Ciao amico caro,
ho scritto questo pezzo di getto per Oliviero… l’ho fatto col sangue nel cuore… la nostra strana amicizia me lo dettava… mi è rimasto un vuoto addosso… non so bene perché…
forse perché ho sempre visto Oliviero come un guerriero di luce…
forse perché mi mancano le sue strane telefonate o i messaggi che mi inviava quando era in giro per il mondo…
forse perché i nostri incontri nel corso degli anni non ci saranno più e mi fanno sentire più solo…
mi restano i suoi sorrisi sarcastici e la sua bellezza amicale che puntellano i miei domani…
e te, solo te, credo, hai visto due fotografi che quando si vedevano parlavano di tutto e di niente, come si conviene ai bracciatori di sogni…
che importa se Oliviero conosceva ricchezze ed era al centro dell’attenzione mediatica…
ed io mi trovavo sempre al margine di qualsiasi riflettore…
ciò che valeva era quello di stare insieme, ogni tanto, e andare all’incrocio dei venti in amore e libertà…
non mi manca solo l’amico, ma anche il maestro che ho sempre amato per la sua grandezza poetica di fare arte, non solo con la fotografia, ma anche di vivere come di morire.
Ti abbraccio con chi ami e chi ti ama,
Pinocchio.

«‘Ho solo cattivi discepoli’, diceva un saggio. ‘Mentre cercano d’imitarmi, mi tradiscono, e quando vogliono apparire simili a me, si discreditano’.
‘Sono più fortunato di te’, gli rispose un altro saggio. ‘Ho trascorso la mia vita nell’interrogazione, ed è naturale che ora non abbia nessun discepolo’.
Ed aggiunse: ‘È questo il motivo che ha spinto il Consiglio degli Anziani a condannarmi per attività sovversive?’».
Edmond Jàbes
Mi ricordo sì, mi ricordo di Oliviero… in questi 4o anni di complice/strana amicizia, ci siamo visti una o due volte l’anno nella tua ‘tana’ di Casale o in altri posti dove insegnavi non tanto la tecnica della fotografia, quanto a pensare la fotografia come un linguaggio creativo… sempre attorniato da giovani che intendevano studiare e fare fotografia per aprirsi una strada nel mondo sovente difficile dell’industria culturale… sovente ci siamo seduti in un bar a parlare di tutto, quasi mai di fotografia. C’interrogavamo sull’irrealtà del reale e dicevamo che in fondo neanche Dio voleva testimoni… ecco perché disse ad Abramo (‘Padre di molti’), un patriarca dell’ebraismo, del cattolicesimo, dell’Islam, di uccidere il proprio figlio ed accedere al mistero della fede, e di non volere fotografi, se non un asino… ricordo Oliviero ridere con un pezzo di frittata in bocca, quando gli raccontavo questa storiella in un piccolo ristorante alla marina di Cecina.
Abbiamo riso spesso davanti al tuo vino e alle tue ciliegie dei nostri progetti, anche con un amico comune, Francesco Mazza, che tu chiamavi ‘padre Mazza’ per le sue utopie di bellezza e libertà degli ultimi della Terra… mi ricordo sì, mi ricordo… di quando mi telefonavi, anche nel mezzo della notte, dal Messico o da altre parti del mondo e dicevi della tua fotografia di strada… o mi inviavi gli autoritratti con Robert De Niro e altri personaggi del cinema o della fotografia, così per giocare un po’… e ti parlavo dei miei bambini frantumati dalle guerre, delle ‘Maddalene’ che coglievo sui marciapiedi delle periferie o degli spossessati di tutto dalla civiltà del profitto… te che eri al centro della storia della fotografia e del dibattito culturale/politico del nostro tempo… trovavi sempre il modo di fare introduzioni, presentazioni, annotazioni ai miei libri marginali… irrompevi nelle mie mostre o presentazioni di libri come i cavalieri che fecero l’impresa… conoscevi come nessuno il giardino di smarrimenti che è la vita… non hai mai temuto di schierarti contro la tortura e la pena di morte quando la stampa internazionale ne copriva gli orrori… hai sparso nelle tue fotografie-icone il dolore di chi non ha voce né volto… l’hai fatto a viso scoperto… con la possanza del tuo lavoro… l’immagine sull’anoressia resterà nella storia dell’arte del ‘900 e per sempre.
Appena ventenne hai fotografato Don Milani e capito che la disobbedienza è una virtù praticata dai poeti maledetti, i soli, con i folli, i bambini o gli ubriaconi di genio che conoscono la pietà laica e vivono nella coscienza del presente… la pienezza di un’esistenza si misura dalla somma di conoscenze che ha disperso nella bellezza e nella giustizia a favore dell’uomo per l’uomo. La forza delle tue immagini ha travalicato la richiesta di lavoro dalla quale sono partite e mostrato che il grande fotografo non è mai al servizio dei municipi. Hai compreso bene che l’uomo politico rinuncia alla coscienza, l’artista all’azione… uno vive nell’oblio (la politica), l’altro negli incensamenti dell’arte (ed è la medesima forma d’oblio), e hai scardinato il deliquio delle speranze istituzionali… hai fatto dell’immaginario fotografico sovversivo, lo stato poetico per eccellenza.
Si avrà un bel divorare intere storie della fotografia, non si troveranno più di tre o quattro autori che valga la pena di vedere e vedere ancora… le eccezioni di questi tipo sono i passatori di confine o analfabeti di genio, che bisogna ammirare e all’occorrenza imparare, chiamarsi fuori dai funerali della logica… essere ispirati dalla felicità di infanzie intramontabili… la tua fotografia Oliviero contiene il peso di un’anima delicata che risveglia la risonanza del giusto, del bello, delle bene comune e ogni volta che mi ci sono addentrato, mi è sembrato di morire un po’ meno. Non eri te a soffrire del mondo, ma era il mondo a soffrire in te.
Non c’è la schiavitù del rimpianto nelle tue fotografie né la santità del servo verso il padrone, Oliviero… poiché ogni fotografia è un autoritratto, il tuo fare-fotografia porta a disvelare la tristezza che non sa ridere né comprendere che la mistica del successo a ogni costo, lascia dietro di sé la peste dell’indifferenza. Il tuo progetto Razza padrona è forse il contributo più alto che un artista abbia lasciato in eredità a quanti hanno capito che la fotografia, quando è davvero grande, è il ritratto di un’epoca, che sarà stata tutto, tranne che intelligente.
Scrivo questi annotazioni col sangue alla gola… ricordo il tuo messaggio nel cuore della notte poco dopo che ti eri ammalato… eri già in viaggio verso là dove gli usignoli cantano la malinconia delle rose nella pioggia di un tempo dove la bellezza mette le ali, la vera bellezza…ciao, Oliviero… sei andato a volare nella vita sognata degli angeli o non so dove… le tue fotografie sono però il tuo corpo e restano vive tra il ricordo e l’eternità. Ciao a te… Pinocchio.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 13 volte gennaio, 2025

Oliviero Toscani, Pino Bertelli, Francesco Mazza
Altri articoli di questa rubrica
M. Il figlio del secolo (2025) di Joe Wright
Paola Grillo – Sulla fotografia del Cante Jondo
Megalopolis (2024) di Francis Ford Coppola
Gian Paolo Barbieri – Sulla fotografia della bellezza, sulla poetica della grazia
Pedro Luis Raota – Sulla fotografia dell’assurdo
Pedro Luis Raota – I pastorali della fotografia
Parthenope (2024) di Paolo Sorrentino
Edward Steichen – Sulla fotografia nel boudoir
Edward Steichen – L’impiccagione della fotografia come una delle belle arti
Terry Richardson. Sulla fotografia consumerista

Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
No comment yet, add your voice below!