lavoro, d’altronde 4 mesi di vacanza per una ragazza di circa 35 anni non sono una consuetudine in una società competitiva e iper produttiva come quella americana. Mi racconta che la sua avventura è cominciata in Valle d’Aosta, facendo hiking fino in Germania con il suo ragazzo. Questo poi è tornato in America per motivi di lavoro, così lei ha è andata Berlino, ha comprato una bicicletta con quattro accessori ed è partita per Stoccolma, da sola e senza un motivo. Non è che ci ci sia bisogno sempre di un motivo per fare le cose, alle volte queste si fanno e basta e poi si vivono le conseguenze che ne derivano, come i pacchi delle sorprese di Natale.
Sono molto stanco. Lascio Page al telefono con l’atra parte del pianeta e mi ritiro nella tenda.
Mancano solo 130 Km a Stoccolma e voglio farli tutti d’un fiato. Il richiamo di un letto soffice e il piacere di una doccia calda vincono sulla spossatezza delle mie gambe. Ormai la decisione è presa. Domani arriverò in città, costi quel che costi.
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Vivo in un piccolo paesino della Liguria, in riva al mare, dove sono tornato dopo aver studiato archeologia, arte e fotografia a Genova, Roma e Milano. Da un decennio sono impegnato in progetti a lungo termine con finalità sociali e di approfondimento in est Europa, Asia e nell’area del Mediterraneo. Utilizzo la fotografia come strumento d’indagine nello studio di ciò che mi interessa e quel che mi circonda. Sono da sempre un sostenitore dell’originalità, riversata nel linguaggio contemporaneo che cerco nella mia scrittura, nelle immagini e nella vita. Sostengo l’editoria indipendente e amo il libro in tutto le sue sfaccettature.
Dopo alcuni corsi di tecnica fotografica a Genova durante gli anni dell’Università decido di approfondire le mie conoscenze sul linguaggio e mi trasferisco a Milano dove frequento l’accademia John Kaverdash. Successivamente, sempre a Milano, partecipo alla Bauer dove svolgo un Master in ritratto fotografico e un Master per Photo Editor, per poi passare all’academy dell’agenzia LUZ.
Infine mi accosto a Door a Roma, frequentando dapprima un Master internazionale sul libro fotografico e svariati workshop con autori internazionali, diventandone membro nel 2019.
Sempre nel 2019 svolgo un Master per curatela museale on line presso Artedata.
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