Sabato 17 settembre. Ore 7.06
Mi alzo presto con controllare il meteo, se non piove posso recuperare il tempo che ho perso ieri, facendo una tappa molto lunga. Vado subito a controllare alla finestra e diluvia. Poco male, prendo la colazione, faccio l’ultima doccia per chissà quanto tempo, libero le memorie di tutte le schedine che mi porto appresso, e carico fino all’ultimo dispositivo. Mentre compio tutte queste operazioni il tempo passa e la pioggia smette di cadere. Qualcosa m’impedisce fisicamente di partire. Le borse sono chiuse, la bici è in ordine ma Uppsala mi trattiene. Come Calipso con Odisseo, questa città ha incatenato la mia anima alla sua e mi trattiene contro la mia volontà.
Parto alle 13.00 controvoglia e subito devio per un paio di chilometri verso la Decathlon. Ho necessità di recuperare un paio di pantaloni pesanti per dormire e una maglia di pile in più, possibilmente a prezzi bassi per non intaccare un budget che è già provato dai guasti meccanici della bicicletta. Finalmente, poco dopo le 14.00, sono sulla rotta che ho tracciato verso nord. Ovviamente la tappa lunga che avrei dovuto fare è rimandata. Non ho una destinazione precisa, quando sarò stufo cercherò uno spot per piantare la tenda.
Uscire da Uppsala non è come uscire da Stoccolma. Appena poco fuori dal centro mi ritrovo in aperta campagna. Questo è un paesaggio senza segreti dove non c’è misticismo e tutto è razionale. Niente è ostacolato da nulla. Nel frattempo ricomincia a piovere con intensità. Non mi fermo, non ho tempo e non saprei dove. Sono attrezzato per pedalare in queste condizioni anche se a dire la verità non è per niente agevole. Guido sull’asfalto bagnato, a testa bassa e non vedo quasi niente. Intorno a me le linee prendono forme non definite.
Lo spazio assume un profilo liquido che cambia continuamente mentre l’orizzonte appare come un manifesto di un movimento artistico di inizio ‘900.
Anche qui, come nei giorni precedenti all’arrivo a Stoccolma, le campagne si alternano ai boschi, ma le salite sono meno frequenti e meno ripide. L’aspetto del paesaggio cambia all’improvviso ma i colori rimangono invariati. Verde, giallo e grigio. Nel bosco i dettagli si perdono, ma la strada assume finalmente una prospettiva. La bellezza della vegetazione non nasconde i suoi misteri come fa la campagna, anzi li sussurra nell’orecchio. L’eco del vento tra le foglie bagnate porta parole d’inaffidabilità, finché il vento non cala di colpo e tutto tace. Sento solo il rumore martellante della pioggia che mi buca il cervello. L’umidità penetra attraverso i vestiti che dopo ore sotto l’acqua cominciano ad essere bagnati. La membrana impermeabile cede e fa passare piccole gocce che mi causano grandi guai.
Mi devo fermare. Mentre vado avanti a tentoni penso a coloro che ascoltano tracce intitolate “10 Hours Relaxing Rain Sound for Sleep” nelle loro cuffie head phone o in filodiffusione nel salotto, magari con un bicchiere di vino in mano. Li farei pedalare cinque minuti al posto mio. Le nuvole nel cielo diventano sempre più nere e sembra che vogliano fare sul serio, sulla mia testa ho una spada di Damocle tramutata in colonne d’acqua! Esco fuori da quel poco riparo che mi dà il bosco inquieto, la strada entra nell’ennesimo campo da golf e lo taglia metà. E’ incredibile quante persone in Svezia pratichino questo sport, anche se finora ho visto solamente campi vuoti.
La pioggia aumenta. Fino a che punto può aumentare la pioggia? Dopo sessanta chilometri di pedalata eroica mi trovo ad un bivio con un cartello che indica verso sinistra: FILM 4. Mi piace.
Seguo il cartello anche se va nella direzione opposta a quella che indica il navigatore. Nemmeno due chilometri dopo incrocio un laghetto con il solito porticciolo e con la solita piazzola e pianto la tenda. Anche stasera l’ho sfangata. Sfrutto l’ultima luce di un tramonto grigio, sistemo le mie cose e mi precipito in un bar per caricare le mie attrezzature. E’ un po’ tardi, ma trovo comunque il tempo per scrivere. Nella stanza affianco delle giovani ragazze cantano e ballano fino allo stremo. E’ tornata la notte, i lampi solcano il cielo
illuminando per una frazione di tempo le case rosse bordate di bianco.
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Vivo in un piccolo paesino della Liguria, in riva al mare, dove sono tornato dopo aver studiato archeologia, arte e fotografia a Genova, Roma e Milano. Da un decennio sono impegnato in progetti a lungo termine con finalità sociali e di approfondimento in est Europa, Asia e nell’area del Mediterraneo. Utilizzo la fotografia come strumento d’indagine nello studio di ciò che mi interessa e quel che mi circonda. Sono da sempre un sostenitore dell’originalità, riversata nel linguaggio contemporaneo che cerco nella mia scrittura, nelle immagini e nella vita. Sostengo l’editoria indipendente e amo il libro in tutto le sue sfaccettature.
Dopo alcuni corsi di tecnica fotografica a Genova durante gli anni dell’Università decido di approfondire le mie conoscenze sul linguaggio e mi trasferisco a Milano dove frequento l’accademia John Kaverdash. Successivamente, sempre a Milano, partecipo alla Bauer dove svolgo un Master in ritratto fotografico e un Master per Photo Editor, per poi passare all’academy dell’agenzia LUZ.
Infine mi accosto a Door a Roma, frequentando dapprima un Master internazionale sul libro fotografico e svariati workshop con autori internazionali, diventandone membro nel 2019.
Sempre nel 2019 svolgo un Master per curatela museale on line presso Artedata.
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