Steve Mc Curry in Calabria, sull’Aspromonte a fotografare le devastazioni degli incendi che ci hanno colpito in questa estate infinita 2021. Un altro straniero che viene a batter cassa sulle nostre disgrazie, senza neanche capire ciò che fotografa e perché. Per farlo, per capire, dovrebbe fermarsi qui qualche anno e non fare una toccata e fuga come se andasse a fotografare sul set di una pubblicità e per una rivista di moda.
Purtroppo sarà sempre così, fino a quando il nome del fotografo sarà più importante delle fotografie stesse. Fino a quando l’obiettivo non sarà solo denunciare, raccontare, capire e decidere da che parte schierarsi, fino quando si racconta una storia come questa dell’Aspromonte che brucia, solo per fare profitto. Fino a che sarà così avremo sempre mezze verità, mezze denunce, e poche possibilità che le foto servano a risolvere il problema raccontandolo.
Non posso non pensare a quando fare giornalismo era un po’ diverso, non posso non pensare con nostalgia ai tempi in cui ogni redazione di ogni città, provincia, regione aveva nel proprio organico la figura del fotografo, che si trattasse di quotidiani, settimanali o riviste di settori specifici. Il fotografo era una persona della zona, faceva parte del territorio in cui operava, come il giornalista che scriveva, conosceva i posti le persone e tutto il micro mondo che si aggira in una comunità, e riusciva così a raccontarla in modo veritiero. Oggi invece spesso si adattano le immagini ai testi o viceversa in base ai propri bisogni, in modo distaccato senza complicità tra chi racconta con le parole e chi lo fa attraverso le immagini.
National Geographic che pare abbia ingaggiato Mc Curry per le foto in Aspromonte farà sicuramente un boom di vendite, ma non saranno vendite legate al racconto di cosa è successo in Aspromonte, ma vendite legate a Steve Mc Curry che ha scattato le foto. La notizia è questa, non come o perché la Calabria brucia, la notizia non è chi si arricchisce e chi si impoverisce a causa dei roghi.
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