Il silenzio delle immagini è consolante. La relazione con le fotografie è intima. I pensieri fluttuano come le nuvole nel cielo di Arles senza che nessuno possa intervenire. Avviene anche il contrario di dirottare i propri sentimenti, impulsi, pulsioni, eccitazioni, perversioni, credenze, curiosità verso immagini che, nel silenzio, possano raffigurare ciò che sento. Magnifico, liberatorio! Poi avviene, come al cinema, che un progetto è imbastito in un modo che pizzica la pelle al punto da farmi rompere il silenzio senza possibilità di trattenere lacrime di commozione o di gioia.
Prima è successo con una mostra allestita nei “Cryptoportiques” cioè nel criptoportico dell’antica Roma una via di passaggio coperta, un seminterrato con delle volte per l’aerazione e delle aperture per l’illuminazione.
In questa penombra densa di umidità il mio sguardo si perde sotto le arcate in un rimbalzo di ritratti in b/n – incorniciati al vivo in piccoli formati – di persone chiaramente cieche, appese alle colonne in pietra e di fronte una composizione allestita per terra di un testo e di una o più immagini di formati più grandi. Una composizione teatrale come avrebbe potuto fare Beckett per accentuarne la drammaticità con una scenografia scarna, materica, semi buia.
All’ingresso della mostra un testo incorniciato recita: “Ho incontrato persone che sono nate cieche. Che non hanno mai visto. A loro ho domandato che cos’è per loro l’immagine della bellezza. Sophie Calle”. Il titolo “LES AVEUGLES – I CIECHI”.
Loro come noi, uomini, donne, ragazze, ragazzi, vedono senza vedere, sentono senza guardare, immaginano ad occhi chiusi. Il ritratto di un giovane con la frangia e i capelli lisci, con a fianco una immagine del mare e il testo che recita : “Il mare, io l’immagino bello, bello al di là della descrizione che mi hanno fatto. Tendenzialmente mi piace il blu per causa sua. Credo che se lo avessi visto sarei stato un marinaio. Francis Lalanne, io lo immagino grande, magro. Non può avere che dei lineamenti dolci. I suoi capelli sono lunghi. Li vedo sfocati, ondulati, in disordine. Deve avere dei grandi occhi. Molte ragazze mi hanno detto che era bello.”
Ecco come il linguaggio della fotografia fluisce in quello della poesia, non si avverte differenza. Una poetica che commuove, che mi commuove tantissimo! Mi immagino di non vedere. Non posso. Il mare io lo conosco. Anche Francis Lalanne conosco. Il mare è così come è stato descritto: bello. Anche Francis Lalanne è così con i suoi capelli lunghi, in disordine. In disordine! Chi potrebbe dirlo? Se non chi ha una sensibilità altra. Una sensibilità diversa dalla nostra, da noi vedenti.
Riemergo alla luce del sole, chiuso il sipario sotterraneo apro quello al Musée Arlaten con fotografie di Hans Silvester. E non si tratta di una mostra qualsiasi! Un’occasione unica! Sarebbe stato un vero peccato non aver fatto questa inaspettata, gioiosa sorprendente esperienza.
Perché sorprendente? Perché non te lo aspetti! Il gioco delle bocce è nell’immaginario, almeno il mio da viziata italiana, un pò fané, d’altri tempi, per anziani che non sanno cosa fare nella vita e passano il tempo così con delle bocce in mano, chiacchierando del più e del meno aspettando la sera per tornare a casa e cenare e poi andare a dormire. È un immaginario che trascina uomini soprattutto e qualche donna di una certa età che “almeno passano il tempo a giocare a bocce!” Una vita da paese senza brividi ed eccentricità.
Invece la mostra “LA PETANQUE E IL JEU PROVENÇAL NEL MIRINO DI HANS SILVESTER”
apre la mente, rompe lo stereotipo, frantuma le convenzioni e si apre ad un reportage inimmaginabile: corpi che si muovono con l’eleganza di un equilibrista, corpi asciutti di uomini di una certa età, salti e sguardi come in una danza, corpi delicati di ragazzi e donne, volti concentrati a scoprire il punto per la vittoria o la sconfitta della propria squadra.
E così la rivelazione: la “pétanque” è uno sport! e Hans Silvester un instancabile viaggiatore ed ex fotoreporter dell’agenzia Rapho. Le sue immagini dipingono un quadro dello stato del pianeta e dell’umanità, testimonianze sottili della delicatezza di un oggetto, della grazia di un gesto o della spaventosa bellezza di una catastrofe.
La mostra “VISER JUSTE: PETANQUE ET JEU PROVENÇAL“nell’obiettivo di Hans Silvester presenta un primo lavoro sul gioco delle bocce in Provenza negli anni Settanta. In questa indagine provenzale, possiamo già vedere il suo metodo, basato sul rapporto che crea pazientemente con il suo soggetto. È un vero fotoreporter come Ivo Saglietti con uno sguardo all’umanità più insolita e anche meno drammatica. In un video mi è sembrato di sentire Saglietti quando Hans Silvester dichiara che per avvicinarsi ad uno dei campioni di questo sport – un tipo riservato solitario – ha dovuto prendersi il tempo di seguire le partite, di avvicinarsi con discrezione, di invitarlo al bar, di iniziare a farlo parlare e finalmente di aver l’approvazione ad essere fotografato. Quattro mesi, ripeto quattro mesi di pazienza. Allora ho pensato “che gioia!” conquistare un essere umano e ottenere la sua fiducia per essere un vero professionista della fotografia! E poi le immagini di Silvester non ti stancheresti mai di guardarle. Un mondo in via di estinzione troppo maschile troppo …tutto il contrario di oggi. Eppure il ragazzo del manifesto, la concentrazione degli sportivi – rinunciano quasi a guardare le gambe di una giovane giocatrice per capire se il punto li fa vincere oppure no – l’atmosfera tesa alla vittoria, bocce di un argento che vorresti quasi come design su un tavolino in casa, le descrizioni accurate sulla ‘pétanque’, l’invito a capire il contenuto del racconto fotografico con segnalazioni, video, oggetti. Insomma da far conoscere ai nostri ragazzi! Ciò che mi auguro per i nostri giovani: un futuro fatto di parole, sguardi, concentrazione, sport, vita all’aria aperta, sorrisi, insieme a gente diversa per età, genere, colore, provenienza, con o senza pétanque!
Con o senza analogico, con o senza bianco e nero, con o senza reportage, è anche ciò che mi auguro per il futuro della fotografia: coinvolgente, appassionante, toccante, dolce, violenta, comprensibile, curiosa, sorprendente!
Al prossimo Arles!
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Dal 2015 mi dedico attivamente al progetto ArtPhotò con cui propongo, organizzo e curo eventi legati al mondo della fotografia intesa come linguaggio di comunicazione, espressione d’arte e occasione di dialogo e incontro. La passione verso la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale fra cui Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Ellen von Hunwerth, Marino Parisotto, Elliott Erwitt e i più famosi fotografi dell’agenzia Magnum.
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