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“Matter” – Aleix Plademunt

di Massimo Mastrorillo

Rappresentazione dell'interferenza nei televisori a tubo catodico proveniente dalla radiazione di fondo cosmica del Big Bang

Aleix Plademunt, un autore che ha il dono di lavorare a progetti complessi con grande intelligenza, serietà e costanza, ha finalmente messo in mostra il suo ultimo progetto Matter. Derivata da Mater, la parola latina che significa Madre, la materia fa riferimento al principio costitutivo di cui sono fatte tutte le cose. Con un fine gioco di parole la parola Mater diventa Matter parola inglese che indica qualcosa di cui preoccuparsi, che ha importanza o significato, per sottolineare che il progetto non vuole solo indagare sul concetto di Materia ma anche sulla questione dell’esistenza e della sua origine. Un’impresa ardua, quasi impossibile, soprattutto quando si esce dal campo della scienza per entrare in quello della fotografia e dell’arte. Ci sono voluti dieci anni per venirne a capo. Plademunt ha viaggiato in lungo e largo attraverso i diversi continenti, nel tentativo di aggiungere sempre nuovi tasselli alla sua storia. Il progetto non vuole dare risposte ma solo porre questioni, spunti di riflessione in un gioco di possibili, infinite e differenti letture.

Fotografia della terra da 6 miliardi di chilometri di distanza, scattata nel 1990 dalla sonda spaziale Voyager 1
Stephenson 2-18 è la più grande stella fotografata e a noi conosciuta

La materia è composta da minuscole particelle indivisibili, di per sé inerti, senza movimento, incapaci di riprodursi, ma genera la vita. L’espansione radicale del Big Bang ha creato tutto. Durante il suo ciclo di vita, un organismo subisce molti cambiamenti – cresce, impara, si evolve e muore – ma la materia rimane sempre. La materia è una costante. C’è sempre stata e ci sarà anche nel futuro. Gli esseri umani sono derivati da uno dei processi evolutivi spazio-temporali tra i più recenti. Nonostante questo l’uomo si è cimentato spesso nel tentativo di dominare e trasformare la materia attraverso operazioni complesse e astratte, lontane dalla consapevolezza che l’evoluzione è stata possibile grazie alla ripetizione di processi primordiali, semplici ma inesorabili, fatti di connessioni infinite e alimentati da un’energia senza fine.

Può esserci relazione e dialogo tra una roccia, un albero, una statua e un robot? Plademunt ci dimostra di si e ci rivela che queste relazioni hanno combinazioni infinite. Perché? Perché forse questo dialogo transtemporale e transmateriale è sempre esistito. La materia erroneamente definita dall’uomo inerte, è viva, in continua trasformazione, grazie a questi dialoghi. Matter ci pone la questione fondamentale della necessità di mettere in discussione il nostro modo di vedere, di decostruirlo, ricostruirlo, reinventarlo. Ciò che sfugge all’uomo è infinitamente superiore a ciò che è in grado di percepire. Niente di nuovo rispetto a ciò che viene espresso da certe filosofie e religioni ma sicuramente coraggioso è il tentativo di rendere tutto ciò visivamente.

Come Virgilio nella Divina Commedia, l’autore ci accompagna attraverso un incredibile numero di realtà e di nozioni scientifiche e storiche. Da un’immagine che ci mostra come circa l’1% dell’interferenza nei televisori a tubo catodico proviene dalla radiazione di fondo cosmica del Big Bang, avvenuto circa 13,8 miliardi di anni fa, si passa all’immagine più lontana della terra esistente (6 miliardi di chilometri di distanza) per poi arrivare alla stella più lontana fotografata. Il robot Idra, costruito presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologia dell’Università di Tokyo, viene messo in relazione con il polipo cnidario Hydra, le cui cellule non invecchiano né mostrano deterioramento nel tempo. Il concetto di immortalità viene ulteriormente approfondito con numerose immagini dell’Old Tjikko, il più antico abete vivente del mondo (9560 anni). Un organismo, che connette più alberi attraverso un apparato radicale comune e si perpetua clonalmente per stratificazione. Il suo tronco muore ripetutamente e ricresce, ma le radici rimangono intatte e da esse spuntano nuovi rami.

Leopoldo II (1835-1909), dittatore belga che per 75 anni ha sfruttato le risorse naturali del Congo per un valore stimato di 1 miliardo di euro, attraverso l’utilizzo del lavoro forzato, la schiavitù, e atrocità su larga scala (il primo e più esteso genocidio contemporaneo, che ha portato alla morte di circa dieci milioni di congolesi), viene affiancato ad una playstation Sony. Per quale motivo? Il coltan è un minerale metallico composto da columbite e tantalite e di natura relativamente rara. Grazie alle sue recenti applicazioni tecnologiche (produzione di condensatori per dispositivi elettronici), è diventato un materiale strategico e causa di conflitti geopolitici. Si stima che la Repubblica Democratica del Congo (RDC) possieda l’80% delle riserve mondiali di coltan, anche se attualmente solo il 10% viene sfruttato. I progetti di estrazione mineraria rimangono attivi nel Paese e lo hanno immerso in situazioni di conflitto sociale, violazioni dei diritti umani, deforestazione e abusi economici e commerciali, oltre a una guerra civile continua che è durata oltre quindici anni e ha mietuto oltre cinque milioni di vittime. Nel 2001, la multinazionale giapponese Sony è stata costretta a ritardare di 6 mesi il lancio della sua PlayStation 2, a causa di conflitti interni alla Repubblica Democratica del Congo e della conseguente impossibilità di esportare coltan. La battuta d’arresto generò milioni di perdite per l’azienda. Non molto tempo dopo, la PS2 è diventata la console per videogiochi più venduta della storia.

La storia, la memoria, troppo spesso dimenticate, per interesse, sono ampiamente rappresentate e in questo viaggio spazio temporale, affascinante e a tratti inquietante, non poteva mancare l’Impero Romano, perché è stato l’iniziatore dell’idea di conquista al fine di sfruttare le risorse altrui. Roma i suoi monumenti sono al tempo stesso testimonianza di splendore e civiltà ma anche di sofferenza e dominio.

Matter è in mostra presso la Sala Canal Isabel II di Madrid, una vecchia torre dell’acqua, adibita a spazio per la fotografia (12 maggio al 24 luglio). La struttura affascinante, diventa teatro ideale per allestimenti curati e geniali. Nella parte terminale della struttura è stata adibita una sala proiezione dove è possibile vedere il documentario “Un arbol es un Arbol” girato dal regista catalano Carlos Marquez-Marcet e dallo stesso Plademunt.

La casa editrice Ca l’Isidret, in coedizione con Spector Books, ha stampato il libro che è davvero una pietra miliare nel campo dell’editoria fotografica. Matter è un lavoro da vedere, da metabolizzare e approfondire per capire meglio la realtà che ci circonda. Da tempo non provavo emozioni così forti nel vedere un lavoro fotografico. Plademunt si conferma, dopo “Almost There”, un autore di grande spessore e profondità, degno di ricevere, dal mio punto di vista e con il mio più sincero augurio, inevitabili e meritati riconoscimenti.

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