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Road to Nordkapp – Trentacinquesima tappa: Galve

di Emanuele Mei

Lunedì 19 settembre.
Ore 5.25

La pioggia scende senza tregua. Il fruscio che provoca battendo sulla tenda non mi fa dormire. Mi contorco nel sacco a pelo sforzandomi di richiudere gli occhi almeno per un altro paio d’ore, ma non c’è modo. Alle 9.00 circa smette per qualche minuto. esco dal mio rifugio e cerco di raggiungere il bar, ma vengo colto da un ramata d’acqua difficile da dimenticare. Entro, sono completamente bagnato. Mi chiudo in bagno per asciugare le scarpe con l’asciugamano ad aria e ci sto una vita. Successivamente mi procuro del cibo alla buona e passo tutta la giornata seduto al tavolo del bar vuoto a bere caffè. La struttura è spoglia, ha un a cucina che tutti gli abitanti del villaggio possono utilizzare, una sala per le feste e un bagno comune. Sembra più un oratorio che un’attività commerciale, ma qui le esigenze sono differenti dalle nostre, e credo che abbia la stessa funzione di una piazza in Italia. In questo momento rappresenta il posto ideale per me. Davvero potrei rimanere qui per giorni.

Il caffè costa caro ma i refill sono gratuiti. Il giorno scorre e il mio sguardo appannato si perde fuori dalla finestra, cerco di non girami indietro con il pensiero, ma a volte la nostalgia mi fa voltare. Non è una malinconia dovuta al tempo passato lontano da casa, sono stato via per periodi ben più lunghi, ma un sentimento determinato da quello che non troverò più di me al ritorno. La nostalgia è un sentimento bellissimo, lì per lì sembra deprimente, ma in realtà ti fa capire che c’è qualcosa per cui vale la pena vivere, ma è anche parimenti molto pericolosa. La nostalgia dev’essere gestita, controllata, mai deve prendere il sopravvento sulle azioni.
Questo sentimento muove mari e monti, ma è in grado di distruggere tutto ciò che ci circonda.
La luce fuori dalla finestra è grigia, è una tipica giornata svedese pre invernale, umida e nebbiosa. Perché dovrei uscire dalla stanza in cui mi trovo? Perché dovrei abbandonare il tepore del grosso camino acceso al centro? Cerco di mettere a fuoco i pensieri che sono partiti per la tangente. Ogni esame affrontato nella vita comporta riflessioni sulla morte. Non servono soluzioni filosofiche o voli pindarici per capire che è presente in ogni gesto e in ogni decisione. In nessun altro luogo Lei è spiritualmente vicina ad un individuo. Sono pensieri automatici, poco ragionati, ma evolvere presume una ricerca, a volte incosciente, dei temi nodali. Sono chiuso in una stanza, eccomi! Guardo fuori dalla finestra mentre la pioggia picchia sul vetro. Il mio volto si riflette in maniera poco nitida mentre cerco di pensare ad un futuro semplice, più vicino al presente, senza arrampicarmi in visioni di una vita utopica.
E se il segreto fosse smettere di cercare di capire il mondo?
Alla fine, chiunque di noi, per natura, è rassicurato da ciò che è famigliare ma è attratto dalle cose nuove, forse è per questo che non riuscirò mai ad aver pace. Entro nel bagno e mi guardo allo specchio e vedo una persona stanca, ma con tanta voglia di vincere la sua guerra di Troia. Il tempo è volato, ma lo spazio è rimasto lo stesso. Torno nella mia tenda cercando di non bagnarmi, sopratutto provo a non bagnare le scarpe. Domani partirò con qualsiasi condizione climatica e non voglio essere da buttare già nei primi minuti di pedalata.

Martedì ore 7.00

Approfitto della solita finestra temporale di 15 minuti senza pioggia che il meteo mi concede. Esco dalla tenda e faccio tutto di corsa. Asciugo il nylon con un panno in micro fibra e provo a chiuderla velocemente prima che l’acqua ricominci a cadere forte. Riesco a malapena a mettermi la cerata e a coprire le scarpe. Attraverso anonimi villaggi resi ancor più spettrali dal maltempo, non incrocio una macchina per ore. Percorro strette strade sterrate che assomigliano più a sentieri che a passi carrabili.

Mi perdo nella vegetazione sia mentalmente che fisicamente. Nei pressi di Marma imbocco una strada che si restringe sempre di più fino a perdersi completamente. D’un tratto mi trovo catapultato nella natura più selvaggia senza nessun appiglio con la società, senza alcuna scusa. Il telefono non funziona e piove. Vado avanti a sentimento finché non riprendo la connessione che mi guida ad un viottolo diretto verso un cancello di una base militare nascosta nel bosco. Le bandiere sventolano e sono rosse. Non perché ci sia qualche collegamento con la Russia, non sono più rosse da tempo nemmeno lì. Credo sia per una questione di visibilità e avvertimento, ma non ne sono sicuro.

Non ci sono altre vie se non quella che conduce di fronte alla guardia. Mah, ho avuto a che fare con diversi eserciti negli ultimi anni e non è che mi ricordi di un esercito svedese attivo nel mondo, anche se nel 2011 i Saab giallo crociati hanno preso parte alla coalizione Nato che ha esercitato in Libia.
La politica estera svedese è riuscita a tenere la Svezia fuori dalla guerra attraverso una posizione di totale neutralità che dura da decenni. Nonostante ciò apprendo che nella realtà in Svezia l’esercito c’è e la sua presenza non è marginale.
Il governo fornisce anche importanti informazioni ai suoi cittadini, che in caso di emergenza sono chiamati alla difesa totale del territorio. Queste indicazioni di comportamento sono diffuse con opuscoli inviati a casa a tutte le famiglie. Nelle pagine ci sono descritte le modalità di comportamento che un cittadino deve adottare in una situazione di crisi nazionale e, in particolare, guerra nucleare. Eh si, perché la vicinanza alla Russia si è sempre fatta sentire, anche prima degli avvenimenti ucraini.

“Se arriva la guerra”, o “in caso di invasione nemica”, “ogni affermazione che la resistenza è cessata è falsa. La resistenza deve essere fatta sempre e in ogni situazione. Dipende da te: dai tuoi sforzi, dalla tua determinazione, dalla tua volontà di sopravvivere “.

Devo dire che la cosa m’inquieta. Arrivo di fronte alla sbarra. Il navigatore segna che 20 metri oltre il cancello c’è una strada che potrebbe farmi risparmiare almeno 10 km. Ma il cancello è chiuso e non posso attraversarlo. Senza troppo entusiasmo ripercorro il percorso a ritroso, questa volta notando i cartelli di divieto d’ingresso che si ripetono. Ritorno indietro sulla strada sterrata, al bivio giro a destra e dopo 10 km intercetto la famosa E4, la strada dei pionieri, quella che porta a Capo Nord, e che io non sto percorrendo per ovvie ragioni. L’off road è il nuovo confine pionieristico per arrivare alla meta. La pioggia aumenta e intanto il giorno muore lentamente. Arrivo a Galve alle 21.00.

Ray mi aspetta da qualche ora. Non ci conosciamo, ma grazie all’intervento divino di Costanza, colei che ha guidato i miei spostamenti nei confini ucraini, mettendomi in connessione con chiunque avesse importanza, questa sera avrò un letto, una cena calda e una doccia bollente.
Ray è siriana rifugiata da anni in Svezia. La parola rifugiata ha sempre avuto un’accezione negativa per me. Ray abita in Svezia e lavora nell’ufficio di collocamento, aiuta le persone che arrivano nel paese a trovare lavoro ed integrarsi. A Galve vive anche sua madre, emigrata nel 2015 insieme a 3 fratelli che sono rispettivamente, uno a Uppsala e 2 a Stoccolma. Ad accogliermi all’ingresso c’è un lupo americano di taglia XL. Attenzione, sto parlando di un lupo vero, uno splendido esemplare femmina di nome Medusa che vive sul divano dove dormirò stanotte. Incredibile, un lupo in un appartamento non l’avevo ancora visto, e mai ho accarezzato uno splendore simile prima d’ora. Ammetto di averlo fatto con un po‘ di timore. La cena è siriana, la musica è siriana. Questa è una serata regalata. Faccio incetta di tutto quello che posso, mentre Medusa sgranocchia un osso che è 5 volte più grosso della mia gamba. Dobbiamo dormire insieme nella stessa stanza…

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