Cosa si legge nel nero? Esiste o esisterà qualche fotografo che come il pittore Pierre Soulages ha modellato il nero e solamente il nero sulla carta e sulla tela per settant’anni? Voi direte ma la maggior parte della fotografia è già in bianco e nero! Io intendo però la ricerca di rappresentare in fotografia il nero.
Suvvia leggiamo questa immagine di nero.
Per una volta sono stata ispirata da un pittore come Soulages per andare alla ricerca di una immagine fotografica che mi ha portato all’articolo di Silvia Conti restauratrice che ha inserito delle immagini di nero in un suo articolo “colore o non colore il nero” dichiarando che “non è di facile interpretazione poiché il nero è spesso definito un “esperienza visiva”.
Nella scala tonale il nero è pari a zero l’esatto opposto del bianco che rappresenta l’espressione massima dei colori, il nero la minima, anzi l’assenza.
Proprio l’assenza mi ha portato al nero.
Che fotografia avremmo potuto in alternativa leggere oggi? Quella dei bambini morti oppure quella dei bambini che ormai da anni ci arrivano quotidianamente senza una gamba, senza un braccio? Oppure la foto della madre che abbraccia il figlio avvolto in un lenzuolo bianco? O ancora la madre che urla dal dolore per la morte appena avvenuta del giovane figlio morto sotto un bombardamento? Forse sarebbe meglio leggere invece quella dove si vedono coltri grigie che vanno verso il cielo mentre un palazzo sta crollando per l’ennesimo bombardamento? L’ennesimo morto, l’ennesimo bombardamento, l’ennesimo uomo che corre con una ragazzina in braccio per poterla soccorrere! Vogliamo leggere la fotografia del ritratto di Netanyahu che con la sua dura espressione non si arrende di fronte alla guerra? Anzi persevera per farla continuare? E quella del Parlamento Europeo a Bruxelles dove i deputati ascoltano impassibili con le cuffie in testa? O vogliamo leggere la bella immagine di Liliana Segre con il suo sguardo accigliato mentre afferma in un articolo che: “non si può parlare di genocidio a Gaza anzi l’abuso della parola genocidio dovrebbe essere evitato con estrema cura per più di una ragione”? Forse sarebbe meglio leggere la bellissima immagine con suadenti colori di due sudanesi che entrano nel campo di Adré in Ciad con un carro ciascuno trascinato da un cavallo e con dentro donne e bambini le loro masserizie che sono riusciti a portare via dalle loro case? O ancora prendiamo una foto dei soldati in trincea della prima guerra mondiale o dei soldati in Vietnam?”. Alcune di queste immagini hanno vinto premi internazionali come il World Press Photo, il Visa D’Or, il Pulitzer. Si premia il coraggio dei fotoreporter, la bravura estetica, la capacità di essere testimoni di un mondo che sempre più non segue le leggi del diritto ma quelle del potere.
Ecco con queste immagini in mente il mio stomaco si accartoccia, il mio cuore rimbalza prigioniero di fatti che cancellano la coscienza. La mia mente in prenda ad un elettroshock visivo vede nero. Per questo ho scelto una immagine nera come simbolo di un inferno non distante dall’immagine che ci fornisce Dante nella Divina Commedia: «Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente». In questo nero non ci sono i cerchi che descrive Dante perché i peccati che l’essere umano sta commettendo ha già superato qualsiasi livello di gravità. È un angelo dannato Lucifero con la sua superbia che viene fatto precipitare sulla Terra e apre nel terreno una immensa voragine appunto l’Inferno al quale si accede, guarda caso proprio da Gerusalemme. In questo secolo gli angeli dannati si sono moltiplicati e continuano a creare voragini con quell’espediente malvagio che è la guerra.
L’unica immagine possibile per rappresentare la voragine è il nero quello della voragine dove dentro troviamo i morti, le bugie, le anime dannate, l’assenza di umanità, l’assenza di udito. Non sentiamo più, non leggiamo più, non comprendiamo più cosa significa assenza. Vuol dire allora che il nero è il nulla, che sono notti sempre senza stelle, che è mancanza di vita? Mi arriva in soccorso Pierre Soulages con la sua intuizione fondamentale che ha sempre guidato la sua idea di pittura: la materia vive di luce. Soulages è stato un antifascista a partire dagli anni Trenta e poi un oppositore delle guerre in Algeria e in Vietnam. In alcune occasioni, questo ex giocatore di rugby, che misurava 1 metro e 90 e pesava più di 100 chili, non ha esitato ad alzare i pugni e a buttarsi nella mischia contro l’estrema destra.
Soulages sosteneva che il nero non fosse l’assenza di colori e che continuasse a cambiare con la luce, «assorbendo tutti i colori», come del resto concordano i fisici. È verso la fine degli anni ’80 che il Ministero per la Cultura di Francia gli propone di creare delle vetrate per una chiesa per far intervenire l’arte contemporanea nei monumenti storici. Si accordano per decorare l’abbazia di Conques. Come spiega Soulages, le sue vetrate cercano la metafisica della luce. Con i suoi dipinti neri voleva catturare tutto ciò che gli stava davanti, in modo completamente indipendente. “Ti mettono di fronte al vuoto, al pieno e al vuoto, alla forza e alla vulnerabilità”. C’è una tensione a Conques dove l’uso prevalente del nero, dice quanto di mistico si celi in questa idea: contemplazione, silenzio, concentrazione, interiorità.
Così recupero nel nero la luce e inizio a percepire la luce delle stelle nascoste dal buio della notte. Per ironia della Storia il presidente francese Emmanuel Macron, nel 2022, su Twitter, dopo la notizia della morte dell’artista ha scritto: «Pierre Soulages ha saputo reinventare il nero rivelando la luce. Al di là del buio, le sue opere sono metafore brillanti da cui ognuno di noi trae speranza».
DIDASCALIA
Nero di avorio tratto da http://www.silviaconti.it/colore-o-non-colore-il-nero/
Un pigmento naturale di origine animale deriva dalla bruciatura e lavorazione dell’avorio (in antichità) e delle ossa animali (ai giorni nostri). È un nero freddo.
Rhesus Monkey, Santiago Island off Puerto Rico. Photograph by Hansel Mieth © 1939 Time Inc.
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Dal 2015 mi dedico attivamente al progetto ArtPhotò con cui propongo, organizzo e curo eventi legati al mondo della fotografia intesa come linguaggio di comunicazione, espressione d’arte e occasione di dialogo e incontro. La passione verso la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale fra cui Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Ellen von Hunwerth, Marino Parisotto, Elliott Erwitt e i più famosi fotografi dell’agenzia Magnum.
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