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Prima di Cartier-Bresson, il “cameraman invisibile”: Erich Solomon [Alessandro Tarantino]

di Alessandro Tarantino

La fotografia intesa come analisi della realtà, documentazione sociologica, sguardo sul mondo ha in Erich Solomon uno dei suoi padri fondatori. Un esempio prebellico a cui anche Henry Cartier-Bresson guardò per strutturare la sua arte fotografica.

Nato nella Germania di fine ‘800, Solomon è considerato a tutti gli effetti il primo “paparazzo” antelitteram, un “bildjournalist” (fotogiornalista) che seppe cogliere nel concetto di spontaneità e di “sorpresa” un’essenza fotografica fino ad allora inesplorata.

Scatti rubati, momenti colti d’improvviso cogliendo impreparati i suoi soggetti: dai politici alle celebrità, Solomon aveva capito come la rappresentazione della realtà mediata dalla macchina fotografica necessitasse di eliminare il filtro della posa impostata, della pulizia dello scatto e dell’inquadratura. Il suo stile aggiunse pathos e movimento all’arte fotografica, segnando l’evoluzione del fotogiornalismo e del reportage.

Mise sul piatto la sua capacità di intrufolarsi nei contesti più esclusivi, la sua capacità di prevedere il momento dello scatto e li unì alla capacità tecnica e ad un’attrezzatura leggera e agile. Questo mix gli permise di portare a casa scatti memorabili e di costruire una nuova narrativa della cronaca, del gossip, della politica. Il “cameraman invisibile”, era soprannominato.

Un cambiamento pressoché epocale, dunque, fu quello che Solomon introdusse, segnando la strada per tanti altri che dopo di lui cercarono di riprodurne i risultati ma senza la medesima eleganza, senza la stessa “visione”.

Eppure arrivò alla fotografia relativamente tardi, attorno ai quarant’anni, a causa della Prima Guerra mondiale che lo vide fatto prigioniero durante la battaglia di Marna. Dopo quattro anni passati a fare da interprete per i prigionieri, tornato a casa dovette affrontare le difficoltà economiche della sua famiglia che lo costrinsero a provare dapprima un’avventura in borsa e poi come socio di una compagnia produttrice di pianoforti.

A scatenare in lui la passione per la fotografia fu un evento climatico straordinario, un ciclone che colpì Berlino, in seguito al quale iniziò a fotografare per poi rivendere gli scatti ad un giornale che cercava un reportage dell’accaduto.  Da lì arrivò la possibilità di realizzare un reportage su una protesta contadina e quindi iniziò la sua carriera.

Diventò particolarmente famoso, poi, per aver realizzato, occultando la macchina fotografia sotto la sua bombetta, le fotografie durante un processo ad un serial killer. Fu l’unico che riuscì, eludendo il divieto di fotografare imposto dal giudice, a realizzare un report dell’evento.

Pian piano passò ad interessarsi del jet set non solo tedesco tanto che raggiunse l’apice della sua carriera all’inizio degli anni ’30 quando pubblicò anche un libro fotografico dal titolo Famous Contemporaries in Unguarded Moments.

L’ascesa del nazismo in Germania lo costrinse, essendo di origine ebraica, all’esilio forzato in Olanda. Proprio lì, nel 1943, fu costretto, assieme alla sua famiglia, a nascondersi dalla caccia forsennata dell’esercito di Hitler agli ebrei. Lui, sua moglie e suo figlio furono scovati e fatti prigionieri nel 1944: finirono ad Auschwitz e lì morirono poche settimane prima che gli Alleati sbarcassero in Normandia e decretassero la fine del conflitto mondiale.

A lui e al suo modo di fotografare si deve l’introduzione nel lessico moderno della locuzione “candid camera” con cui viene definita una fotografia che riprende lo stupore del soggetto ritratto d’improvviso.

A Solomon è dedicata una mostra digitale permanente su Google Arts & Culture che potete visitare gratuitamente cliccando qui.

Un’altra galleria di immagini scattate da Solomon è visitabile cliccando qui.

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