«Bagatelle per un massacro: Qualsiasi buco del culo pu diventare, ben inculato di pubblicità, un immenso checchessia, l’oggetto di un culto, una grandissima diva, un terribilissimo criminale, una catastrofe leviatanica, un film dantesco, una crema da barba cosmica, un transatlantico che fa traboccare il mare, un aperitivo che fa girare la terra, il più grande Lepidauro di ogni Epoca, il Presidente del Consiglio che si pappa la molluscheria viva. Più è idiota e vuoto, più rende. Il gusto comune è a questo prezzo. Il “buon senso” delle folle vuol dire: sempre più coglioni. Lo spirito bancario va a finire nella pulce ammaestrata, compimento dell’arte realista, surrealista. Tutti i partiti politici lo sanno bene. Sono tutti pulci ammaestrate».
Louis Ferdinand Céline
Il cinema italiano, nel suo insieme, esprime una dialettica della lacerazione… non ha capito per nulla che il Bello è ciò che piace senza che vi si mischi l’interesse, Kant diceva… è una parola… qualsiasi forma d’arte autentica è pericolosa non soltanto per chi la fa, ma anche per la società… ecco perché gli artisti (non solo) del cinema sono prodi di confessioni in pubblico e i loro film subordinati al consenso degli incassi… non c’è cazzo che tenga… il linguaggio degli affari prima di tutto, poi l’arte… la dittatura del profitto permea produzioni, autori, critici, spettatori… di capolavori si può anche morire, specie nell’eloquenza della loro insignificanza… nel letamaio della gloria ci sguazzano tutti… e tutti, o quasi, hanno smarrito il senso artistico della giustizia sociale.
Paolo Sorrentino ci è simpatico, specie col sigaro in bocca, alla maniera di uno scugnizzo napoletano cresciuto in fretta tra i bassifondi e il ventre di Napoli che ha segnato generazioni d’insorgenze libertarie e ossequi camorristici… tuttavia non siamo per nulla attratti dalla sua filmografia, eccetto, forse, L’amico di famiglia (2005)… anzi… la troviamo corposa di velleità artistiche mal riposte e nemmeno visionarie, come in molti hanno detto… i suoi film più celebrati e premiati anche con l’Oscar, ci appaiono come delle baracconate colorate… qualcosa che sta tra uno spettacolo circense e l’estetica dell’ornamento cari alla “bella apparenza” d’ogni potere… Sorrentino, come uno stilita seduto su una colonna nel deserto del cinema, cerca di sbigottire il pubblico con eccessi figurativi (?!), senza aver compreso mai che un artista geniale è un anarchico raffinato o un cane rognoso che non conosce limiti né misure da rispettare, passa la sua intera esistenza soltanto per ballare sulla testa dei re… e ogni tanto accade nella storia che re, padroni, preti, generali, banchieri e tutta la casta di saprofiti che determinano l’omologazione degli uomini nella società mediocratica, vengono impiccati per i piedi ai cancelli pubblici dove i cani vanno a pisciare.
Di Parthenope. L’immagine più bella di Parthenope è la parola intervallo… non scherziamo mica… capiamo bene perché la servizievole critica nazionale e internazionale abbia speso parole elogiative per questo film… a noi sembra un lungo spot pubblicitario nemmeno di Napoli, quanto dell’alta borghesia campana che insieme alla camorra regna sulla città da sempre… i cortigiani conoscono l’arte di strisciare e per mantenere un posto nel gazebo di piccoli privilegi da tappeto rosso leccano il culo ai loro padroni.
Sorrentino sembra dimenticare la cultura millenaria di una città e di un popolo che hanno inventato momenti di profonda bellezza insurrezionale… Napoli è stata ed è il centro della cultura popolare e intellettuale, non solo italiana… espresse in canzoni immortali, film del realismo nudo, fotografia della differenza e disseminato in opere teatrali, saggi antropologici, visioni futuriste, ro manzi imperituri… un’irripetibile atto della creazione etica-estetica.
Parthenope è una potente coproduzione internazionale: Fremantle, The Apartment, Pathé, Numero 10, PiperFilm, Saint Laurent, Logical Content Ventures, Canal+, Cine+. La distribuzione Internazionale è Pathé, la distribuzione Nord America è A24 e la distribuzione italiana è PiperFilm… tutta gente che bada al sodo in fatto di utilitarismo… il successo al botteghino è il film, l’arte del cinema non c’entra. Quando Nicholas Ray, regista del colossal della Metro-Goldwyn-Mayer, Il re dei re (1961), disse a Luis Buñuel che aveva a disposizione 150 milioni di dollari per fare il film e chiese a Buñuel quanti film ci avrebbe fatto con tutti quei soldi, il maestro spagnolo rispose: “Se avessi tutto quel denaro, butterei Franco fuori dalla Spagna”. Un’altra tempra d’artista!… un’altra visione del mondo!… un’altra morale da dannati della Terra!… Buñuel fece invece Viridiana (1961), il film più blasfemo della storia del cinema… Palma d’Oro al 14° Festival di Cannes… costa 6 milioni di pesetas e 23 giorni di lavorazione… nella “fabbrica dei sogni” (Hollywood) si spendeva la stessa cifra per un pranzo di lavoro tra regista, produttore, una baldracca e la colazione del cane Lassie.
Il film di Sorrentino si apre nel 1950… con la nascita della secondogenita della ricca famiglia Di Sangro nel mare di Posillipo… le viene dato il nome Parthenope in onore della città di Napoli… il padrino è il comandante Achille Lauro… quello che dava una scarpa a chi lo votava alle elezioni di sindaco e di deputato del MSI con altre coalizioni destrorse… e dopo aver vinto donava l’altra scarpa, dice Sorrentino. Si passa al 1970. Parthenope è una ventenne sfacciata… fa innamorare Sandrino, il figlio della governante e anche Raimondo, il fratello, con il quale ha un rapporto quasi incestuoso. All’università è brava… ammira il professore di antropologia Devoto Marotta (che ha un figlio fortemente disagiato ma che nessuno sa di cosa si tratti)… tra la spumeggiante ragazza e il professore si instaura un rapporto di distaccato rispetto. Durante l’estate Parthenope, Raimondo e Sandrino vanno in vacanza a Capri… Parthenope non conosce inibizioni… un industriale del nord cerca di sedurla con l’elicottero, ville, champagne e promesse di ricchezza… lei rifiuta. Si propone al suo scrittore preferito, John Cheever, le viene risposto che ama gli uomini. Raimondo va con un’ereditiera, quando cerca di baciarla, s’accorge che non può amare nessuna donna se non la sorella. Si suicida buttandosi da una scogliera di Capri. I genitori di Parthenope la ritengono colpevole della morte del fratello e l’allontanano dalla loro vita. L’ondata di rivolta generazionale del ’68 aveva sconquassato l’intero mondo… Sorrentino non ne tiene di conto… tace sul fervore culturale-politico che ha scosso Napoli e l’Italia intera almeno fino al 1977. Si trattava di dare l’assalto al potere, non per possederlo, ma per meglio distruggerlo.
Nel 1974 Parthenope chiede al professor Marotta di sostenere una tesi di laurea sul tema del suicidio… il professore le propone un altro argomento, l’impatto culturale del miracolo… lei interrompe gli studi e prova a diventare attrice… cerca di prendere lezioni da una diva sfiorita, Flora Malva, rimasta sfigurata da un intervento di chirurgia plastica che la bacia tra i fumi del bagno… poi la manda da Greta Cool, un’attrice di origini campane in declino (vive nel Nord Italia)… su una nave, nel corso dell’evento di capodanno in suo onore, la Cool sproloquia contro Napoli e i napoletani… suggerisce a Parthenope di non lasciarsi incantare dalla finzionalità del cinema. Sulla stessa nave Parthenope conosce Roberto Criscuolo, un boss della camorra che la porta a visitare i sobborghi napoletani… la ragazza scopre che nella città c’è miseria, povertà, prostituzione (?!)… assiste al rituale denominato grande fusione… un ragazzo e una ragazza, eredi di due famiglie camorriste in contrasto, fanno l’amore su un letto davanti ai membri delle famiglie per concepire un figlio che sancirà la fine della loro faida. Parthenope resta incinta di Criscuolo e sceglie di abortire. Sandrino, prima di trasferirsi a Milano, le conferma il suo amore… lei gli addossa la colpa della morte del fratello… non si vedranno più… intanto l’Italia precipita negli anni di piombo (una sequenza alla crema, si vede che Sorrentino in quegli anni andava per funghi, forse)… Parthenope si laurea col massimo dei voti e Marotta la prende come assistente.
Si sbalza al 1982. Parthenope è una solerte ricercatrice… una rivista di antropologia le chiede di scrivere un articolo sulla liquefazione del sangue di San Gennaro e vuole conoscere il cardinale Tesorone (custode delle ampolle del Santo). Marotta le dice che l’ecclesiastico è un malavitoso. Il prelato promette a Parthenope di mostrarle il tesoro di San Gennaro, dopo la messa, dove il sangue del Santo si liquefarà. Il miracolo non avviene perché una donna in menopausa grida di essere tornata ad avere le mestruazioni… il cardinale veste Parthenope con i gioielli del tesoro del Santo e le dice che la spiritualità napoletana è un’inutile macchinazione che intreccia superstizione popolare e convenienze politiche… Parthenope si stende su un letto e durante l’atto d’amore (il cardinale non smette mai di fumare), il sangue di San Gennaro si liquefa (anche il Santo partecipa alla copulazione del cardinale con la sfrontata ricercatrice, ci mancava di vedere Gesù che si sbatteva la Madonna, mentre gli angeli cantavano in coro l’Ave Maria, e il miracolo del sangue era completo). Marotta va in pensione e propone a Parthenope di sostenere il concorso a Trento… dopo averlo vinto, fare alcuni anni di docenza e tornare a Napoli…la invita nella sua casa… le presenta il figlio, una specie di enorme bambino che riempie una stanza, fatto “di acqua e sale, come il mare” (?!). Parthenope ne resta affascinata. Siamo nel 2023. La professoressa Parthenope, rimasta a insegnare a Trento, va in pensione. Torna a Napoli… va a Capri… riflette sulla morte del fratello e si sente finalmente parte della città… sulla strada i tifosi festeggiano la vittoria del terzo scudetto del Napoli e lei si apre a un sorriso di liberazione.
Parthenope è scritto e diretto da Sorrentino… le inquadrature ampollose, i dialoghi risibili, le scene roboanti rimandano a una prosopopea figurativa a tratti imbarazzante… tanto nelle scene amorose, quanto nel racconto illustrativo della città… Sorrentino c’infila tutto… aborto, omosessualità, lesbismo, incesto, camorra, il comandante Lauro… cartoline illustrate appoggiate su quell’esile ragazzetta (Parthenope) che attraversa il film tra veli, sguardi, nudità che non bucano lo schermo. La fotografia di Daria D’Antonio si spande in un grigiore uniforme e non contempla né le ombre né le luci mediterranee di Napoli… il montaggio di Cristiano Travaglioli è una congiunzione di sequenze estenuanti e con le musiche di Lele Marchitelli, affondano in un minestrone figurativo senza scampo… per 136 minuti… fino allo sfinimento dello spettatore più fedele alla fattualità filmica sorrentiniana.
L’attorialità di Celeste Della Porta (Parthenope giovane) è sconcertante… si muove nel film senza avere addosso una benché minima sensualità… non è né scabrosa, né peccaminosa, né sfacciatamente puttana (come il tema richiedeva)… non sa portare le parole, né camminare senza ricordare le sfilate di modelle anoressiche… scodinzola come può qua e là… e nei primi piani rimanda alla pubblicità dei farmaci per curare la depressione… non starebbe male a fare la bagnina in qualche telefilm turco. Luisa Ranieri (Greta Cool) fa l’attrice sfatta in maniera aneddotica e quando s’inalbera contro Napoli e i napoletani, le invettive suscitano lo sberleffo. Gary Oldman è l’omosessuale ubriaco… non esce dalla maniera… sembra non credere in ci che interpreta. Isabella Ferrari coperta da una maschera nera, passa inosservata dalla stanza dei ricordi a quella da bagno. Peppe Lanzetta impersona il cardinale con la protervia e la degenerazione del sacro in siparietti ostentati, fino a scadere nella parodia. Alfonso Santagata (Achille Lauro) è poco più di una macchietta… eccetto Silvio Orlando (professor Marotta) e in parte Stefania Sandrelli (Parthenope anziana), tutti gli altri sono volti-corpi marginali che hanno poco a che fare con i ruoli loro assegnati… sembrano usciti da un emporio di abiti firmati e lì muoiono felici. Il bambino-mostro buono, poi (ripreso dal dipinto di René Magritte, “L’arte di vivere”, 1967)… ha dello stupefacente… qui la bonomia del bambino-mostro è quasi un’evocazione martirologica di una vita innocente e sacra. Non abbiamo capito se dietro quelle sigarette in bocca a tutti c’è qualche sponsor occulto e nemmeno compreso se la stupidità generale sia un pregio… quello che ci è apparso chiaro è che Parthenope è una carnevalata filmica che non ha niente a che vedere con la resurrezione di un pensiero, d’uno stile, d’una forma d’arte… ma un’elevazione dell’imbroglio, delle convenzioni, delle menzogne, delle truffe che tengono in piedi la società dello spettacolo. Sia lode ora, a uomini di fama.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 8 volte novembre, 2024
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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