
I soggetti di Mark sono spesso emarginati – tossicodipendenti, poveri, disabili – o esterni alle norme sociali in modi più malevoli: una serie del 1986 ritrae intimamente uomini, donne e bambini alla Conferenza delle Nazioni Ariane, nell’Idaho. Mark evita l’alto potenziale di feticismo che perseguita tutti i fotografi che si avventurano al di fuori del mainstream e del socialmente tollerabile. Si tratta di immagini di grande significato umano ma che si fermano un attimo prima di andare oltre l’accettabile.
E’ sempre stata attratta dalla disperazione, da quella parte di noi che spesso rifuggiamo.
Nel 1976 Mark ha trascorso trentasei giorni come giornalista nell’ala psichiatrica di massima sicurezza dell’Oregon State Hospital. Il lavoro che ne risulta suscita simpatia, curiosità e orrore – un elisir umanizzante che commuove fino alle lacrime.

Mary Ellen Mark è nata il 20 marzo 1940 a Filadelfia ed è cresciuta nelle vicinanze, a Elkins Park. Al liceo aveva due ambizioni principali, come ha raccontato al New York Times Magazine nel 1987: diventare la capo cheerleader ed essere popolare tra i ragazzi. Riuscì in entrambe le cose.
Ha studiato all’Università della Pennsylvania, dove ha conseguito una laurea in pittura e storia dell’arte nel 1962 e un master in fotogiornalismo nel 1964. Era particolarmente interessata al lavoro di documentaristi come Henri Cartier-Bresson, Robert Frank e Dorothea Lange.
Mark ha iniziato la sua carriera con riviste come Look e Life, adottando un approccio documentaristico classico a materiali spesso difficili e lavorando solitamente in bianco e nero.
Negli anni Novanta, Mark è passata alla fotografia di moda e alla ritrattistica, con campagne pubblicitarie per clienti come Coach, Eileen Fisher e Heineken. Allo stesso tempo ha continuato il suo lavoro di documentarista, fotografando i balli di fine anno delle scuole superiori, i bambini autistici e le famiglie nei rifugi per i senzatetto.
Era una grande narratrice. Conosceva molto bene i soggetti che fotografava ed era in grado di trasmettere chi erano e come vivevano, oltre che dare una forma visibile alla loro vita interiore. Non ci sono molti fotografi in grado di farlo con quella delicatezza e rispetto che aveva Mary Ellen Mark.
“Ricordo la prima volta che sono uscita per strada a scattare fotografie. Ero nel centro di Filadelfia, ho fatto una passeggiata e ho iniziato a entrare in contatto con le persone e a fotografarle, e ho pensato: ‘Mi piace. Questo è ciò che voglio fare per sempre’. Non ho mai avuto altre domande”.
Dopo l’università, Mark si è recata in Turchia con una borsa di studio Fulbright, un’esperienza che le ha fornito alcuni dei soggetti per il suo primo libro, “Passport”, pubblicato nel 1974.
Dopo essersi trasferita a New York alla fine degli anni Sessanta, la rivista Look la incaricò di fotografare Federico Fellini sul set di “Satyricon” a Roma, e anche i tossicodipendenti di eroina in una clinica di Londra. In seguito ha lavorato per Life, Time, Rolling Stone, The New York Times Magazine e altre pubblicazioni.

Nel 1978, la Castelli Graphics di Manhattan presentò “Ward 81”, una mostra di fotografie che la Mark aveva scattato nel reparto femminile di massima sicurezza di un ospedale psichiatrico statale dell’Oregon, dove aveva vissuto per due mesi. Il rapporto che ha instaurato con le detenute si è tradotto in rappresentazioni straordinariamente sdrammatizzate di esseri umani in circostanze estreme, in contrasto con i ritratti stravaganti realizzati da Diane Arbus.
L’empatia e l’umanesimo dell’opera, pubblicata in forma di libro nel 1979, hanno colpito la critica. Robert Hughes, su Time, ha definito “Ward 81” “uno degli studi più delicatamente sfumati sulla vulnerabilità mai realizzati su pellicola”. Dopo la mostra, la signora Mark firmò con l’agenzia fotografica Magnum.
Il suo interesse per gli emarginati sociali è rimasto costante per tutta la sua carriera e si riflette nel libro “Falkland Road: Prostitutes of Bombay” (1981), insolito perché a colori. Nel 1983, mentre era in missione per Life, ha iniziato a fotografare gli adolescenti senzatetto di Seattle, un insieme di piccoli spacciatori, prostitute e mendicanti che popolano le pagine di “Streetwise”, pubblicato nel 1988. Con il marito, il regista Martin Bell, che le è sopravvissuto, ha trasformato i suoi incontri in un film, che è stato candidato all’Oscar come miglior documentario nel 1984.
Tra gli altri suoi libri ricordiamo “Indian Circus” (1993), “Twins” (2003), “Prom” (2012) e “Man and Beast” (2014), oltre a diverse raccolte che raccolgono i suoi lavori migliori, in particolare “Mary Ellen Mark: Portraits” (1995), “Mary Ellen Mark: American Odyssey” (1999) e “Exposure” (2006). È stata protagonista di una mostra retrospettiva itinerante, “Mary Ellen Mark: 25 Years”, inaugurata nel 1992 all’International Center of Photography di Manhattan.
Nel 2014 le è stato conferito il Lifetime Achievement in Photography Award dalla George Eastman House.
“Morirei se dovessi essere confinata. Non voglio sentire che mi sto perdendo l’opportunità di sperimentare il più possibile. Per me, sperimentare è conoscere persone in tutto il mondo e poter fotografare”.
Il 25 maggio del 2015 la celebre fotografa si spegne a 75 anni per le conseguenze di una sindrome mielodisplatica.
All photos © Mary Ellen Mark
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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