“Fotografo autodidatta, Paolo Monti è diventato il grande documentatore dell’Italia del dopoguerra, dal declino elegiaco di Venezia alla geometria astratta di Milano” scrive Joe Lloyd.
È una casa che lascerebbe perplesso persino Monsieur Hulot: costruita su una serie di livelli irregolari, con archi dentro archi e una scala esterna che sale da un pianerottolo invisibile. Fotografata in bianco e nero, ha una consistenza simile a quella dell’argilla. Un uomo guarda fuori da una finestra e dei bambini giocano in primo piano, ma è l’edificio che attira l’attenzione, al tempo stesso troppo strano per questo mondo e con i segni di un uso intenso. Siamo a Procida, un’isola del Golfo di Napoli, e questo è una fotografia di Paolo Monti (1902-1982), fino dei più celebri fotografi italiani di edifici e città del dopoguerra.
La prima vita di Monti è stata quella convenzionale della classe professionale italiana del Nord del primo Novecento. Trascorre l’infanzia girando per le città piemontesi seguendo il lavoro bancario del padre; quest’ultimo era a sua volta un appassionato fotografo dilettante e così Paolo Monti cresce circondato da macchine fotografiche e dai loro accessori. Dopo essersi laureato in economia politica all’Università Bocconi di Milano nel 1930, si è adattato a uno stile di vita borghese altrettanto itinerante, spostandosi a ogni lavoro. Poi, nel 1945, dopo aver ottenuto un impiego presso la Cooperativa Agricola Veneta, va a vivere a Venezia.
La serenissima Repubblica risvegliò la sensibilità di Monti per l’architettura e la città. Ispirato dall’amico Ferruccio Leiss, che aveva realizzato una serie di vedute della città di notte, cercò una Venezia lontana dalle basiliche e dai palazzi monumentali, una Venezia fatta di muri fatiscenti, di portoni torbidi, di nebbia e di cortili stracciati.
Monti era il tipo di dilettante che mette in ansia i professionisti. Ritagliava le fotografie dalla rivista Das Leben e rilegava le sue preferite in libri fotografici senza parole. Ha scritto numerosi articoli per riviste fotografiche. Ispirato da artisti del calibro di Otto Steinert e Minor White, si dilettava con l’astrazione; le sue serie di Torn Poster, che mostrano strappi e fessure in fogli pubblicitari a grandezza naturale, sono indelebili nella memoria e reiterati da altri fotografi fino ancora ai giorni nostri.
Alla fine del 1947, in risposta alla fondazione del gruppo La Bussola di Giuseppe Cavalli, fonda il proprio circolo, La Gondola. Monti e i suoi compagni aspiravano a essere indipendenti dalle tendenze dominanti della fotografia italiana del dopoguerra: il formalismo rigorosamente ordinato ed esteticamente guidato incarnato da Cavalli e la grintosa verosimiglianza del neorealismo. La Gondola ha invece esaltato la libertà, e in effetti l’opera di Monti è così varia da essere difficile da circoscrivere.
Bisogna aspettare il 1953 perché Monti diventi un professionista. Si trasferisce a Milano e si afferma rapidamente illustrando articoli per Domus, Casabella, Style & Industry e molti altri. È stato fotografo ufficiale della X Triennale di Milano.
Nel capoluogo lombardo, devastato dalle bombe ma in piena rinascita, Monti trova una città moderna, strana e labirintica come la Venezia medievale. Ha documentato i quartieri postbellici di San Siro e del QT8, quest’ultimo comprendente le prime case prefabbricate in Italia, e il crescente gruppo di grattacieli che si insinua tra corsi e piazze storiche.
In una fotografia, l’autore immortala il Palazzo Multifunzionale di Luigi Moretti, un edificio misto per uffici e abitazioni, dal nome batetico, come un’estrusione a prua che naviga verso la banchina; strizzando gli occhi, potrebbe anche essere una costruzione suprematista in bianco e nero, assemblata da forme geometriche. Monti ha fotografato il Grattacielo Pirelli di Gio Ponti da quasi tutte le angolazioni possibili, anche da un treno in corsa. Da vicino, diventa un coltello monolitico che si erge nel cielo.
Dopo essere stato invitato, nel 1966, a documentare il centro storico di Bologna, divenne il fotografo-conservatore di riferimento in Italia, studiando città su città. Non a caso, questo lo portò a seguire Carlo Scarpa mentre lavorava ad alcuni dei suoi progetti più significativi, tra cui il Museo di Castelvecchio di Verona. Ma il suo lavoro non divenne mai noioso e continuò a cimentarsi con forme non convenzionali come la serie dei Chimigramma.
Di grande rilievo sono anche i ritratti realizzati da Paolo Monti, come quelli più famosi dedicati a Meme, la nipote prediletta, seguita nella sua evoluzione adolescenziale sino alle soglie della maturità; inizialmente monti trascura completamente gli aspetti narrativi a favore di un raffinato gioco compositivo utilizzando altri elementi spesso ricorrenti nelle sue fotografie, foglie, travi, legni, giungendo infine a definire la modella quale espressione emblematica di una vita contemporanea piena di incertezze e di dubbi, molto distante dalla concezione amatoriale, ma al tempo stesso circondandola di un’aura di mistero e di irraggiungibile bellezza.
All photos: ©PAOLO MONTI –
LA GONDOLA Circolo Fotografico VENEZIA – All Rights Reserved
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