– Come sei arrivata a decidere che il tuo mezzo espressivo doveva essere la macchina fotografica?
Mi sono sempre interessata all’arte e all’immagine, sin dai tempi della scuola. Ho iniziato a studiare per fare l’architetto, andavo molto bene nelle materie compositive, un po’ meno in quelle matematiche.
Mio padre, in un periodo della sua vita, ha fatto il regista e una macchina fotografica c’era sempre in casa. Due dei miei fratelli sono architetti, perciò credo di aver assorbito, anche se inconsapevolmente, un pò di atmosfera creativa in famiglia, e quando ero al Liceo sfogliavo tutte le riviste di architettura che arrivavano in casa e nel weekend andavo alla Galleria Nazionale di Arte Moderna a sentire conferenze sugli artisti che mi interessavano. Credo sia importante una cultura sulla Storia dell’Arte, per tutti e soprattutto per chi vuole fare un lavoro creativo. Ma, a parte le basi culturali, sono sempre stata sempre molto osservatrice, curiosa, e quando ho scoperto con quanta rapidità potevo raccogliere le mie osservazioni con il mezzo fotografico me ne sono innamorata. Ho vissuto un meraviglioso periodo bohémien a
Parigi, negli anni caldi del post sessantotto, prima ancora di decidere di fare la fotografa, e poi, con il mio futuro marito francese siamo tornati in Italia e lui ha iniziato a fare il fotografo e io a studiare architettura mentre lavoravo.
Una sera, per caso, con una piccola Minox, ho fatto delle foto a un concerto del Banco del Mutuo Soccorso, un concerto molto scenografico con acrobati sui trampoli che giravano tra il pubblico. Quella sera stessa ho deciso che avrei fatto la fotografa rock, seguendo le orme di mio marito.
Ho iniziato quasi subito a lavorare per la rivista Ciao2001, le foto mi venivano bene, avevo occhio e rapidità di scatto. Era una sfida entusiasmante e la mia carriera è stata rapidissima nei primi anni, e ho lavorato per i principali giornali dell’editoria italiana, poi per le aziende. Oggi sarebbe diverso, l’editoria è parecchio in crisi e il mondo della comunicazione profondamente cambiato con l’avvento dei cellullari.
– Ti manca qualcosa di quel mondo bohèmien parigino?
Beh, mi manca l’energia dei 20 anni, i sogni della mia generazione che è stata molto speciale e fortunata per aver vissuto anni intensi di impegno politico e di creatività. E poi, Parigi per una ragazza degli anni 70 che lasciava la famiglia per vivere da sola, era il massimo del romanticismo e dell’avventura. In quegli anni non c’era l’Erasmus e i ragazzi italiani si spostavano poco all’estero.
– Come mai non è più possibile lavorare per i magazine raccontando la musica?
I giornali hanno vissuto una profonda crisi, il mondo editoriale è molto cambiato assieme a quello delle case discografiche ed anche a quello della fotografia.
Mi fa piacere ricordare che negli anni 80 ero l’unica donna a stare sotto al palco, nella mischia dei concerti rock. In quegli anni si viveva di riflesso dei mitici anni 70 e al tempo stesso con i musicisti e le rockstar del momento. Ci portavamo ancora addosso l’illusione dell’impegno sociale e politico attraverso la musica. Chi ha vissuto quel periodo lavorando in quel mondo musicale si trova piuttosto disorientato nell’attuale showbusiness, che sembra seguire, appunto, regole puramente di business.
– Qual è il processo che porta dalla semplice creatività alla produzione di arte?
Domanda complessa, perché i meccanismi del mercato dell’arte non coincidono sempre con i processi creativi di un artista o di un fotografo. Oggi, più di prima, si aprono però spiragli per la Fotografia nel mondo del Fine Art.
– Sei una delle poche fotografe, sopratutto in quell’epoca, ad affrontare il nudo maschile, cosa ricordi e cosa vuoi raccontare di quel tuo momento?
Anche qui, è nato tutto quasi per caso, senza malizia e senza voglia di essere trasgressivi. Noi eravamo liberi e incoscienti. La nostra mente aperta era un’innocente eredità del mondo hippy. Conobbi dei ballerini della compagnia di Lindsay Kemp, alcuni di colore, bellissimi, come non fotografarli? Ma poi, negli anni 90, è iniziata una mercificazione del nudo, su tv private e varie, che mi ha parecchio infastidita. Dopo avere prodotto i calendari per l’azienda Teuco-Guzzini, con modelli e modelle e giochi d’acqua, ho smesso di dedicarmi al nudo e ho scritto un articolo in proposito che ha fatto il giro del web, criticando l’uso commerciale dell’immagine di nudo. Siamo ancora molto lontani dalla vera libertà sessuale, lo dimostrano i fatti di cronaca…
– Nei servizi moda che tu hai realizzato quanto eri libera e quanto dovevi attenerti a richieste precise di stylist, direttori o direttrici di magazine?
Gli stilisti per cui ho lavorato mi hanno sempre dato molto spazio. Ho sempre scelto di fare lavori creativi e non cataloghi commerciali e questo ha fatto la differenza nella mia produzione di immagini moda.
– Nel tuo portfolio c’è un periodo che tu chiami “acquatico”, ce ne parli?
Una delle ricerche più lunghe di tutto il mio lavoro fotografico è senz’altro quella del “mondo liquido”. Ho prodotto molti calendari d’autore per importanti aziende, con modelle e modelli in immersione, e poi molti still life underwater, insomma molte foto con gli effetti grafici dell’acqua, e possibilmente con l’intenzione di fare accenno alle problematiche ambientali.
Alcune di queste immagini hanno ricevuto premi e sono state esposte in numerose mostre europee.
– Ad un certo punto hai realizzato food con il banco ottico, raccontami questa “deviazione”.
L’editore di uno dei più famosi libri di cucina, “Il Talismano della Felicità”, mi chiese di illustrare una delle edizioni di fine anni 90, e, in quei tempi, per lavori del genere si utilizzava il banco ottico. Facevo un paio di foto al giorno, perché il food con il banco ottico è abbastanza laborioso e complesso e poi la post produzione con Photoshop era agli inizi. Noi cercavamo di fare foto esatte al momento dello scatto, e senza un granello di polvere.
– Raccontami la tua esperienza di fotografa per Getty Images.
– Perché reputi Munari uno dei tuoi maestri?
Munari è stato una grande artista divulgatore e ha ben spiegato il “metodo progettuale” da applicare in un processo creativo. Mi piace che ci sia un aspetto razionale e metodico che possa imbrigliare intuito e fantasia e aiutare a produrre progetti ben costruiti e coerenti, insomma, aiutare a dare un senso alle storie che si vogliono raccontare, qualsiasi sia il mezzo espressivo.
– Raccontaci il tuo libro “MINIMAL Foto in un metro quadro”.
La raccolta di foto “Minimal” nasce in un periodo in cui ho avuto problemi fisici che mi impedivano la mobilità, e per un fotografo è abbastanza problematico non poter camminare…inoltre ho sentito l’esigenza di tirarmi fuori dalla valanga di immagini che ci seppeliva, avevo l’esigenza di ritrovare l’essenziale. E’ stato un buon esercizio riuscire a creare still life sempre diversi, in un metro quadro, sotto la luce della mia finestra.
– In pochi anni siamo passati dalla pellicola al digitale e ora alla AI, come ti poni verso queste evoluzioni?
Trovo che nella grande crisi del mondo della fotografia professionale, le Ai possano rappresentare la novità vera. Anzi una vera rivoluzione. Una sfida che ancora pochi sanno cogliere. Ho iniziato con curiosità e poi entusiasmo a studiare questa nuova tecnologia delI’Intelligenza Generativa. Non bisogna mai smettere di studiare, mai fermarsi, ma essere curiosi. Io sono eclettica, quindi disposta a cambiare, a sperimentare sempre nuove strade. Si aprono prospettive inimmaginabili, e la rapidità con cui si evolve questa tecnologia è davvero sconcertante. Non deve far paura, ma stimolare per fare passi avanti.
– Perché la frase con cui ti presenti su FB è “I’m nobody! Who are you? Are you – Nobody – too? (E. Dickinson)
Mi sembra sintetica ed efficace per descrivere come sono o come ritengo di essere. Credo sia importante conservare una buona dose di umiltà in un mondo dove tutti si sentono protagonisti, fotografi o artisti. Io guardo sempre ai più grandi e “I’m nobody” a confronto loro.
– A cosa si dedica oggi Patrizia Savarese?
Natura e Ambiente sono oggi i temi che mi interessano di più e li sto trattando anche con l’aiuto delle nuove app dell’intelligenza artificiale.
website: https://www.patriziasavarese.com/
FB: https://www.facebook.com/patrizia.savarese.7
IG: https://www.instagram.com/patriziasavarese?igsh=MXN5cGVyYWpjem9uYg%3D%3D
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I ritratti di Teatri di Patrizia Mussa
Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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