In inglese si chiamano “mugshot“, e sono le foto scattate alle persone appena arrestate ai fini di riconoscimento ed archivio.
Il termine giuridico più corretto sarebbe booking photograph, laddove booking ha il valore di ‘registrazione‘. Diverso è il discorso su mug, un termine che, dai fiordi della penisola scandinava, si è infiltrato nel vocabolario anglosassone a significare un oggetto di uso comune: la tazza per bere di forma cilindrica. Le cosiddette mug hanno raggiunto la popolarità soprattutto nel diciassettesimo secolo, quando, superato il limite della forma cilindrica, hanno iniziato ad essere prodotte in ogni sagoma e dimensione. Dunque, oggetti passibili di creatività ed esposti alle mode, come quella di dar loro la forma di volti grotteschi. Fu proprio da questa moda di design che derivò l’accezione secondaria di mug come volto umano dai tratti non fini. Nel corso dei secoli il valore del termine si è ulteriormente ampliato, soprattutto negli Stati Uniti, dove ha assunto il significato specifico di volto criminale, da cui si piega il senso della parola quando viene accostata a shot.
Quanto alle origini dell’uso di fotografare i criminali al momento dell’arresto, esso pare coincidere con gli inizi della fotografia commerciale. Tuttavia, la pratica venne standardizzata solo alla fine del secolo dal Alphonse Bertillon, capo dell’ufficio di identificazione criminale della Prefettura di Parigi. Fu proprio Bertillon a pensare ad un portrait parlé – “immagine parlante” – ovvero ad un documento di registrazione comprensivo di undici misurazioni corporee, due fotografie – una frontale e una di profilo – e una descrizione testuale della fisicità del criminale. La registrazione dei dati antropometrici introdotta da Bertillon è stata poi superata dalla rilevazione delle impronte digitali, in grado di rivelare l’identità anche di chi ricorre al travestimento per fuggire alle istituzioni. L’uso della foto segnaletica è invece rimasto e sussiste tutt’ora.
Dall’inizio del Ventesimo secolo i criminali, sia presunti che condannati, vengono regolarmente fotografati e così le immagini dei personaggi famosi finiti per qualche motivo nelle stanze dello sceriffo o della polizia locale sono diventate delle vere e proprie icone da collezionare.
Diversi sono i volti celebri passati per gli uffici di identificazione criminale. Tra questi, Michael Jackson, Frank Sinatra, Jane Fonda, David Crosby e Bill Gates, Jim Morrison, Elvis, Endrix, Al Pacino, Mick Jagger….
Il tema è talmente vasto che nel 2010 l’eredità di Bertillon è stata raccolta in un volume dal titolo Mugshots: An Archive of the Famous, Infamous, and Most Wanted, dove è compendiato oltre un secolo di fotografia segnaletica. Accanto all’estetica dell’immagine, il libro indaga anche il versante psicologico di un ritratto che, scattato in un contesto di pressione emotiva, restituisce un volto diverso e spesso inatteso del soggetto.
Mug Shots: An Archive of the Famous, Infamous, and Most Wanted by Raynal Pellicer (1-Nov-2010) Paperback
Tra le tante immagini di personaggi famosi bisogna ammettere che quella immortalata nel 1976 dalla polizia di Rochester, nello Stato di New York, quando Bowie venne portato alla centrale di polizia dopo un concerto alla Community War Memorial Arena perché in possesso di stupefacenti (circa mezzo chilo di marijuana trovato nella sua stanza d’albergo) resta una delle fotografie / icone, più cool di tutti i tempi, pensate che nel 2022, questa foto segnaletica è stata poi battuta all’asta per 4940£ dalla casa d’aste Ewbank’s.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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