Il volto invisibile del lavoro migrante a Saluzzo
Un giorno che pioveva molto intensamente ho conosciuto e visitato il centro migranti di Saluzzo, in provincia di Cuneo. Un luogo che, più che accogliere, sembra sopportare: fatiscente, provvisorio, segnato dal caporalato e da condizioni abitative che negano ogni dignità. A Saluzzo, sono stato accolto nel centro, anzi direi in un primo momento respinto, c’è molta diffidenza verso le persone che si avvicinano, ma poco a poco sono riuscito a farmi tollerare e ho potuto così entrare e vedere. La pioggia certo non aiutava nell’impressione terribile della situazione, ma è nato il desiderio di raccontare. Non la sporcizia o la povertà estrema, né documentare l’inesorabile impossibilità di costruirsi una vita migliore partendo da lì. Quella realtà esiste e parla da sé, a chi ha voglia di ascoltarla.
Quello che volevo mostrare era altro: il lavoro. Il lavoro che questi giovani migranti, quasi tutti ragazzi ventenni, svolgono per la società italiana nei mesi estivi, quando le campagne si riempiono di frutta da raccogliere. Sono soli, arrivati da lontano. In Italia non hanno famiglia, solo un passaggio continuo da una provincia all’altra, in bicicletta, ciabatte, inseguendo un’occupazione stagionale che cambia con il clima e con i raccolti. Dormono dove possono, spesso all’aperto o in sistemazioni di fortuna. Vivono nel precariato costante, ma non si fermano mai.
In mezzo a tutto questo, ho visto volti…e mani. Volti giovani, spesso stanchi, ma non privi di orgoglio. Ho pensato allora di fare dei ritratti. Non immagini di denuncia, ma ritratti veri.
Fotografando gli occhi delle persone, da vicino, sul set, tra le luci, si riesce ad entrare in sintonia, ci si avvicina, è difficile rimanere sul set, farsi riprendere senza vergogna, ci si deve concentrare, sforzarsi, non è come essere ripresi mentre si lavora o si gioca o si chiacchiera, lì sul set la persona è sola e si abbandona al fotografo che lo guida e ne cattura la storia.Volevo che potessero usare i miei ritratti per raccontarsi ai parenti rimasti in Africa: “Ecco, questo sono io, qui in Italia, queste sono le mie mani, che faticano, producono, si stancano”. Non un’immagine di miseria, ma un frammento di sé, di presenza, di resistenza.
Quel giorno ho conosciuto anche un gruppo di volontari – donne e uomini, ragazzi e ragazze – che ogni giorno si impegnano concretamente per migliorare la vita dei migranti. Sono stati loro a mettermi in contatto con i ragazzi, ad accompagnarmi nelle conversazioni, a facilitare la comprensione reciproca. Con il loro aiuto ho potuto spiegare il mio progetto, raccogliere le liberatorie e, soprattutto, garantire una restituzione vera: le stampe dei ritratti da donare a ciascuno di loro e i file digitali, da spedire ai familiari attraverso i cellulari. Un gesto semplice, ma per molti significativo.
Ho scelto di scattare nella piazza di Saluzzo, davanti alla Castiglia. Non in un angolo nascosto, ma nel cuore del paese. Perché è lì che queste persone vivono, lavorano, esistono. E perché è lì che, forse, potremmo cominciare a guardarle davvero.
Dal punto di vista tecnico, mi sono comportato come per un lavoro su commissione. Ho richiesto attrezzatura particolare in prestito a varie aziende Torinesi. Io e due dei miei figli abbiamo utilizzato luci flash a batteria Broncolor e fotocamere ad alta risoluzione Hasselblad, con un ampio parco obiettivi, per garantire la massima qualità possibile. La giornata di shooting è stata lunga, intensa, faticosa ma estremamente proficua. Abbiamo lavorato all’aperto, nella piazza principale di Saluzzo, davanti alla Castiglia, trasformandola in un set fotografico vero e proprio, visibile a tutti. Le persone del paese hanno assistito incuriosite: non solo passanti, ma testimoni di una scena insolita, in cui i protagonisti erano i migranti stessi, inseriti nel contesto urbano, alla luce del giorno.
Durante la sessione abbiamo anche realizzato un video, documentando non solo i volti ma anche i gesti, i sorrisi, le attese, la costruzione condivisa di un momento importante. Il video è poi stato proiettato all’interno della mostra fotografica, completando il racconto con il movimento, la voce e l’energia di quel giorno.
Gianni Oliva
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