“The New Woman Behind the Camera” è il titolo della nuova mostra del Metropolitan di New York dedicata alle fotografe del Novecento. Ed è innovativa già a partire dal titolo con il richiamo esplicito alla “New Woman” degli anni ’20, che era la manifestazione di un fenomeno globale di emancipazione femminile.
L’esposizione – visitabile anche da casa con i virtual tour offerti dal museo – conta 185 tra fotografie, libri fotografici e riviste illustrate di 120 fotografe provenienti da oltre 20 Paesi del mondo in un percorso da cui emerge come, nello scorso secolo, soprattutto dagli anni Venti ai Cinquanta, le donne siano state in prima linea nella sperimentazione con la macchina fotografica e abbiano prodotto preziose testimonianze visive che riflettono sia le loro esperienze personali sia le straordinarie trasformazioni sociali e politiche del tempo che le hanno viste protagoniste.
“The New Woman behind the camera” esamina quindi il lavoro pionieristico delle donne in una serie di generi: dalla sperimentazione d’avanguardia e la pratica dello studio commerciale al documentario sociale, passando per fotogiornalismo, etnografia, sport, danza e moda.
La mostra si apre con una selezione di autoritratti avvincenti, spesso con la fotografa e la sua macchina fotografica, come nei casi di Florence Henri, Annemarie Heinrich e Alma Lavenson. Per diverse professioniste, gli studi commerciali sono stati poi un importante punto di ingresso nel campo della fotografia, come per Karimeh Abbud, Steffi Brandl, Trude Fleischmann, Annemarie Heinrich, Eiko Yamazawa e Madame Yevonde, e gli studi fotografici gestiti da donne nere americane, come Florestine Perrault Collins, hanno contrastato le immagini razziste nei mass media del tempo. La disponibilità di fotocamere più piccole e leggere ha spinto un certo numero di fotografe a esplorare la città, come si può vedere nelle scene di strada e vedute architettoniche di Alice Brill, Rebecca Lepkoff, Helen Levitt, Lisette Model, Genevieve Naylor e Tazue Satō Matsunaga, mentre altre artiste si sono dedicate ad approcci formali creativi, come il fotomontaggio, i fotogrammi, il ritaglio non convenzionale e gli angoli di ripresa vertiginosi, presenti nei lavori di Valentina Kulagina, Dora Maar, Tina Modotti, Lucia Moholy, Toshiko Okanoue e Grete Stern, che hanno spinto in avanti i confini del mezzo. Molte donne hanno documentato le loro esperienze all’estero in tempo di pace – come Marjorie Content, Eslanda Goode Robeson e Anna Riwkin – o di guerra, come nel caso del fotogiornalismo – tra cui Lucy Ashjian, Margaret Bourke-White, Kati Horna, Dorothea Lange, Thérèse Bonney, Galina Sanko, Gerda Taro e Hansel Mieth -, mentre altre hanno approfittato della domanda senza precedenti di immagini pubblicitarie e di moda per entrare di tutto diritto nell’ambiente, come nel caso di Lillian Bassman, Louise Dahl-Wolfe, Toni Frissell, Frances McLaughlin-Gill, Margaret Watkins, Caroline Whiting Fellows e Yva.
«La portata internazionale di questo progetto è senza precedenti – ha commentato il direttore Max Hollein -. Sebbene la New Woman sia spesso considerata un fenomeno occidentale, questa mostra dimostra il contrario, riunendo fotografie raramente viste da tutto il mondo e presentando una storia globale della fotografia ricca di sfumature. Le donne presenti hanno cambiato la direzione della fotografia moderna».
La mostra, resa possibile anche grazie alla Horace W. Goldsmith Foundation, alla Daniel and Estrellita Brodsky Foundation e dal National Endowment for the Arts, è stata organizzata insieme alla National Gallery of Art di Washington.
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Nato a Catanzaro nel 1984, è giornalista, fotografo e consulente di comunicazione. Attualmente collabora con Gazzetta del Sud e dirige il magazine della Camera di Commercio di Catanzaro CalabriaFocus.it. Nella sua fotografia ha introdotto gli elementi della professione giornalistica concentrandosi sul reportage (anche nelle cerimonie) e sulla narrazione per immagini della realtà. Alcuni suoi reportage sulla baraccopoli di Rosarno sono stati pubblicati dal Corriere della Sera.
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