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MALEDETTO TOSCANI. Sulla filosofia di un fotografo sovversivo (Parte II)

di Pino Bertelli

Toscani ha posto il problema dell’artista maledetto… del creatore sovversivo… tranciando le estetiche del consenso attraverso un’azione artistica elaborata nel “luogo del delitto”… nel cuore dello spettacolo

 

La fotografia è una puttana che non sorride (Estratto cap. II)*

“Sono italiano, quindi figlio di puttana. A scuola mi hanno insegnato
che la patria è come la mamma e si deve rispettare… la mia patria non è certo
i confini di questa Italia che non riconosco. In questo appiattimento televisivo
che ci vuole tutti consumatori perfetti e soddisfatti io, mostro, chiamo a raccolta
tutti gli altri mostri, tutti quelli che non hanno mai avuto un doppiopetto blu
e una cravatta; faccio appello ai cattivi di questa terra perché si diano da fare
per smascherare i buoni, prima che ci annientino senza che ce ne accorgiamo con la loro bontà”.

Oliviero Toscani

 

“Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio, il cuore”.

Henri Cartier-Bresson

“…io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato,
privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri…
Io reclamo il diritto di dire anche che i poveri possono e debbono combattere i ricchi…
…l’obbedienza non è più una virtù”.

Don Lorenzo Milani, priore di Barbiana

 

Nel 2017, al salone del libro di Torino, Toscani ricorda don Milani con affetto e acutezza critica: «Don Milani era un uomo di grandissima intelligenza che capì subito i meccanismi della comunicazione di massa; comprese che per far passare il suo messaggio doveva implicarsi in prima persona. E così fece… non solo quelli di Barbiana, ma tutti coloro che lo hanno conosciuto, letto o studiato sono suoi allievi. Don Milani è un patrimonio degli italiani»[27]. E poi, don Milani è «un irriducibile sovversivo e anche una prima donna nel senso che era primo», continua Toscani, «un sovversivo che vedeva in anticipo, un “beginner”, come scriveva Walt Whitman: “Appaiono raramente sulla terra, sono cari e pericolosi/si mettono a repentaglio…”. Anche io mi sento un “beginner”, un iniziatore»[28]. Toscani è davvero un iniziatore, ma spesso viene male copiato e peggio compreso… chiunque non parla il linguaggio dell’utopia non può capire la visione profonda dell’esistenza che Toscani sparge sulle strade della Terra… sono atti di coraggio che appartengono solo a coloro che sfidano l’illusione che sostiene il mondo e lavorano alla caduta dei suoi miti. “Se un fiore cade è un fiore completo, ha detto un giapponese. Si è tentati di dire altrettanto di una civiltà” (E.M. Cioran)[29]. Le immagini ereticali di Toscani, come certi fiori di Maggio, rifiutano la rassegnazione e nell’indignazione estetica/etica si trascolorano in segni di vita autentica.

La fotografia sovversiva della bellezza è un rivolgersi, cambiare prospettiva, vedere la realtà con altri occhi… il vuoto alle mie spalle, il vero accanto a me, diceva… la pratica della fotografia d’impegno civile è una filosofia al servizio degli esclusi, lavora al divenire dell’insieme sociale che si libera della sopraffazione dei pochi a danno del maggior numero… si porta dietro cambiamenti epocali di cui ancora molti non comprendono ma, anzi, che vorrebbero impedire… e forse a ragione, perché quando gli uomini conosceranno la forza della bellezza, i responsabili di tanta sofferenza si pisceranno addosso dalla paura di ricevere quello che loro stessi hanno dispensato… nessuno può governare innocentemente, il male si subisce o si serve… non vogliamo condannare un padrone, vogliamo ucciderlo, diceva (con un certo garbo) di Luigi XVI, Danton. Il terrore riproduce le forche che voleva abbattere. La pace armata presuppone il mantenimento indefinito del capitalismo parassitario e solo la sua soppressione può mettere fine all’impero delle disuguaglianze. “Mi rivolto dunque siamo, ma al siamo soli della rivolta metafisica, la rivolta alle prese con la storia aggiunge che invece di uccidere e morire per produrre l’essere che non siamo, dobbiamo vivere a far vivere per creare quello che siamo” (Albert Camus)[30]. Va detto. Considerare la storia degli uomini come strettamente legata all’impostura delle religioni monoteiste, significa svuotare l’uomo della sua intelligenza e la storia della sua sostanza… nelle simbologie terroriste delle religioni solo gli angeli sono innocenti e i santi, come i martiri, sono avvolti nella beatitudine della stupidità celeste… la speranza è la sola condizione che i padroni dello spirito concedono volentieri agli schiavi, e agli uomini senza dio basta solo un colpo di fucile… la paura è l’ostia di tutti i regimi che fanno della distruzione del diverso da sé, il consolidamento dei propri terrori. Se un dio esistesse veramente, andrebbe avvolto a una croce di sputi, per cosa ha rappresentato e rappresenta sulla Terra… non deploreremo mai abbastanza le morali da ghigliottina che le religioni impongono al genere umano. Il cammino dell’umanità passa dalla liberazione dell’uomo sull’uomo. E comunque vada, senza nessun rimorso.

Lettera a una professoressa è un atto di accusa contro il conformismo scolastico del tempo… con un linguaggio semplice, quasi orale (e piccoli errori che si porta dietro l’immediatezza descrittiva), disseminato di digressioni e interpunzioni gergali… sostiene che la scuola è di classe quando riproduce e consolida le disuguaglianze socioeconomiche e culturali presenti nella società, impedisce la mobilità sociale, ovvero la possibilità di migliorare la propria condizione sociale[31]… l’allacciamento all’art.3 della Costituzione è conseguente: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. I ragazzi che sono morti nella Resistenza (anche se tradita dall’intero arco parlamentare) non sono morti invano, i loro corpi e i loro sogni continuano a sollecitare l’indignazione di quanti continuano a combattere contro l’indifferenza, il parassitismo e il servaggio insiti nel sistema dei partiti e della società consumerista… nel 1917 Antonio Gramsci scriveva: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare”[32]. La scrittura fotografica di Toscani, lavora contro l’indifferenza e mostra che tutto ciò che attiene alla santità del successo cade inevitabilmente nel luogo comune… che siano le immagini sulla osteoporosi, della The Bowery (New York), i “ragazzi” di Stazzema (ormai vecchi), un casting a Livorno o il manifesto di un film contro il nazismo e la collusione del Vaticano nello sterminio degli ebrei (Amen., 20012, di Costa-Gavras), che ha suscitato furiose polemiche perché il fotografo ha fatto vedere una croce trasformata in svastica (o viceversa)… ciò che fuoriesce dal suo portolano d’immagini singolari è l’adesione alla verità come bellezza e all’impudenza o alla tragedia che si porta dietro… a un certo grado di qualità della fotografia, ogni franchezza diventa indecente.

Non si tratta di rifiutare o accettare l’ordine sociale (dei partiti) ma renderlo ridicolo nelle sue certezze… del resto l’ingiustizia degli uomini è il fac-simile di quella di dio… sono architettate sugli altari dei vincitori (banche, partiti, chiese, sindacati…) e anche l’arte, quale che sia, è uno dei caratteri distintivi della sottomissione per un pugno di dollari (titolo di un film orrendo)… Toscani è un artista non riconciliato e come sappiamo da un grande regista francese, Jean-Marie Straub (e da sua moglie, Danièle Huillet), nel film Non riconciliati, ovvero solo violenza aiuta dove violenza regna (1964-1965), all’orizzonte c’è sempre un dio o uno stato che minaccia, i poeti che stanno al margine o irrompono nell’arte si chiamano fuori dalle corti senza dignità né franchezza e disseminano le loro opere contro la mediocrità trasfigurata in visione del mondo. Sono dei sognatori, certo… e in un percorso di tentazioni, provocazioni e vertigini si fanno eretici dell’esistenza liberata (come Oliviero Toscani). Anticipano il desiderio di giustizia con l’ossessione dell’altrove e accettano l’avventura o il deliquio di non essere compresi in piena coscienza… vivono allo scoperto nel tempo degli equivoci e sanno bene che il consenso tormenta soltanto i santi, i criminali e i megalomani della partitocrazia, tutta gente che – a un certo grado di civiltà – andrebbe passata per le armi.

Del resto, la filosofa Simone Weil aveva già compreso il marciume dei partiti e dopo aver fatto l’operaia e la Rivoluzione di Spagna del ’36, nel 1943, a Londra, scrive il Manifesto per la soppressione dei partiti politici; qui dice: «I partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia… La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. È perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi»[33]. Aderire all’ideologia di un partito o di una chiesa (o credere che una scheda elettorale possa cambiare il corso delle cose) è una forma normale di delirio… fuorché la rivolta, quale che sia, tutto è falso… falsa la civiltà dello spettacolo, falsi i partiti che la sostengono, false anche le verità sui terrorismi internazionali che i finanzieri della guerra alimentano (che armano) per alzare profitti e dividendi… il ballo è in maschera, la farsa è negare che l’umanità non si è emancipata sulla polvere da sparo e nel dolore dei secoli… i tiranni, i macellai, i carnefici sono sempre gli stessi… quelli che hanno fatto il covo (di serpi) nei partiti, nelle banche, nelle chiese a aspirano a fondare o a mantenere la religione del mercato… sono i figuranti dell’ordine costituito e i protagonisti impuniti dell’olocausto della storia. Solo quando i popoli scopriranno la fame di bellezza che c’è nei loro cuori,  ci sarà la rivoluzione nelle strade della terra (da e con James Hillman). La miseria costituisce la trama di tutto ciò che respira nel mondo… ma la miseria non è ereditaria e va combattuta, e tutti i mezzi sono buoni per abbattere l’ordine del superfluo o i pretesti di pietà con i quali milioni di uomini sono tenuti a catena. L’obbedienza non è mai stata una virtù.

La fotografia è una scrittura o un  dispositivo usato per ingannare o per fornire poetiche che vanno al di là della realtà. “La macchina fotografica non mente neanche quando cita una menzogna, e l’effetto di questa convinzione è che la menzogna, ogni tipo di menzogna visiva e non, diventa credibile” (Marco Belpoliti)[34].  Ogni fotografia è sempre una meta-fotografia e il cadavere di Aldo Moro, i ritratti di fotografi randagi come Riis, Hine, Sander, Evans, Modotti, Arbus, Salgado, le immagini dei campi di sterminio della Shoah, l’iconografia dell’insurrezione planetaria del ’68 o la fotografia della bellezza di Oliviero Toscani… travalicano il senso della storia e vanno a figurare l’universalità della bellezza e della giustizia. Insegnano a conoscere la nostra coscienza mentre la commuovono. Non è cosa nuova. I Greci non separavano etica ed estetica… “non avevano codici che definissero bellezza o rettitudine. Ma esisteva un consenso generale su entrambi, e anche sul fatto che erano intimamente legati. Erano due diverse facce della stessa qualità: la virtù e l’eccellenza” (Luigi Zoja)[35]. La politica della bellezza non conosce frontiere né giudici… è un esercizio spirituale del bello che parte dal rispetto dell’altro per andare a cogliere il valore dell’uomo, “sentito” e innalzato insieme al valore della sua bellezza (anche se è stata infranta). La distruzione della bellezza in ogni sua forma passa dal suicidio programmato della società consumerista. Guerre, merci, politiche, religioni… costituiscono l’arcipelago di una vita moribonda e ogni patria è un letamaio dove gli esseri umani naufragano nello sfruttamento e nel massacro dei propri simili.

Politica della bellezza significa contrastare la fenomenologia del brutto e dell’osceno, bandire la brutalità dei dominatori, chiedere ragione dei loro misfatti, rivendicare libertà, democrazia e diritti dell’uomo… ci sono poeti che hanno la forza di rinnovare la bellezza del mondo o di smascherare l’indifferenza dei potenti di fronte al bello, al giusto, al buono. “La nostra epoca ha nutrito la propria disperazione nella bruttezza e nella convulsioni… Noi abbiamo esiliato la bellezza, i Greci  per essa presero le armi” (Albert Camus)[36]. La poetica della bellezza di Toscani è un mosaico di provocazioni illuminate che vanno ad incrinare le certezze (non solo) fotografiche della consorteria amorale del mercato… a sviscerare l’insieme del suo lavoro non è difficile vedere che al fondo delle sue immagini c’è una visione dell’esistenza sganciata dalle strutture mercantili e accademiche della storiografia fotografica e ogni immagine sostituisce la compiacenza o la furbizia abituale a molti fotografi celebrati per mostrare lo stupore e lo sdegno del convenzionale… è l’interrogazione ciò che Toscani sdogana nella fotografia e fa della bellezza la coscienza del dovuto. L’estrema bellezza raramente è volgare, specie quella della quale si fa portatore di libertà liberate… la bellezza così affabulata ha sempre qualcosa di strano e di raffinato che ispira timore  rispetto, più di ogni cosa si accorda con la grazia che la sostiene. “Se i popoli si accorgessero del loro bisogno di bellezza, scoppierebbe la rivoluzione” (James Hillman)[37]. La bellezza, fuori da ogni dubbio, non fa le rivoluzioni, tuttavia viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza per contrastare la cultura dell’osceno e il suicidio etico di ogni potere.

L’economia politica ha trasformato il mondo e lo ha reso arido di ogni emozione… la dissipazione della bellezza e la catastrofe ambientale che ne consegue ha fatto il covo nei parlamenti, le banche alzano il patibolo dei dividendi sulla fame dei popoli impoveriti… le caste dei partiti stanno al giogo e privilegiano i propri interessi al bene comune. Ecco perché i partiti politici vanno aboliti: “I partiti sono organismi costituiti in maniera tale da uccidere il senso della verità e della giustizia” (Simone Weil)[38]. Non basta indignarsi e fare della resistenza il motore dell’indignazione[39], occorre insorgere e fare dell’intelligenza il crogiolo di tutte le disobbedienze. La democrazia che non si usa, marcisce[40]. Il tempo di Occupy succede al tempo della genuflessione, le disuguaglianze hanno raggiunto livelli mai visti prima nella storia e chi non ha voce né volto è escluso dalla cosa pubblica.

L’economia planetaria è organizzata a beneficio dei ricchi e chi è privo di risorse è cancellato dai disegni della politica transnazionale. La tenacia e la crescita del movimento Occupydimostrano che sempre più persone disertano i proclami della politica e le lotte per raggiungere una reale democrazia si fanno sempre più estreme. “Occupy ritiene che la democrazia sia il miglior modo per risolvere i problemi, e mette in pratica quello che predica. Attraverso un autogoverno consensuale, non gerarchico e partecipativo, stiamo letteralmente ponendo le basi di un mondo nuovo, costruendolo qui  e ora – e funziona” (Noam Chomsky)[41]. Tutto vero. Le innumerevoli piccole azioni di persone sconosciute che si mettono insieme per modificare lo stato di cose esistenti, modificano l’immaginale di un’epoca di sfruttamento senza precedenti e gettano le basi di altri eventi che restituiscono dignità a un’intera generazione. La concentrazione della ricchezza nelle mani del settore finanziario, che implica la ricchezza del potere politico, va abbattuta e la rivoluzione informatica è un mezzo per scardinare l’ossario dei dominatori. Il compito degli uomini in libertà non è solo quello di comprendere il mondo, ma di cambiarlo. Con tutti i mezzi necessari.

Il mercato della comunicazione ingoia tutto, e i messaggi quotidiani dei media sono estranei a ogni sorta di bellezza e di giustizia. La globalizzazione dei mercati e il nuovo ordine economico esercitano il potere e la violazione dei corpi ormai è consumata con la rabbia e la speranza degli ultimi. Il volto dell’uomo non è più là dove si staglia, ma dove è sfigurato sotto il peso dell’apparenza e della sottomissione. La verità si offre a noi nuda, come un’immagine sacrale, tuttavia la copriamo con falsità e imposture. Il pensiero della fotografia, passa là dove la fotografia si fa poesia… la sovversione dei codici dominanti segna il rovesciamento delle connivenze e rompe i limiti dei sentimenti truccati. Per la fotografia in amore, come per la libertà, non ci sono catene.

Oliviero Toscani, il ragazzo dagli occhi volanti, mastica presto fotografia… è figlio di Fedele Toscani, uno dei più grandi fotoreporter del dopoguerra e di Dolores Cantoni, una “vera proletaria… una come lei, che ha incominciato a lavorare a sei anni, ha sviluppato un’attenzione particolare verso tutto ciò che è ben fatto”, scriverà più tardi il figlio[42]… e in qualche modo, non meno del padre, lascerà al figlio, credo, un profumo di buona vita, di bellezza e di giustizia che gli venivano dalla conoscenza e dalla condivisione di destini difficili, anche, che si fondevano sulla reciprocità del rispetto e del dono. Tutto quanto ci accade, infatti, ha un valore o una necessità. È un fare-anima che viene dalla nostra infanzia e forma il carattere. Il codice dell’anima è la presenza invisibile che ci sorveglia e veglia su di noi: “Ciascuna vita è formata dalla propria immagine, unica e irripetibile, un’immagine che è l’essenza di quella vita e che la chiama a un destino” (James Hillman)[43]. Il piccolo Oliviero, quando ha nelle mani la macchina fotografica che gli ha regalato il padre (una Rondine della Ferrania) comprende presto che “quando la terra sarà un reperto archeologico non ci sarà più differenza tra una foto pubblicitaria della Coca-Cola, un reportage di guerra e un ritratto” (Oliviero Toscani)[44]. Tutto vero. La fotografia è uno strumento di comunicazione o di poesia capace di contenere-mondi e andare verso la sovranità degli sguardi. La fotografia non è fotografia finché non ci ha bruciato l’anima. Davanti alla fotografia della bellezza e della giustizia, anche l’eternità è senza difesa.

La creatività ereticale e l’immaginario libertario di Oliviero Toscani fuoriescono anche dalla genialità creativa e un po’ stravagante del padre… fotoreporter al Corriere della Sera e Corriere d’Informazione, fondatore della prima agenzia fotografica (Publifoto, 1928)… fotografava delitti, Miss Italia, partite di calcio, giri d’Italia, corse dei cavalli… non erano i soldi che gli interessavano… “non era un padre rompicoglioni, lui si fidava di me” (Oliviero Toscani). A ragione, o forse per una sorta di straordinaria inclinazione a vedere e sapere che niente è dato, tutto è da conoscere e portare fuori dal disinganno… Fedele Toscani lascia a briglia sciolta che l’inquietudine, l’interrogazione o l’inclinazione all’eresia del figlio fiorisca dove vuole e sono le immagini ha cercare udibilità e visione nell’immaginale del ragazzo e poi del fotografo. Nelle mani di Oliviero Toscani, la macchina fotografica, al di là di una lettura approssimativa o superficiale delle sue immagini (anche quelle più celebrate), “canta” la voglia di bellezza e non di rado il dolore dell’ingiustizia. Il linguaggio che ha scelto, quello della comunicazione pubblicitaria, sommerso di padroni/artisti senza talento o vermetti della politica piegati totalmente alle richieste del mercato o dell’ideologia… è contaminato, rovesciato, détournato e ogni immagine o campagna pubblicitaria si trascolora in evento non solo mediatico ma culturale, politico.

Elogio del détournement. L’inciviltà dello spettacolo ottenebra. Debord aveva compreso che là dove non c’è diserzione né rivolta, l’eternità del potere continua a produrre sopravvivenza e morte della soggettività. Le forme moderne di sottomissione incarnano l’ideologia materializzata nel mercimonio e solo la situazione costruita si sottrae alla temporalità dominante. Se ci accostiamo bene al concetto di détournement, ci accorgiamo che non è una citazione ma il suo contrario. Il détournement è la profanazione della citazione, è il “segno” di rovesciamento, spiazzamento, riutilizzazione di elementi espressivi preesistenti, che se lavorati con intelligenza e senso dell’eresia, tornano a nuova luce, a nuova poesia, a nuovi radicali significati. Non si tratta di comprendere la negazione di uno stile ma di elaborare uno stile della negazione.

Il détournement, la deriva o la decomposizione della società dello spettacolo… sono i grimaldelli etici ed estetici con i quali i situazionisti lavorano alla critica della politica, al dissolvimento dell’arte, alla pratica di cambiamento della vita quotidiana. I situazionisti chiedono di vivere secondo i desideri, le passioni, i sogni… dicono che la massa è il gregge del potere e soltanto quando ciascuno sarà signore di sé ogni forma di potere crollerà. L’Utopia è di quelle forti e basta avventurarci nella storia delle utopie per comprendere che ogni uomo può essere il custode di se stesso e il governo migliore è quello che governa di meno o non governa affatto. Motto di spirito: si possono amare soltanto gli esseri che non hanno avuto mai paura dei castelli in rovina. Finché l’uomo è protetto dalla demenza accettata, gli arlecchini di Palazzo passano da un’idea all’altra, da una fede all’altra o da un partito all’altro… senza un filo di decenza per la memoria storica[45].

I soggetti di Toscani ci guardano fieri e noi guardiamo loro un po’ attoniti e abbagliati da tanta aurorale bellezza estetica… sono quello che vediamo e subito dopo esprimono anche altro… più misterioso, alchemico, surreale… come l’accostamento di corpi multietnici, omicidi di mafia, soldati trucidati nelle guerre, persone malate di Aids o barbarie dell’inquinamento globale a l’oggetto della sua comunicazione visiva… Toscani trasforma i suoi soggetti/modelli in narratori e la situazione costruita[46] cade dopo il primo sguardo… i suoi modelli non comunicano solo le cose per le quali sono stati chiamati a interpretare ma hanno anche la capacità di trasmettere, di fare vedere la storia della loro vita.

La fotografia dominante insegna a guardare attraverso la propria ignoranza e la propria paura… i luoghi di marginalizzazione forzata… ghetti, manicomi, carceri, ospedali, campi di concentramento… rappresentano la forma visibile dell’ingiusto e non c’è ragione di fare del sociologismo sinistroide che tutto assolve e tutto abbrutisce nel calco degli interessi di partito… la verità è un aspetto importante della giustizia e non ci può essere verità là dove la giustizia è recisa o calpestata dai lavacri di una società ingiusta. È riprovevole che la storia della fotografia abbia incensato autori che non hanno mai conosciuto la grazia dell’eresia… A parte la fotografia autentica (come quella di Toscani, ma non solo), tutto è menzogna. Le grandi fotografie si fanno sulla soglia della “follia” o dell’amour fou… a memoria di ubriaco non riusciamo ad immaginare un grande fotografo che non abbia un’anima da ribelle, e un politico o un prete, quella da assassino.

Così Oliviero Toscani: “Ci sono certe immagini che mi perseguitano, immagini che ormai non scorderò più, che mi hanno colpito una volta e che fanno parte del mio mondo di visionario. Il Cristo con la corona di spine, le gocce di sangue sulla fronte e un cuore, anche quello insanguinato, in mano. Era raffigurato in un quadro appeso in camera da letto nella casa dove passavo l’estate subito dopo la guerra, a Clusone, in provincia di Bergamo. Una classica camera di contadini, con il letto alto di metallo, i comodini, e questo quadro, che mi catturava con forza ipnotica. Lo guardavo a lungo, mi ricordo i particolari, il fondo scuro, la tunica di tela che copriva il corpo di questo Cristo triste ma in qualche familiare. Di giorno vedevo tagliare il collo all’oca con l’ascia, oppure squartare il maiale, spellare i conigli. La sera, mi fermavo a guardare questo cuore con una croce piantata dentro, mi interrogavo su quella corona di spine dalla quale stillavano gocce rosse di sangue. Più grande, mi colpì un’altra immagine legata all’iconografia sacra: una madonna con l’aureola e il manto azzurro, un po’ discinta però, seduta su un letto disfatto, mentre fuma e legge Annabella. Era nel film Nostra Signora dei Turchi (1968) di Carmelo Bene. E poi una cartolina di mia sorella Marmorizza: una piazza d’Italia di De Chirico, un treno che attraversa una piazza con una statua nel mezzo. Allora avrò avuto nove anni. Penso che fu il mio primo disorientamento di fronte alla raffigurazione di una realtà che oltrepassava il reale. Il reale-reale diremmo oggi, arrivò poco dopo con un’altra immagine che non dimenticherò: il Super Costellation Milano-Parigi delle Linee aeree italiane precipitato vicino a Milano. Andai con mio padre sul luogo del disastro. Corpi senza vita, oggetti, valigie.

Tra le fotografie non posso dimenticare un libro di William Klein su New York, ma soprattutto il ritratto di un muratore, un ragazzo che porta sulle spalle una pila di mattoni, accumulati simmetricamente. Lui guarda l’obiettivo di August Sander e non si capisce se i mattoni pesino oppure no, se sopporti la sua condizione con fatica o se invece l’affronti con leggerezza. Da come porta quei mattoni si capisce che serviranno per una costruzione equilibrata, con una bella forma, un’architettura affascinante.

Mi è sempre piaciuto molto Sander, con i suoi ritratti di gente comune, fotografata in una pausa del loro mestiere quotidiano. Foto così limpide da spaventare il regime nazista, che le intuì sovversive e diede ordine di distruggere l’archivio. Ancora: il film di Georges Méliès, Le voyage dans la lune (1902), Jour de fête (1949) di Jacques Tati e I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio; New York vista dall’elicottero nel 1962, un vero shock. E l’immagine del mare, la prima volta che lo vidi a sette anni. Mio padre che, guidando verso Genova per andare a fotografare il varo della Leonardo da Vinci, mi dice: «Oliviero, voltati, guarda, laggiù c’è il mare»”[47].

In questo sentito racconto di Toscani sulla sua infanzia e giovinezza, c’è già tutto l’artista che sarà… è da questo immaginario che Toscani manifesta la propria avversione alla civiltà della barbarie e lo trasporta in fotografia. Il détournement per la scoperta della bellezza, dello stupore, della meraviglia della sua infanzia interminabile gli permette di elaborare una fotografia di forte presa del reale, forse, anche, di fondare una sorta di linguaggio per immagini che attraversa ogni fare, dire, percepire, sentire la coscienza di un dovuto che diventa storia.

Il linguaggio fotografico di Toscani, non importa se parte dalle campagne pubblicitarie di grandi aziende, esprime una genesi della fabbricazione e ricezione dell’immagine fotografica che è anomala, quasi un idioletto… Toscani sa che il fotografato si definisce in rapporto all’istituzione che lo autorizza e lo disperde lungo i crinali dell’accondiscendenza… tuttavia, e ogni volta, l’oggetto della sua fotografia esorta a disertare o a riconoscere le inclinazioni totalitarie di ogni ordine… alla miseria della politica utilitaristica contrappone la politica della bellezza come morale in lotta e da ribelle dell’edonismo, del ludico, del libertino senza confini, figura l’eccellenza della sua poetica e deride i modelli seriali che illustrano la domesticazione sociale. L’organizzazione della benevolenza anticipa la miseria dei popoli.

Il genio collerico di Toscani è contagioso… suppone l’abolizione della stupidità generalizzata e il reincanto del mondo. Un altro filosofo dell’eresia ha scritto: “Non più servire il capitale, ma metterlo a disposizione degli uomini. Il trionfo del capitalismo ha firmato la condanna a morte del politico e della politica a vantaggio di un puro e semplice elogio della tecnica di amministrare gli uomini come fossero beni. L’uso libertario dell’economia permetterebbe il ritorno del politico e dei titoli nobiliare, che non avrebbe mai dovuto abbandonare quest’arte della vita in comune diventata, dopo la rivoluzione industriale, la scienza dell’assoggettamento degli schiavi al padrone” (Michel Onfray)[48]. Tutto vero. Dove il primato della merce sull’uomo ha ricevuto il consenso, lì i meccanismi della predazione hanno inferto agli uomini mutazioni morfologiche, di adattamento, soggezione ai dettati dell’economia imposta… là dove i padri della chiesa dettavano legge e scorticavano gli eretici, ora comandano i finanzieri e i politici… la medesima razza di saprofiti che al minimo segno di insubordinazione delle piazze, ricorrono all’uso delle armi.

La critica fotografica/libertaria della modernità che fuoriesce dalle immagini di Toscani ribalta le prospettive ordinarie della comunicazione fotografica, deterge l’economico e il politico e pone la creatività al servizio dell’etica… fa primeggiare l’idea nella forma e conduce il messaggio in altri ambiti della ricezione… esorta a riflettere sull’onnipotenza del corpo politico sul corpo sociale e scardina i meccanismi atti a sottomettere l’individuo nei casellari della zoologia economica… è più d’accordo con Bakunin che con Marx, sopra ogni cosa è la poesia dannata di Rimbaud che architetta e dissemina nell’insieme della sua opera l’uso liberatorio e libertario proprio alla filosofia di Lefebvre, Deleuze, Guattari, Lyotard, Debord, Vaneigem… senza mai dimenticare l’insegnamento agnostico di Nietzsche: “Non vogliate nulla al di sopra della vostra capacità: vi è una falsità perversa presso coloro che vogliono al di sopra della loro capacità. Specialmente quando vogliono cose grandi! Giacché essi detestano diffidenza verso le grandi cose, questi falsari e commedianti raffinati!: finché si trovano falsi davanti a se stessi, questi occhi torti, questi vermi imbiancati, ammantati di parole forti, di virtù da parata, di opere false e luccicanti. Siate prudenti a questo riguardo, uomini superiori! Nulla, infatti, secondo me, è più prezioso e più raro dell’onestà, oggi”[49].

L’onesta intellettuale di Toscani è innegabile… anche quelli che non comprendono il suo fare-fotografia, intendiamo le cordate accademiche, gli specialisti, i galleristi impaludati nell’imbroglio del brutto fantasmato come arte museale, restano atterriti di fronte agli interrogativi che le immagini di Toscani sviscerano in tutta la loro potenza strutturale… la forza veridica che si portano dentro è un canto alla verità messa in relazione all’indipendenza vitale dell’artista. L’essenza del valore di ogni forma comunicativa è data solo nell’identità di ribellione che contiene. Lo scoramento sopravviene quando si è incapaci di leggere in ogni opera d’arte, l’invalidamento di tutti i poteri. Le teste degli stolti, come quelle dei re o dei tiranni, cadono in un giro di danza. Occorre una grande dose di sensibilità per fronteggiare l’ignoranza colta. “L’ottimismo, come è noto, è una mania degli agonizzanti” (E.M. Cioran)[50] e conduce al reparto degli incurabili.

L’immaginale fotografico di Toscani non è facilmente classificabile… non è iconografia cartellonistica né fotografia concettuale… è qualcosa d’altro che appartiene più alla sfera della conoscenza, della verità e quindi della libertà, che intreccia bellezza e giustizia e – al di là del male e del bene – va a decodificare ingiustizie e disvalori che legittimano il disfacimento del mondo. Non è poca cosa per chi usa la fotografia in ambiti professionali volti alla diffusione di un prodotto… a vedere bene e fino in fondo, il suo gesto fotografico si oppone al silenzio universale, al disgusto, alla nausea, financo all’umiliazione di quanti restano imbrigliati nei “consigli per gli acquisti” e fa del buon uso dell’indignazione un risentimento dell’anima, il  rifiuto di regalare la bellezza convulsiva a un servo e donarla a un genio (sovente incompreso) o a chi esercita la propria sovranità nella vita quotidiana.

La fotografia civile di Toscani, l’abbiamo detto, travalica la richiesta commerciale dalla quale parte e s’infila nelle pieghe dell’esistente sfidando tutti i principi di autorità… sa che il fucile, l’aspersorio e i dividendi delle banche sono sempre complici di tutte le vigliaccate storiche e le sue immagini (non importa i suoi “attori” si siedono su divani, indossano maglioni o blue jeans) vanno oltre lo strumento di comunicazione contingente per diventare un’occasione di edificazione e promessa di felicità altra, tutta da conquistare.  È una fotografia costruita sul rispetto – e tutto ciò che questo implica – degli uomini, un elogio della differenza come forma visibile della giustizia… la sofferenza, il disagio la violenza subiti dai suoi ritrattati, si trascolorano in reciprocità, equità, eguaglianza e mostrano che la persona giusta è quella che si comporta bene nei confronti del diverso da sé… è un rimando a un’etica dei padri che si richiamavano a una vita piena di valore, a un’esistenza felice o riuscita dove ciascuno sa che il giusto è anche il buono e questo e solo questo segna il valore di un uomo.

L’immaginale della ribellione (anche) fotografica di Toscani non dimentica infatti i dannati, i reprobi, i “quasi adatti”, i diversi… affila lo sguardo in afflati disadorni e mostra che servitù e destino significano la medesima cosa… la potenza visiva delle sue fotografie, il modo di essere, il carattere affascinante del poeta senza bavagli, lo pongono in alterità al mondo nel quale vive e si discosta (alla maniera di un carbonaro d’altri tempi), quando non è il discredito (specie della sinistra) che lo allontana quasi fosse un lebbroso che contamina le certezze, tutte false, della loro miseria politica. A sfogliare le sue icone (pubblicitarie, televisive, libri, docufilm) e andare oltre il marchio di fabbrica (l’ironia è di quelle fini, lapidaria, dissacratoria, eversiva) si scorge una geografia dell’uguaglianza, dell’equità, della fraternità che porta alle canzoni di gesta di un ’68 mai finito… il risentimento di Sartre[51], l’uomo in rivolta di Camus[52] o la sovversione ereticale di Debord[53] debordano fuori dal suo atlante fotografico e vanno a minare (come dinamite, Nietzsche, diceva) un’epoca dell’apparenza, per renderla più disperatamente umana.

Per non dimenticare. La festa planetaria del Maggio 1968 (vissuta dal fotografo nel pieno dei suoi rivolgimenti) ha fatto della cultura radicale un utensile etico/estetico con il quale dare l’assalto al cielo protetto da tutti i regimi e, più di ogni cosa, promosso un pensiero libertario che chiedeva la fine delle costrizioni, la liberazione  e il superamento delle sottomissioni, il godimento dell’esistente al posto dell’obbedienza, il piacere di una generazione ludica che incrinava i rapporti padroni-servi… lo spirito del Maggio, certo, è stato sconfitto ma non è mai morto… invocava la società libera di Fourier e non la nomenclatura politica di Marx… solo una minoranza si affastellava alla mistica di sinistra o all’operaismo inquadrato… i ragazzi del ’68 riversavano nelle strade della terra i giochi dell’edonismo buono, le passioni di una surrealtà senza bastoni, la fine di una vita quotidiana relegata alla genuflessione… sapevano che le camicie nere, i manganelli, l’olio di ricino stavano negli armadi del potere, sempre pronti a rientrare in servizio. Come dimostrano le Stragi di Stato, i terrorismi pilotati dai servizi segreti e la carcerazione o l’uccisione di ragazzi che aveva impugnato la pistola (sbagliando, forse)[54] per raggiungere una vita più giusta  e più umana per tutti. C’è da dire che in quell’anno di grazia del ’68 anche i vini e le marmellate vennero più buoni, e dopo niente sarà più come prima.

La cartografia fotografica di Toscani, sotto ogni taglio, costruttivo/ricettivo, si allarga a una realtà dove la vita e il principio del piacere, personale e collettivo, destinano l’umanesimo ai diritti dell’uomo e inceppano le macchine desideranti della schizofrenia capitalista dove “la ragione è sempre uno spazio ritagliato dall’irrazionale, mai definitivamente al riparo dell’irrazionale, ma attraversato da esso, e definito soltanto da determinati rapporti tra fattori irrazionali. Sotto ogni azione cova il delirio, la deriva. Tutto è razionale nel capitalismo, tranne che il capitale o il capitalismo stesso”[55]. Il rizomario fotografico di Toscani deterge la proliferazione delle coscienze sporche e l’infeudamento dei soggetti/clienti che riproducono i sentimenti ri/produttivi del libero mercato, responsabili dell’iniquità, della miseria, dell’impoverimento dei popoli che perdureranno finché la violenza dell’economia politica non sarà fermata (con tutti i mezzi necessari).

L’umanesimo, va detto, presuppone la cancellazione della politica dei partiti, la scomparsa delle democrazia dello spettacolo e dei regimi comunisti a vantaggio di comunità che partecipano direttamente alla cosa pubblica… smantellando le antiche ragioni di dipendenza, fatalità, destino costruiti dai poteri forti a ragione della loro rapacità… ogni libertà vuole eternità e là dove l’innocenza del divenire si fa storia, le idee di amore e libertà tra le genti resuscitano la vita e devitalizzano tutte le proibizioni… si tratta di far cadere i totem e i tabù che per secoli hanno comandato sulle lacrime e passare dalla sovranità sottomessa alla sovranità liberata. Ci hanno provato Proudhon, Kropotkin, Relcus, Bakunin o la Rivoluzione sociale di Spagna del ’36, i protagonisti a viso scoperto del ’68… hanno cercato di mettere fine al grande  banchetto dell’espropriazione e alle catene della violenza statuale, i loro tentativi di rovesciare l’odio in amore verso una società di liberi e uguali non è stato compiuto, tuttavia i passaggi dalla resistenza sociale all’insubordinazione generazionale che hanno lasciato in sorte non sono mai andati perduti… le nuove generazioni avanzano ai quattro angoli della terra e con il valore d’uso di tutti i dispositivi tecnologici (la democrazia della Rete, anche) del nuovo millennio si affacciano a novelle lotte sociali e chiedono a muso duro un diverso modo di abitare il mondo.

* Pino Bertelli, Maledetto Toscani, Cine Sud, 2021.

[Continua…]

[27] http://www.lastampa.it/
[28] http://www.vita.it//
[29] E.M. Cioran, Squartamento, Adelphi, 1981.
[30] Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, 1981.
[31] Lorenzo Milani (e la scuola di Barbiana), Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967
[32] Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, Chiarelettere, 2011.
[33] Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, Castelvecchi, 2008.
[34] Marco Belpoliti, La foto di Moro, Nottetempo, 2008.
[35] Luigi Zoja, Giustizia e bellezza, Bollati Boringhieri, 2007.
[36] Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, 1981.
[37] James Hillman, La politica della bellezza,  Moretti & Vitali, 1999.
[38] Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici,  Castelvecchi, 2008.
[39] Stéphane Hessel, Indignatevi!, Add, 2010.
[40] Pino Bertelli, Insorgiamo!, Massari editore, 2001.
[41] Noam Chomsky, Siamo il 99%, 2012.
[42] Oliviero Toscani, Ciao mamma, Mondadori, 1995.
[43] James Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, 1997.
[44] Oliviero Toscani, Ciao mamma, Mondadori, 1995.
[45] Pino Bertelli, Guy Debord. Dal superamento dell’arte alla Realizzazione della filosofia, a cura di Antonio Gasbarrini, Angelus Novus Edizioni – Massari Editore, 2008.
[46] Pino Bertelli, Guy Debord. Dal superamento dell’arte alla Realizzazione della filosofia, a cura di Antonio Gasbarrini, Angelus Novus Edizioni – Massari Editore, 2008. Qui abbiamo scritto: “La gioia sovversiva dell’Internazionale Situazionista fiorisce intatta dalla costruzione delle situazioni teorizzate da Guy Debord e nella pratica della negazione situazionista c’è il rifiuto al cianuro della società affluente. La sovversione non sospetta di ogni rivolta inizia là dove si denuda la prospettiva del profitto e si passa al sabotaggio delle idee dominanti. Si tratta di farsi beffa dei discorsi della politica e dei proclami di agitatori senza bava alla bocca… la storia della civilizzazione non è che la storia delle merci che l’hanno marchiata a sangue. Spesso si è creduto di lottare per la giustizia, l’eguaglianza, la libertà, l’amore… ci siamo poi accorti che eravamo parte del disegno economico e dell’impostura politica che erano al fondo di nuove forme di potere”.
[47] Oliviero Toscani, Ciao mamma, Mondadori, 1995.
[48] Michel Onfray, La politica del ribelle. Trattato di resistenza e insubordinazione, Fazi Editore, 2008.
[49] Friedrich W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, 1986.
[50] E. Cioran, Anatemi e confessioni, Adelphi, 2007.
[51] Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla. La condizione umana secondo l’esistenzialismo, Il Saggiatore, 2008.
[52] Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, 1981.
[53] Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979.
[54] Renato Curcio, Mario Scjaloia, A viso aperto, Mondadori, 1995; Progetto memoria. La mappa  ritrovata, Sensibili alle foglie, 1994; Progetto Memoria. Sguardi ritrovati, Sensibili alle foglie, 1995.
[55] Gilles Deleuze, Felix Guattari, Macchine desideranti. Su capitalismo e schizofrenia, Ombre Corte, 2012.

 

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