Originario del Regno Unito, lo scrittore e fotografo Stanley Wolukau-Wanambwa vive in America dal 2012. Il suo libro fotografico pubblicato da Roma Publications, One Wall a Web, che comprende due serie fotografiche (Our Present Invention, 2012—2014, e All My Gone Life, 2014—2017) è un misto di poesia, scrittura critica e fotografia. Indaga come identità, genere e violenza si intrecciano nel tessuto della società. One Wall a Web si interroga su come la fotografia documentaria partecipi a questo complesso gioco di forze e suggerisce, allo stesso tempo, modi in cui potremmo trovare percorsi alternativi attraverso di essa. Le sequenze fotografiche lavorano in maniera ironica, paradossale, disarmante per mettere in discussione il nostro presente, lasciando che tutto ciò che l’immagine dice in eccesso o che raccoglie nella sua enigmaticità scuota le nostre abitudini di vedere e di immaginare. Il lavoro scaturisce da un misto di rabbia, incomprensione, immaginazione, paura profondamente radicata e anche da una fragile speranza. L’autore osserva i modi in cui siamo separati gli uni dagli altri, le varie forme di violenza e paura che questa separazione produce. Un tentativo di guardare alla spietatezza di questa violenza, alla sua storia e i suoi legami complessi con l’immagine fotografica.
Our Present Invention
Il passato diventa tratto costitutivo del tempo presente, in particolar modo indagando la relazione di queste ultime con razzismo, genere, potere, violenza, divisione strutturale, razzismo strutturale.
La fotografia di paesaggio diventa un mezzo per tentare di capire la violenza insita nella storia americana, nella sua economia, nella società divisa. La semplicità e anonimità di certi luoghi è sempre in tensione con la possibilità che possano essere, o potrebbero essere state, un tempo, luogo atti di violenza.
Il paesaggio americano è strutturato in maniera molto rigida, tende a relegare con forza gli spazi non incorporati ai margini, creando una sorta di incessante omogeneità che soffoca rapidamente. Fa dell’angolo un luogo di aggregazione e anche luogo di sorveglianza; organizza lo spazio vissuto in schemi incredibilmente prevedibili.
La disposizione spaziale della città americana è un atto di violenza in corso, reitera e rafforza gerarchie costruite su identità e status sociale, costringendo il movimento attraverso determinate soglie e criminalizzando la trasgressione o rendendola materialmente impossibile da raggiungere.
All My Gone Life
Stanley Wolaku Wanambwa ha qui raccolto negativi d’archivio: quasi tutte le fotografie d’archivio nel volume I di All My Gone Life fanno riferimento a un intervallo di tempo tra il 1950 e il 1966 circa. Il volume II gioca con questa linea temporale storica e con l’idea della storia stessa, attraverso il montaggio. Le auto, le architetture, gli interni segnalano, se non una data precisa, una certa sensazione di “passato”. Suggerisce come la violenza del momento presente derivi da quel passato. Come certe forme di modernità occidentale (bianca) nascondono forme arcaiche di violenza, essenziali alla loro sopravvivenza. Passato, presente e futuro si modellano e rimodellano in relazione dinamica l’uno con l’altro, e questa lotta è il terreno su cui ci troviamo tutti.
La fotografia stessa è sempre un passage: un intreccio di presente, passato, futuro, o meglio, il presente conserva tracce del passato e proprio per questo è in grado di dire qualcosa sulla contemporaneità.
La sfida è lavorare proprio sul nostro modo di guardare, lasciare che le immagini stravolgano la nostra logica, mettendo in dubbio il nostro modo di guardare, immaginare, pensare.
Accanto a questi negativi riappropriati, trovati su eBay attraverso ricerche molto specifiche, All My Gone Life include anche una serie di fotografie 4×5” scattate da Wanambwa. Questa scelta implica che le fotografie dell’autore non avevano dunque più importanza di quelle trovate; metterle in dialogo significa fare i conti con la retorica fotografica ereditata dal passato. In sintesi, la consapevolezza di partecipare alla Storia e fare i conti con essa. Questa è infatti una questione fondamentale del lavoro, cioè indagare come l’ambiente in cui viviamo agisce su di noi e la misura in cui noi agiamo su di esso. Come le nostre scelte sono modellate da forze presenti e passate.
One Wall a Web cerca le crepe, non sempre evidenti, i punti deboli e malati di un sistema politico, le ipocrisie, la ridicolezza, la tragicità, mettendo in luce questioni di vitale importanza. Dice Wanambwa in un’intervista: quel meccanismo che consente ad esempio a Cliven Bundy e la sua banda di sfidare le forze dell’ordine con armi da fuoco dopo aver rifiutato di pagare le tasse e uscirne illesi, mentre alcuni uomini neri disarmati, che obbediscono alle istruzioni della polizia, vengono colpiti a morte sulla schiena mentre rientrano a casa.
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