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Road to Nordkapp – Quarantacinquesima tappa: Lulea

di Emanuele Mei

Martedi ore 8.00

Mi alzo e non piove ancora, è un miracolo. La tregua non dura a lungo. Ho giusto il tempo di chiudere la tenda senza bagnare la camera. Mi metto in sella subito, mi dirigo verso il villaggio che ho intravisto ieri e vado in cerca di un supermercato.
Rimango alla destra del ponte. Da lontano si vedono già due capannoni, uno di fronte all’altro, con insegne con scritto ICA Norge e Coop. Entro nel primo e compro tre dolci alla cannella in offerta, un succo d’arancia e una bottiglia d’acqua. Faccio colazione nel parcheggio. Da una macchina scende una coppia, la donna in testa, l’uomo si attarda e mi guarda con curiosità ma non ha il coraggio di chiedermi nulla. Mi rimetto nuovamente in sella e punto la ruota anteriore nella direzione di Lulea mentre ricomincia a piovere, ma è una pioggia leggera. E’ più l’umidità del mattino a darmi fastidio.

I camion sulla E4 non rallentano, lo spostamento d’aria rischia di schiacciarmi contro il guardrail, a volte mi tocca addirittura fermarmi per farli passare quando li sento arrivare da lontano. La strada si restringe spesso ad una corsia e la parte ciclabile è praticamente inesistente. Nel nord della Svezia la vegetazione è fitta, la natura comanda senza se e senza ma. La fauna è la vera protagonista, l’uomo vive al margine cercando di non rovinare un delicato equilibrio che dura da millenni. Tra un villaggio e l’altro le distanze aumentano giorno dopo giorno e questo un po’ mi preoccupa. Se continuo a percorrere strade non segnate sulla mappa che attraversano i boschi e avessi un qualsiasi tipo d’inconveniente, le cose potrebbero mettersi male immagino. Comunque, la tappa di oggi sarà lunga perché voglio avvicinarmi al confine con la Finlandia, quindi pedalerò sulla noiosissima E4 fino a Lulea.
Intorno alle 11 non ha ancora smesso di piovere e alla lunga l’acqua è riuscita a farsi strada tra l’abbigliamento impermeabile bagnando lo strato base. Mi fermo in un autogrill lungo la strada. Qui tutte le stazioni di servizio hanno un supermarket all’interno e con l’umidità e le temperature basse ho la necessità di asciugarmi per prevenire un malanno che comprometterebbe il proseguio di questa avventurosa ricerca.

All’interno la commessa è gentile. Mi offre un caffè e vuole sapere di me, del mio viaggio, della mia storia. Non ci sono clienti nel negozio, così abbiamo il tempo di chiacchierare un po’. Erano giorni che non parlavo con qualcuno ed è stato confortante. Dopo circa un paio d’ore riparto e in un’ora arrivo a Pitea.
Pitea è il primo comune sulla costa nella contea di Norbotten. E’ una cittadina grigia fatta di cemento e circondata da foreste infinite. Mi fermo nel solito fast food per dare una carica alle batterie della GoPro per circa un’ora. Sono le 15, ora non piove più, guardo la mappa e decido di proseguire. Il cielo alle mie spalle è nero, voglio coprire più strada possibile per non essere investito dall’acquazzone che sto cercando di evitare da giorni.
Stavolta mi lascio l’E4 sulla destra è prendo una strada secondaria e sterrata. Finalmente la mia pedalata torna a contatto con la natura. La testa torna sospesa e riprende a respirare immagini che sgorgano da un visione. I miei occhi ritornano ad avere un dialogo continuo con l’io sottinteso che si rigenera verso l’origine affrancandosi dalla parola. Non c’è pace nel mio sguardo che procede per aperture e chiusure, il pensiero e l’immagine diventano poesia e si dirigono verso una matrice comune che è la forma. Quando la luce cala, il rapporto con il mondo tangibile svanisce, il riverbero dell’immagine rimane per alcuni attimi nella mia testa per poi svanire e lasciare spazio ai pensieri. Ora sono investito da paure e timori.

La cecità della forma forza la memoria nel ricordo di quell’immagine che mi rassicura e che mi permette di andare avanti. Sto facendo tutto quello che ho sempre pensato fosse sbagliato e che mi sono imposto di non fare. Il sole sta scendendo e io sono in mezzo al bosco. Il buio mi coglie di sorpresa. Ho freddo, non ho una luce e sono in un luogo popolato da orsi e lupi.
Arrivo ad un bivio con fatica e questo mi porta finalmente sulla strada. La dilatazione luminosa dei fari delle macchine e dei lampioni mi riporta nel mondo dell’immagine. Tornano i rumori e il caos generato dall’antropizzazione del territorio mi rassicura. Il dialogo con il buio che mi circonda si spegne e torno a subire passivamente un linguaggio rassicurante fatto di simboli e segni. Mancano gli ultimi 5 Km di 129, tra poco sarò arrivato. Comincio ad intravedere le sagome della chiesa e dei palazzi che delineano uno skyline disegnato dalle luci nel buio della notte svedese.
Finalmente! La destinazione è un altro ricovero per pescatori ma questa volta non mi trovo più in mezzo al bosco. Lulea è a 6 km e la vicinanza alla città mi rasserena. Le nuvole mi raggiungeranno e questa notte pioverà forte, ma il focolare è coperto. Spettacolo, anche stasera avrò il fuoco.

Scendo dalla bici e zoppico un po’, una palafitta sull’argine cattura la mia attenzione ma è chiusa, peccato. Monto la tenda vicino alla capanna su un fondo pietroso. I picchetti entrano a fatica e devo usare un sasso per fissarli bene. Il fronte della tempesta è vicino e si palesa attraverso lunghe raffiche di vento gelido che muovono le fronde degli alberi. C’è un battaglia in cielo tra le nuvole che si scontrano al di là dell’argine, illuminate dai riflessi rossi e gialli che arrivano dal centro dell’abitato. Spero solo che il guscio della tenda tenga e che il vento non entri a rovinarmi il sonno. Accendo il fuoco a fatica, la legna è umida e non prende bene, il camino non tira molto e l’ossigeno non alimenta la fiamma. Soffio per più di un’ora finché un fumo bianco non comincia a riempire l’interno della capanna. Un brivido di piacere e sollievo mi sale dalle gambe e termina dietro la schiena. Ora posso finalmente abbassare la guardia.

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