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Ritratti dell’infanzia negata (CONTRO LA GUERRA):Michele Licheri intervista Pino Bertelli (parte uno)

di PHocus Magazine

D. Nel 2019 dai alle stampe l’ennesimo libro fotografico che definisci – implacabil-mente – “atlante di geografia umana”. Al pari dei precedenti, si può affermare, sei fedele alla linea. Quale? Di denuncia sociale, politica, nel solco dell’internazionalismo solidale e sempre contro la “società dello spettacolo”. Tu rivolti le tasche a questo mondo rappresentato da loschi affari che alimentano la belligeranza; al “potere globale” che spedisce negli spazi più remoti razzi ipertecnologici millantando future neo – patrie cosmiche e allo stesso tempo alimenta nuovi teatri di guerra utilizzando il meglio delle potenzialità distruttive missilistiche, affamando e creando precarietà e profughi. In questo esercizio balistico e di sperpero delle materie e delle risorse umane, gestito dal potere plutocratico – militare la “Madre Terra” ri-schia grosso. Ovvero l’umanità intera è allo sbando: chi paga questa follia distruttiva che si propaga supportata dall’idea che il consumo sia la via per giungere alla felicità?

Ouverture. Questa Michele è un’intervista stonata… una sorta di invito al viaggio senza fasti né buffonerie intellettuali… un flusso di parole/immagini che non cercano nessuna medicina per l’esistenza… quindi intendo uccidere tanto l’intervista, così come viene concepita dai fautori dell’indicibile nelle loro sedi specifiche (giornali, libri o televisione, tribune elettorali), quanto la confessione narcisistica che ne nasconde le discrepanze… il valore d’uso delle parole dunque è pervaso dal sarcasmo anarchico, il witz ebraico o il calembour-Argot… un gioco o un incrocio di verità e di splendide omissioni che non vogliono dimostrare nulla, solo mostrare che l’amore di sé per l’altro costituisce la tessitura di tutto ciò che respira. Non si prega l’evidenza, la s’impicca alla surrealtà della vita.
Sopprimete il linguaggio degli affari e vedrete che della civiltà non resterà che la sua protervia. “La differenza tra intelligenza e stupidità sta nel modo di maneggiare l’aggettivo, il cui uso informe costituisce la banalità”, E.M. Cioran, diceva. Negli spiriti pervasi di poesia, macellai e carnefici delle guerre sono banditi e all’interno di un’estetica-etica dell’incompiuto, i loro padroni sono destinati a essere preda dei loro stessi supplizi. Ogni verità è il superamento del presente, ogni mendacia la conferma dell’orrore d’essere ingannati e calpestati. Il disdegno contro trionfi e fallimenti è il primo passo verso una critica della separazione e rigetta la terminologia dei vinti quanto la storia della miseria come destino.

Le tue domande Michele vanno a toccare le corde profonde della mia eresia libertaria e del mio portolano culturale-politico… cercherò dunque di risponderti a gatto selvaggio… come si fa in un ufficio di polizia dopo che si è risposto al manganello con il lancio di un sampietrino… non si dice niente in quella lingua, ma si conferma tutto il carico d’eversione radicale che contiene quel frammento di poesia scritto con la pietra.

Avevo 14 anni quando vidi un film di Josef von Sternberg, “I misteri di Shanghai” (1941), e restai affascinato da un dialogo fra Gene Tierney e Victor Mature… la Tierney (con uno sguardo impudente) chiede a Mature: “Che mestiere fa?” e Mature (appoggiato al bancone di un bar): “Dottore in niente”. Non l’ho scordata mai questa frase. L’ho ritrovata poi nei panegirici di un filosofo tra i più grandi del Novecento, Guy Debord, e proprio questo raffinato demolitore dell’ordine costituito mi ha fatto ricordare che un buon numero di compagni di strada che ho ben conosciuto, ha soggiornato una o varie volte o per lungo tempo nelle prigioni di diversi Paesi… molti per ragioni politiche, la maggior parte per reati e crimini di diritto comune… ho quindi conosciuto soprattutto ribelli, poveri e poeti senza livrea, come Debord, annotava. Alcuni di loro hanno scelto di uccidersi o si sono sparpagliati ai quattro venti della Terra o fatto carriera in banca o in politica… e per un disagiato che lavora a un certo grado di qualità e non si cura né di governi né di Stati… e non ha disdegnato nemmeno d’accogliere l’impervia clandestinità di un certo banditismo… sa dunque ciò che significa distruggere valori e morali accolti dai contemporanei… nel rovesciamento, plagio o saccheggio di citazioni ha messo fine a glossari d’ignoranza e credenze oscurantiste… ha capito presto che non è facile distruggere un mito, un’ideologia, una divinazione, poiché annientare le loro radici nell’anima, richiede il talento e la dignità che gli dèi e i loro adoratori non conoscono.

Quindi proverò a dire ciò che ho amato o sognato o dirottato oltre la linea d’ombra dei memoriali, dei messali e dei manuali di scacchistica finanziaria… e chi può raccontare la verità in lingua-Argot — per aiutare a comprendere quanto basta —, se non chi l’ha vissuta?… tanto più che gli apache parigini e François Villon, specialmente, considerano a ragione che la lingua rovescia non vada mai usata nella lingua comune, poiché è la lingua del nemico e regna nella menzogna.
Solo se respingi ciò che hai appreso puoi avvicinarti a te stesso, fino a bruciarti o conoscere le ali degli angeli. “Tanto più grande è un uomo, tanto più si espone a essere ferito da tutti: la tranquillità è solo per i mediocri, la cui testa sparisce nella folla… Perché nel cervello d’un coglione il pensiero faccia un giro, bisogna che gli capitino un sacco di cose e di molto crudeli” (Louis-Ferdinand Céline, annotava). Nel mattatoio della civiltà dello spettacolo il consenso è concepito tanto male quanto il mondo che lo suscita… è ugualmente vano rifiutare o accettare l’ordine sociale, poiché la geopolitica del conformismo organizza sia il caos che le ricostruzioni… solo la rottura profonda dell’indecenza economico-politica può decretare la fine dell’ingiustizia, ma per adesso i possessori dell’immaginario collettivo possono dormire tranquilli… perché l’educazione alla paura ha prodotto l’acquiescenza necessaria a concepire che questo sia davvero il mondo migliore possibile. 

In cattivi tempi non ho abbandonato i giorni felici e mi sono trovato a maneggiare le armi della critica in clamorose disfatte che non sono state indegne di me… sapevo che non avrei fatto nulla di meglio che frequentare gli sfruttati, gli oppressi, gli sconnessi portatori di idee scandalose… e per un uomo che abbia il senso dei piaceri, della voluttà e della grazia… come della libertà, della giustizia e della fraternità, non è stato difficile capire che per raggiungere un grande e nobile scopo ogni utensile (anche il più estremo) è possibile… anche chiamarsi fuori da una simile nazione e da una simile epoca non mi è stato poi così faticoso, poiché il Bardo diceva: “Siamo fatti della stoffa di cui sono intessuti i sogni”.

Ecco Michele… provo a rispondere in maniera ciarliera, financo buffonesca, a quanto mi chiedi. Fuori dal cimitero delle definizioni, s’intende… con la lingua dei santi, credo… sempre sospesa tra la beffa e il cinismo, la profanazione e il pretesto con i quali anche il sogghigno di un idiota s’ammanta dell’aura rubata ai propri eccessi. Ne è uscito fuori, non so… un trattatello sulla filosofia della fotografia di strada o un diario di bordo di un ladro di sogni o una ballata dell’amore ludro sulla bellezza come espressione di giustizia. Spero di essere stato abbastanza inadeguato e con una qualche raffinatezza poetica, non abbia disvelato, più di tanto, l’incapacità tutta mia di credere nei sudari di tutti i poteri, ma restare attaccato all’infinitudine della malinconia di ragazzi con i piedi scalzi nel sole e la pioggia sulla faccia che continuano a giocare con l’allegrezza amorosa dei topi d’acqua.

R. Prologo dissennato sui nostri scontenti. Non amo molto le interviste, tantomeno apparire in televisione né cinguettare in internet… considero i giornalisti (dei quali faccio parte con palese disonore) le mosche cocchiere di ogni potere… i più speciosi e pericolosi lacchè del pensiero dominante… veri cani da riporto, così stupidi che nemmeno gli artisti o i politici riescono a eguagliare… forse solo i fotografi celebrati si dibattono in tanta stupidità… ma non hanno nessuna potestà da esercitare se non quella di allevare schiere d’imbecilli affogati nell’acquasantiera dell’industria culturale. Ancora oggi stimo di più un ubriaco sorridente che s’impicca di un fotografo di fama vivo.
Te Michele sei un poeta… e quindi esposto a tutti i venti delle passioni, degli amori, delle tempeste che riconoscono la dignità anche nell’ultimo degli illetterati… e per questo sei poeta… François Villon, Arthur Rimbaud, Dino Campana o Ezra Pound… del resto, non hanno mai sposato le furberie degli untori borghesi o collari universitari distaccati da tutto e chiusi a tutto… nei miei sospiri estremi, Luis Buñuel scrive (forse): “La scienza non mi interessa. Mi sembra presuntuosa, analitica e superficiale. Ignora il sogno, il rischio, il riso, i sentimenti, e la contraddizione, tutte cose che per me sono preziose”. Buñuel è uno dei miei cattivi maestri… è stato lui che mi ha insegnato a guardare verso l’uomo e a farmi intendere che sovente ciò che vediamo non è l’uomo ma il ruolo, la casta, il giogo cioè della vita caduta nell’avanspettacolo della propria inessenza.

Marx è il più grande responsabile dell’ottimismo al potere… un’affrescatore d’illusioni che ha fatto della secolarizzazione della frusta, il retroscena di un’ossessione… quella della rivoluzione proletaria che afferra il potere… senza sapere che il fanatismo (ideologico, dottrinario, culturale, mercatale) non ha salvato i popoli, li ha rovinati! Quando negli uomini vengono meno lo stupore e la meraviglia, si alzano muri, fili spinati e subito dopo i campi di sterminio. Naturalmente col plauso delle folle ai tiranni! Quando non si conosce la preziosità della solidarietà, della fratellanza, dell’accoglienza… si costruiscono martiri ed eroi e il cimitero della parola diviene la lingua ossequiata.
La civiltà dello spettacolo non ha equivalenti nella storia dell’umanità… e occorre essere degli idioti, obnubilati o semplicemente fessi, per non considerare che solo la disobbedienza civile (anche la più deviante) può aspirare a pensare l’uomo in termini di aurora di Pëtr A. Kropotkin o al mondo armonioso di Charles Fourier… quando l’amore dell’uomo per l’uomo — che è la prerogativa di spiriti libertari —, non è legato a nessun fatto importante della vita quotidiana, la notte delle illusioni continua. A guisa di un’umanità che si è emancipata a colpi di mitragliatrice, è difficile riuscire a pensare che possa fare una bella fine.

Tutto quello che so l’ho imparato dagli avvinazzati di taverna che leggevano Dante o dalle puttane dabbene della strada che in fatto di illuminazioni rivaleggiavano con gli epicurei… e poi c’erano i partigiani… gente sveglia di testa… si strinsero uno straccetto rosso al collo, Pasolini diceva, presero il fucile e andarono alla macchia per difendere la libertà… molti di questi ragazzi morirono al canto di Bella ciao ma i nazifascisti uccisero solo i loro corpi, non le loro idee di libertà ed eguaglianza tra le genti… i loro giovani corpi impiccati agli alberi delle campagne, ai pali della luce delle città o lasciati alla deriva dei fiumi… hanno restituito la dignità a un popolo complice e assoggettato alla sozzura del fascismo. Certo, furono traditi dalla sinistra ascesa al potere (e ignorati o derisi dall’intera panacea parlamentare), ma che importa… ciò che vale è che la loro disperata vitalità (Pasolini, ancora) abbia permesso a disadattati come me e te Michele, di sognare una possibilità diversa di vivere un’altra quotidiani-tà… scoprire una comunità che non conosce la ripartizione di uomini e donne in padroni e schiavi, governanti e sudditi. Quando si è banditi dalle codificazioni sommarie, si diventa immediatamente illegali e, al contempo, eresiarchi dell’ordine del mondo.

Intanto è bene respingere l’infelicità dappertutto… e poiché siamo entrati nelle guerre come i bambini andavano in collegio… cioè con quel senso d’indifferenza o di condiscendenza che sono proprie ai prosseneti della servitù volontaria o nelle vampate di dissidio di ribelli senza causa di Zero in condotta… sì, sì, proprio il film di Jean Vigo… qui i ragazzi alzano sul tetto del collegio la bandiera nera dei pirati e bombardano con i libri i fantocci-istituzioni di una farsa borghese… in If… Lindsay Anderson passerà a ben altre armi per combattere i prodi difensori della conservazione borghese… però era il ’68… quando le giovani generazioni sognavano la rivoluzione mentre la facevano e vedevano sotto il selciato la sabbia di un altro divenire.
È difficile non vedere nei grandi proclami politici-economici la farneticazione teatrale che sottendono… i commentari del capitalismo parassitario, Zygmunt Bauman, diceva… dettano comportamenti, schemi, linguaggi e sono squisitamente introiettati in precetti di pubblica utilità… gli iloti dell’entusiasmo a tutto, confondono la musica alla crema dei Beatles con l’estrema unzione della propria biografia… senza sapere mai che il canto ineguagliabile di un usignolo in un giardino pubblico gocciola di bellezza e verità sugli amori immortali.

Emily Dickinson ha scritto così (da qualche parte):

“Morii per la bellezza — ma non m’ero ancora abituata alla mia tomba quando un altro — morto per la verità — fu adagiato nel sepolcro vicino.
Piano mi domandò perché ero morta —
«Per la bellezza» — gli risposi — e lui: «E io per la verità — loro
sono una cosa sola e noi siamo fratelli», disse.
Così, come congiunti che s’incontrano di notte, conversammo
dall’una all’altra stanza
finché il muschio raggiunse le nostre labbra e coprì i nostri nomi».

La bellezza è perdersi nella verità dell’amore capace di superarsi e rimandare all’eterno. La via della bellezza è la via dell’inconosciuto che si nutre della fragilità di anime avverse, anche… inutile è l’amore quando la parola è priva di speranza… la bellezza è il tuo nome, la verità è crocevia dei cammini. La bellezza verrà e avrà i tuoi occhi di bambino che afferra la coda della luna… la storia della bellezza è la storia della verità che fa scandalo, diceva… la bellezza è l’oltrepassamento della verità che attende la colpa al varco. “Avvicinati. Prendi il tuo bene in cui ho sotterrato il mio” (Edmond Jabès), che un tratto di penna cancella o onora nell’attesa del fuoco nudo che lo bruci… i sogni sono pagine di sabbia che finiscono in cenere o in un’eternità senza difesa. “Non so chi tu sia — diceva un ubriaco di genio — ma so che mi somigli, perché fai della bellezza il primo mattino di un’infanzia interminabile… allora prendi la mia rosa bianca e posala sul cuore e innaffiala di verità… e solo un giardiniere di anime belle molto maldestro la potrà cogliere senza reciderla, poiché la bellezza è priva di eredi”. L’udibilità del silenzio è una scrittura d’interrogazione che ha scelto l’inquietudine come un rizomario che parte e ritorna alla bellezza e si disfa nell’amore per la verità.

Il diniego della miseria e delle disuguaglianze continua a raccontare il disfacimento culturale, politico, etico di un pianeta ferito che soffre l’incapacità di un’umanità annegata nella mediocrazia… i mediocri hanno preso il potere e innalzato i servi a tutori-esperti della loro esistenza, Alain Deneault, diceva… non ci sono sottomessi, solo elettori-specchio di un sistema che li educa all’obbedienza attraverso la mediacrazia… i mezzi di comunicazione di massa (cinema, fotografia, carta stampata, televisione, internet)… sono il bordello senza muri del consenso e la verità muore nei piani finanziari delle banche internazionali… i ricchi fanno le guerre con il ghigno delle iene, i popoli le subiscono in bella calligrafia… anche i terrorismi (sostenuti, prodotti, attivati dai servizi segreti delle nazioni forti) fanno parte di un immenso accumulo di spettacoli che riproducono le moderne condizioni di produzione, alienazione ed educazione all’ipocrisia.

Tutto ciò che è direttamente vissuto, incorporato, registrato finisce in una rappresentazione… la copia ha preso il posto del sacro e l’apparenza si è sostituita all’essere. “Lo spettacolo non consiste di un insieme di immagini, ma di un rapporto sociale fra persone, mediato dalle immagini” (Guy Debord). Tutto vero. Il passaggio dalla società dello spettacolo alla civiltà dello spettacolo è una prassi sociale globale, ha determinato una condizione socio-economica nella passività e costituisce l’attuale modello d’esistenza.
L’economia, la tecnica, la politica, la cultura, il lavoro, la famiglia, le dottrine, le forze armate… non rappresentano il romanzo di una vita, ma la commemorazione di una storia dileguata nelle liturgie di apparati, funzioni, cariche… una cordata mistica della religione del profitto, Walter Benjamin, diceva… dove la credulità è lo stile e la falsità l’ostia consumata come reliquia della merce! E, come sappiamo, ogni vero poeta della vita offesa prende le distanze dallo stile e la maniera d’essere ciò che qualcuno vuole che tu sia… il vero stile disapprova la maniera e lo stile imposto, e come Dostoevskij vede nel cittadino probo (figurati in un artista) il demone rispettoso della legge e delle convenzioni sociali… è bene dissotterrare secoli d’ingiurie e mistificazioni e fare tabula rasa d’ogni dogmatismo… se non vogliamo che la peste prenda il sopravvento sulla nausea.

Gli uomini del sottosuolo dicono che parabolare, cioè parlare come fanno i tre grandi impostori (Mosè, Gesù, Maometto), significa stabilire una corrispondenza tra il simulacro e la parola che infonde ai fedeli assoluta certezza del mistero della fede in qualcuno o qualcosa in prossimità della demenza collettiva… una delle parabole meno oscure di Gesù, ad esempio, è quella che è in Matteo 13,10-17… gli apostoli chiedono a Gesù perché parla alla massa per mezzo di parabole… Gesù risponde: “Perché mentre a voi è dato conoscere i misteri del Regno, a quelli non è stato dato. Infatti a chi ha verrà dato e sarà nell’abbondanza, ma chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole, perché vedenti non vedono e udenti non odono né comprendono”. Mi sono perso… volevo dire forse che ogni atto di resistenza è un atto di creazione… poiché la potenza della vita impoverita, imprigionata o vilipesa, delegittima qualsiasi sopruso e il pane, i fichi e le olive, annotava Marco Aurelio, sono al servizio della bellezza e scarnificano ogni sofferenza… sono i frutti più fecondi che l’umanità abbia mai avuto.

In principio era il segno, poi il suono e infine la parola… l’origine della bellezza, come della libertà o l’amore, viene dal profondo e diventa fuoco e fiamma di un risorgere nello stupore di una vita che supera se stessa, Gaston Bachelard, annotava… interrogare e interrogarsi sulle glossalie d’ingiustizie secolari che una minoranza di arricchiti ha esercitato ed esercita sui più deboli o i meno attrezzati…. e capire che la bellezza è inseparabile dalla giustizia… dove non c’è bellezza non ci può essere giustizia… ecco perché occorre disertare, sabotare, ribellarsi alle guerre, alle Borse, ai mercati… perdersi nel bello, nel giusto e nel bene comune è sempre un ritrovarsi là dove verità, giustizia e amore sono la luce di ogni cammino in utopia. (segue)

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