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Mister Ripley: Luci e ombre in scene, volti e personalità

di Rita Filippone

I. Dualismo: un palcoscenico di contrari

Ripley, la serie basata sui romanzi di Patricia Highsmith, rappresenta un tuffo in profondità tra gli abissi di Tom Ripley, imprigionato tra le identità che assume, allontanandosi dalla propria. Aldilà della maestria degli attori… le riprese, il gioco di luci e ombre, che viene appositamente creato, e la scenografia (elementi primari nel rimarcare questo tratto dualistico che caratterizzerà l’intero svolgimento del plot) riescono a sedurre anche degli occhi non avvezzi e non addentrati nel settore ricreando una sorta di palcoscenico di contrari di paesaggi naturali che si intrecciano abilmente con l’urbanistica, la quotidianità.

Ripley stesso incarna questa dualità. Le riprese spesso lo pongono in situazioni in cui è separato visivamente dagli altri personaggi, come se fosse sempre in bilico tra due mondi: quello che desidera e quello in cui è confinato. Il gioco di luci e ombre sulle sue figure esalta questa condizione: luci fredde e ombre profonde, quasi espressioniste, accentuano la sua ambiguità morale. Al contrario, i personaggi che rappresentano l’élite, o comunque sostanzialmente i suoi obiettivi, sono spesso maggiormente illuminati, con più luce, come a sottolineare la loro autenticità rispetto alla sua natura segreta e manipolativa.

II. Il mare in bianco e nero… ma percepito a colori

Il mare è un elemento chiave della narrazione visiva: anche esso mostrato in bianco e nero, come l’intera pellicola, ma quel panorama, quell’azzurro vivo del mare profondo e dalle sfumature cangianti che conosciamo bene, che amiamo, al quale siamo abituati, quasi si ribella, si oppone. Questo contrasto cromatico tra la vivacità della natura e la freddezza dell’animo umano crea un’atmosfera diversa… che enfatizza la duplicità e l’alienazione da sè stessi.

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III. Atrani: serenità ingannevole

Il paesino di Atrani, il luogo dal quale il piano prende incredibilmente forma, gioca un ruolo chiave nel creare un’atmosfera affascinante e sospesa tra realtà e finzione: le sue stradine strette, l’architettura storica e il suggestivo lungomare sembrano riflettere l’intricato labirinto interiore del protagonista. La quiete del porto e la monumentalità della Cattedrale di Atrani, che si erge direttamente sul mare, accentuano il contrasto tra il mondo esterno apparentemente sereno, tranquillo e le tumultuose tensioni psicologiche di Ripley.

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IV. Le scale escheriane, geometria delle ambiguità, come metafora di una mente deviante

La rappresentazione delle scale in Ripley è uno degli elementi scenografici più intriganti oltre che causa maggiore di ansia, avvilimento e tensione visiva e psicologica. Un paragone spontaneo che sorge è con l’arte visionaria di Escher, maestro dell’illusione ottica e delle strutture assurde, impossibili ma incredibilmente e paradossalmente veritiere osservandole. Escher è famoso per le sue scale labirintiche, che sembrano non avere inizio né fine, che salgono e scendono contemporaneamente e che sfidano le leggi della gravità e della logica. Sembrano quasi non essere delle semplici strutture architettoniche, ma riflettono lo stato psicologico del protagonista. Come nei disegni di Escher, le scale non portano mai realmente a una via di fuga, ma sembrano girare in un loop infinito, condannando chi le percorre a un’esistenza ciclica e soffocante. E il tutto nella serie si converte in stanchezza e sfinimento nel cercare costantemente una via d’uscita, una soluzione pervasa da quella manipolazione e da quella impossibilità di raggiungere la libertà (in fondo non potrà mai essere libero di tornare ad essere il vero sè… né vuole esserlo) e la redenzione.

Tutto ciò crea una torsione spaziale immaginaria, invisibile, ma che lo spettatore coglie ugualmente, ricevendo una visione completamente distorta della realtà, lasciandosi confondere, illudere, disorientarsi visivamente sfidando insieme al protagonista il concetto di direzione, destino e controllo totalitario delle proprie azioni, o meglio delle azioni altrui… prevedendole.

Le macchie di sangue nell’ascensore, vicino al gatto, sono un dettaglio visivo imponente: qualcosa è andato storto nell’improvvisazione di quello che sembrava essere un piano impeccabile. In questo contesto, il sangue rappresenta il peso crescente delle azioni di Ripley, un segno tangibile della violenza e della colpa che non può più nascondere. Il gatto, presenza mite, amplifica questo senso di disagio, osservando con occhi accusatori al limite della paranoia per Ripley. L’ascensore, uno spazio chiuso e soffocante, diventa il teatro di una colpa intrappolata, che Ripley non può evitare.

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V. Un escamotage di luci e ombre perfetto, che annienta ogni forma di potere

Immersa in un chiaroscuro che richiama il cinema noir, con il volto di Ripley illuminato parzialmente, mentre l’altra metà resta nell’ombra, la scena dell’interrogatorio si presenta così, preceduta da un lunghissimo viaggio effettuato dall’Ispettore Ravini nel tentativo di comporre il puzzle di sottili quanto ovvie evidenze. Le ombre avvolgono il volto di Ripley come una maschera invisibile, suggerendo la lotta costante tra la sua falsa identità e la sua vera natura criminale. Questa sequenza non si limita a mostrare un semplice confronto verbale, un incalzante dialogo nel tentativo di indagare, scoprire, ma sfrutta il linguaggio cinematografico per rivelare i giochi psicologici tra i due personaggi. La tensione cresce proprio attraverso il sottile gioco di luci e ombre. Quando Ripley riesce a controllare la situazione, la luce si sposta leggermente su di lui, suggerendo una temporanea vittoria, mentre l’Ispettore sembra per un attimo smarrito o incerto, con la sua figura parzialmente coperta dall’oscurità. Le ombre si fanno più profonde quando la verità sembra sfuggire.

Perché annienta ogni forma di potere? Perché anche Ravini è soggetto a questo gioco di luci e ombre ingegnosamente orchestrato da Ripley: nemmeno chi ha il potere, neanche l’autorità è immune al dubbio, alla manipolazione, all’errore… e, sebbene inconsapevolmente, è vittima del gioco.

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VI. Camaleonti

La capacità camaleontica di Ripley nel rubare e vivere l’identità di un’altra persona, pur senza conoscerla a fondo, è uno degli aspetti più affascinanti del suo personaggio. Questo talento di adattamento estremo non è solo una questione di falsificazione di documenti o bugie ben costruite, bensì un’inquietante abilità di rinascere assorbendo gli interessi, le abitudini, le movenze e persino le passioni di chiunque scelga di impersonificare, quasi come se una persona diventasse un vestito da indossare.

Mister Ripley: Luci e ombre in scene, volti e personalità

Un esempio emblematico di questa sua capacità, derivante da una forte intuizione psicologica è quando Ripley adotta la passione per la pittura del suo “amico”. Nonostante non abbia una vera conoscenza pregressa di quest’arte, Ripley riesce a convincere gli altri e, in parte, anche se stesso, di essere un pittore. Questo non è solo un atto di finzione, ma un vero e proprio processo di trasformazione in cui Ripley non imita passivamente, ma interiorizza gli schemata rappresentativi altrui e li fa suoi, eliminando in maniera coatta tutto ciò che è stato fino a quel momento.

Insensatamente, anche la pittura diventa camaleontica: il contesto artistico, pittorico, con la sua soggettività è un terreno fertile per Ripley, che sa sfruttare l’idea che l’arte possa essere interpretata in mille modi, permettendogli di nascondere la sua falsità dietro un velo di “genio incompreso“, consentendogli di leggere anche la sua stessa nuova vita come un quadro. Nella scena in cui Ripley si trova in chiesa e disegna, il suo linguaggio gestuale rivela una profonda complessità emotiva e psicologica: si tratta di un momento di calma apparente, ma ricco di significati nascosti, dove i suoi gesti rivelano tanto quanto le sue azioni future.

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VII. Un tocco rituale, un gesto di ammirazione: concentrazione e controllo attraverso il disegno

C’è qualcosa di più complesso nel suo modo di osservare e nel pesante silenzio che riecheggia. Ripley si incanta sulla bellezza e sulla perfezione della scultura, ma la sua ammirazione sembra avere un sapore oscuro, quasi morboso. La statua, rappresentazione di qualcosa di perfetto, immutabile, una costante del tempo, diventa per lui un simbolo di quella perfezione per definizione inaccessibile all’essere umano. I suoi sguardi prolungati forse nascondono un desiderio di possesso, come se osservando e disegnando potesse in qualche modo appropriarsi anche della sacralità intrinseca dell’opera. Sfiora il foglio, accarezza il disegno come se esso stesse diventando qualcosa di vivo per lui, questo gesto delicato ma controllato evoca un rituale privato celando una mente che pianifica.

VIII. Le nuove identità e il rapporto con norme sociali e culturali

Il comportamento del protagonista può essere analizzato attraverso diverse teorie sociologiche e antropologiche che offrono spunti per comprendere la sua trasformazione, l’adozione di nuove identità e il suo rapporto con le norme socio-culturali.

In primis viene riportato alla mente Merton, con la teoria della devianza e dell’anomia: in una società in cui il successo è fortemente valorizzato, ma non tutti hanno le stesse opportunità per raggiungerlo, alcuni individui ricorrono a mezzi devianti per ottenere ciò che desiderano. Ripley, che proviene da un background modesto e non ha accesso al lusso e al potere, si sente un estraneo in una società che celebra il successo e il benessere economico, diventa quindi un “innovatore“, una figura per l’appunto che adotta mezzi illegali o non convenzionali per raggiungere i fini imposti dalla società nell’incessante ricerca di uno stile di vita privilegiato, del potere, del prestigio e dell’accettazione sociale.

Goffman, nella sua opera “La vita quotidiana come rappresentazione”, descrive come gli individui “recitano” diversi ruoli nella società (una serie di grandi palcoscenici), adattando il loro comportamento in base al contesto e alle aspettative degli altri. Ripley incarna perfettamente questa teoria: come performer sociale non ha un vero sé stabile, ma un’identità fluida e mutabile a seconda delle circostanze.

Auto-annientamento e rinascita sotto una nuova pelle attraverso l’altro: Caillois, con la lente del mimetismo, esplora il concetto di imitazione non solo come strategia di sopravvivenza, ma come desiderio di annullarsi nel mondo esterno. Tom, rubando l’identità di altri, desidera “dissolversi” in una vita diversa.

La teoria del desiderio mimetico di René Girard è un’altra chiave di lettura: si sostiene che il desiderio umano è fondamentalmente imitativo. In Ripley, il protagonista non solo desidera le cose materiali altrui, ma desidera letteralmente essere gli altri essendo affascinato dalle vite che osserva e delle quali successivamente cerca di prenderne possesso.

Alla prossima chiave di lettura “sociologica”, “PHocalizzandoci sull’istante impresso privo di movimento!

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