Mark Hogancamp, il fotografo delle bambole che perse la memoria.
Una storia tragica che trasformò un uomo perso in un grande artista.
Sfogliando l’immenso palinsesto di Netflix mi imbatto in un storia che non conoscevo. Un fotografo di soldatini, anzi, meglio dire di bambolotti, quelli tipo Barbie o Big Jim, per capirci.
Ma partiamo dall’inizio. Mark Hogancamp, questo è il suo nome, è stato un muratore, un marinaio nella marina militare, un carcerato, un cameriere che abusava di alcol nell’aprile del 2000 la sua vita cambiò ancora più brutalmente. Divorziato e alcolizzato Mark viveva in una roulotte e lavorava dieci ore al giorno in un ristorante di Kingston, vicino a New York e, quella sera dell’8 aprile del 2000, venne aggredito da cinque uomini che scambiarono alcune sue abitudini per gesti da effeminato, lo presero in giro volgarmente e alla fine lo picchiarono selvaggiamente lasciandolo in mezzo alla strada in fin di vita. Dopo nove giorni di coma, si svegliò scoprendo di non avere alcun ricordo della sua precedente vita da adulto. Il suo cervello aveva subito danni tali da fargli perdere la capacità di parlare e di camminare, ma soprattutto aveva perso la memoria. Doveva imparare di nuovo a mangiare, camminare e scrivere. E riscoprire chi fosse stato.
Ci volle tempo e pazienza ma piano piano iniziò a riprendersi fisicamente, le terapie riabilitative erano parecchio costose e non poteva fare affidamento solo sugli aiuti statali, così Mark decise di prendere in mano la situazione, riprese a lavorare nel ristorante e iniziò a ricostruirsi un mondo nuovo, spettacolare, un intreccio di vite inventate che prese forma piano piano nella sua testa.
Nel giardino della sua casa creò un nuovo mondo completamente sotto il suo controllo: una città abitata da sole donne bellissime, il periodo è quello della Seconda Guerra Mondiale, tradotto in scala 1:6. Lui si identificò nel comandante impegnato a difendere la cittadina chiamata Marwencol, nome nato dalla fusione dei nomi Mark (sè stesso), Wendy and Colleen (due cotte giovanili).
Usando gli alter ego delle bambole dei suoi amici, della sua famiglia, di sé stesso e anche dei suoi aggressori, Mark mise in scena battaglie epiche e con una vecchia Pentax iniziò a fermarli per sempre in fotografie straordinariamente realistiche. Quelle bizzarre immagini iniziarono a girare e il fotografo David Naugle restò molto colpito dalla storia e dalla originalità del lavoro e le fece pubblicare su una rivista di fotografia portando così la storia di Hogancamp fuori della sua città, in questo modo arrivò l’attenzione del mondo dell’arte al punto che un gallerista ne rimase così affascinato da organizzare una mostra a Manhattan. Questo episodio inaspettato ha segnato una nuova rinascita trasformando definitivamente la tragedia personale di Mark in una forma d’espressione artistica amata e pubblicamente riconosciuta.
Il clamore continuò e fu irrefrenabile tanto che si arrivò a produrre un pluripremiato documentario girato dal regista Jeff Malmberg, ” Marwencol, il villaggio delle bambole “, che vede la partecipazione di Mark Hogancamp nel ruolo di sè stesso e poi ad un libro “Welcome to Marwencol”.
Da quel libro è stato tratto il film di cui vi ho accennato all’inizio, film vincitore di un Golden Globe. Per interpretare il protagonista è stato scelto un fantastico Steve Carell che recita in questo dramma diretto dal regista premio Oscar Robert Zemeckis. Non perdetevelo, è davvero una storia che vi lascerà meravigliati.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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