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Lisetta Carmi – La luce e la grazia della fotografia autentica

di Pino Bertelli

“Sono sempre stata dalla parte di chi soffre, dalla parte di chi lotta, di chi il potere lo subisce: di coloro che hanno meno la possibilità di decidere del proprio destino. Non è stata una scelta, ma un‘inclinazione; forse perché, nella mia coscienza, c’è questo retaggio antichissimo di persecuzione”.

Lisetta Carmi

I. Sulla luce e la grazia della fotografia autentica

La verità della fotografia sociale è una traccia, un segno, un sogno in grado di trascolorare una vita falsa in una vita autentica. La terra di miseria della fotografia italiana, specialmente… è un confortorio dell’inautentico, del falso, del ciarlatano… a che giova infatti all’uomo guadagnare i favori, i consensi, i successi del mondo intero, se poi perde la propria dignità e la propria anima… Charles Baudelaire, l’immortale cantore de I fiori del male, aveva compreso tutto quando in Lo Spleen di Parigi diceva: “Non importa dove! Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!”(1). Il dandy maledetto, nauseato dalla ferocia della politica, il bigottismo della religione, la violenza dell’esercito, le ipocrisie della famiglia, i saperi prostituiti alle gogne del successo… intreccia un linguaggio poetico che — come una fotografia del profondo — rifletteva una realtà incancellabile… le sue parole-immagini afferravano l’inafferrabile e trasformavano l’incultura e la cupidigia della modernità in un’emozione più vera e più tragica.

Le immagini delle Drag Queens di Genova fatte da Lisetta Carmi tra il 1965 e il 1971, come i poemi in prosa di Baudelaire (scritti tra il 1855 e il 1864), si elevano sopra l’industria dell’intrattenimento e del consenso generalizzato… sono un canto di bellezza della diversità e con la luce e la grazia della fotografia di strada esprimono la visione corale di un mondo maleamato o respinto… c’è malinconia, dolcezza, accoglienza nelle fotografie della Carmi e come nei “ritratti parigini” scritti di Baudelaire, c’è passione per la libertà, l’amore, la scoperta della vita vera… che è l’interpretazione onesta della realtà. Le fotografie amorose della Carmi figurano una soggettività radicale che avvolge i ritrattati in un’aura regale, senza cerimoniali né buffoni di corte… ciascuno è il centro del proprio esistere ed è in relazione di prossimità con chiunque voglia vedere e conoscere cosa c’è al di là o al fondo della civiltà incrinata nello spettacolo. Le immagini della Carmi, come i poemi irriverenti di Baudelaire, respingono la crocifissione del genio, il coraggio dell’eroe e la stupidità del santo, si richiamano invece a un’arte sensuale del piacere che colma una mancanza, quella dell’amore dell’uomo per l’uomo… sono graffi sulla facciata nauseante della storia imposta che tendono all’epifania di una sovranità poco praticata, sconosciuta o inedita nella fotografia sociale, quanto nella vita corrente. L’audacia di una parola visionaria o di un’immagine autentica, possono davvero rompere i confini improvvisati dell’universo mercantile… il terrore s’impone, il dolore si spiega da sé ed esprime un giudizio d’assassini.

La luce e la grazia della fotografia autentica sono al fondo della poetica della diversità, che è quella di figurare i rapporti fra le cose o rompere i simulacri dell’ordine costituito. La fotografia come differenza, identità o divergenza, non vuole dimostrare nulla ma indicare qualcosa da disvelare o da abbattere… l’immagine così presa mette servi e padroni sul medesimo piano e nella situazione costruita dà fuoco all’immaginazione. Quando fotografiamo ci rivolgiamo al già fotografato e andiamo a tracciare/figurare ciò che è ancora da fotografare o da incendiare. La creatività (non solo) della fotografia radicale o della differenza, è l’unica occasione per compiere un gesto veramente libero: il superamento dell’arte nella pratica della comunità a venire che deborda dalla rivolta politica.

Una politica libertaria dell’immagine segna un cammino, una rottura, un sogno, il volto/canto di una sinistra che non ha tradito… lavora in opposizione alla tirannia del mercato dei segni e smaschera i falsi idoli delle democrazie autoritarie… si affranca a milioni di persone espulse dalle logiche consolatorie o violente del potere. Volti, corpi, gesti… “mai rappresentati, mai ricordati, eliminati continuamente, invisibili al mondo della cultura, della politica, della letteratura, della televisione, dei media, della pubblicità, del cinema, dei reportage, dell’università, dell’editoria, sottratti alla visibilità, questi rifiuti della società sono la prova che il sistema funziona bene e a pieno regime, e gli oligarchi non vogliono che se ne evochi l’esistenza” (Michel Onfray)(2). Il pensiero dominante si riproduce sul pensiero spettacolarizzato dei dominati e parlamenti, partiti, sindacati, scuole, polizia… sono i plinti portanti dell’oligarchia dello spettacolo che fa della religione consumistica la tomba di tutte le libertà, impedendo la realizzazione di tutte le utopie.

La luce e la grazia della fotografia della differenza si butta l’eternità dietro le spalle e i cimiteri delle buone intenzioni li lascia ai frequentatori di musei, gallerie, galere dei mercati internazionali del nulla… i miti passano di bocca in bocca, di libro in libro, di repressione in repressione… senza (quasi) mai essere deposti o infranti senza mezzi termini… non si tratta di bruciare le sacre scritture e i loro profeti bugiardi (anche se ne avremmo fortemente l’inclinazione e il desiderio), si tratta di partecipare alla costruzione di un’identità che è interazione tra uomo e mondo anche con la fotocamera… fotografare significa rendere visibile la propria e l’altrui esistenza, quando nulla è dato e tutto resta da costruire. La fotografia della differenza lavora a una controstoria dell’immagine mercantile e si accorda al romanzo autobiografico che l’accompagna… la luce e la grazia di questa scrittura fotografica del margine (ma non marginale) implica la fine di un modello e dissemina le difficoltà e le maniere dell’evento e dell’avvento di un altro universo possibile.

Le Drag Queens fotografate da Lisetta Carmi sono un esempio di poetica della bellezza che si oppone alla fabbricazione della diversità patinata incensata dalla cultura fotografica italiana. Dio e lo Stato sono la risposta a tutto e la simbologia del peccato è in accordo con l’apparizione delle forche… gli eretici vanno eliminati… campi di sterminio, gulag, manicomi, prigioni, centri commerciali, mass-media, parlamenti, elettori… sono l’uscita di sicurezza del genocidio organizzato… la libertà viene decapitata ovunque e l’uomo resta in silenzio a guardare il video della propria caduta. Ogni istante di rivolta autentica contribuisce al divenire della bellezza dell’umanità. La creatività libertaria costituisce un primo passo verso una rivoluzione sociale degna di questo nome. L’impero delle nullità spettacolari dei partiti o del riflesso delle mitologie sul buon governo è destinato a franare perché non c’è godimento reale né coscienza di sé, e quando il piacere non è autenticato nell’immaginale (la verità dell’essere come differenza o rottura dell’impostura codificata), non è che rovina dell’anima.

II. La bellezza delle Drag Queens di Lisetta Carmi

Solo nella fotografia autentica la verità risplende e fiammeggia l’eresia della propria bellezza. Dinanzi a una fotografia autentica ci comportiamo sovente in modo incomprensibile. Ubriacati dalla sua bellezza, conquistati dal suo stupore e senso della meraviglia, le tagliamo la gola nella dimenticanza… non c’è bellezza né autenticità se non al prezzo di una rivolta. I fotografi esuberanti e in fregola di arrivare in alto, alla televisione, al successo, al riconoscimento museale o galleristico… dovrebbero conoscere il sorriso dell’assassino che recide (con entusiasmo) la loro carriera… la fotografia, tutta la fotografia che corre, non esige né talento né temperamento, vuole solo maestri imbecilli e discepoli mediocri… come è noto, gli imbecilli colti e i discepoli edonisti non possiedono né talento né temperamento, tuttavia sono loro, incidentalmente, a far parte attiva dell’idolatria del potere che trionfa nello spettacolo immondo che dà di sé… e pensare che osando attentare all’inviolabilità (al mistero o alla pagliacciata) del potere, l’ordine dello spettacolo crolla.

Lisetta Carmi è una fotografa della diversità e la luce e la grazia delle sue fotografie sulle Drag Queens di Genova le hanno permesso di mostrare un “mondo nascosto”, ghettizzato o respinto… quello dei travestiti (che sovente sono oggetto d’amore a pagamento per padri di famiglia, timorati di Dio e dello Stato)… dalla lettura di queste immagini nessuno esce mai come prima… la quotidianità dei travestiti presa nei caruggi di Genova tra gli anni sessanta e settanta contiene uno spessore autoriale e la magia complice che all’epoca della pubblicazione del libro (I travestiti, 1972)(3) incrinò il perbenismo ipocrita dell’intera fotografia italiana. I travestiti della Carmi vivevano tra via del Campo e piazza Fossatello, nel ghetto degli ebrei. Lei li frequenta, conosce la loro sensibilità, l’emarginazione, la sofferenza… per la loro “fragilità” dispersa sotto i cieli di ogni notte, spesso sono violentati, incarcerati, uccisi… la fotografa è nel pieno della vita e si affranca al loro antico dolore… riscopre la gioia di essere donna e ribellarsi alla gerarchia dei ruoli che la società dominante imprimeva sui destini delle donne.

La Carmi nasce in una famiglia bene genovese nel 1924… il padre è assicuratore, la madre insegnante, ha due fratelli, Marcello ed Eugenio (pittore di un certo rilievo nella corrente dall’Astrattismo). Sotto il fascismo viene espulsa dalle scuole italiane perché è ebrea, ha 14 anni. La famiglia ripara in Svizzera.

Lei resta in Italia, si affranca alla guerra partigiana: “…decisi, però, di restare affiancando la Resistenza; la mia famiglia ne fu sgomenta capendo quanto fosse pericolosa la mia scelta che minava anche il ricongiungimento familiare… Rinuncia per loro; avevo circa diciotto anni…” (Lisetta Carmi).

Coltiva la passione per il pianoforte e studia sotto la guida del maestro Alfredo They. Tiene concerti in tutta Europa fino al 1960, poi lascia la musica e impugna la macchina fotografica. Nel corso di un viaggio in Puglia con Leo Levi (etnomusicologo), con un’Agfa Silette scatta le prime (straordinarie) fotografie. Negli anni sessanta va a vivere nelle Crêuze de mä (mulattiere di mare) del porto di Genova, dove la gente impara a vivere come a morire. Scende in piazza a fianco dei “ragazzi con le magliette a strisce” che manifestavano il loro dissenso contro la celere, la legge Tambroni e i rigurgiti del fascismo. Fa un reportage per il teatro Duse di Genova, documenta la vita dei portuali, fotografa i monumenti e le sculture del cimitero di Staglieno… è una ragazza irrequieta, viaggia nel mondo (Francia, Israele, Venezuela, Colombia, Afghanistan, India, Pakistan…), si butta nella deriva fotografica della differenza poi abbandona anche questa… nel 1976 conosce un guru indiano (Babaji Mahavatar dell’Himalaya) e insieme creano un centro spirituale (un Ashram “per la trasformazione delle persone e la purificazione delle loro menti, per la meditazione e il karma yoga”) a Cisternino, in Puglia… per venti anni vive in un trullo, poi si trova una casa più adeguata alla sua magnifica età nel cuore del paese, ha solo 84 splendidi anni. Da 1965 al 1971 la Carmi si avvicina con grazia ai travestiti di Genova… li conosce bene, sfoglia i loro giorni, li fotografa, a suo modo li ama… condivide a fondo la loro esistenza. Il libro, I travestiti, lo pubblica una piccola casa editrice, Essedi, nel 1972 (a cura di Sergio Donatella, testi di Lisetta Carmi e Elvio Fachinelli), che desta scandalo… molti librai lo rifiutano e anche l’editore lo disconosce. La critica italiana (come sappiamo servizievole e prona a ogni potere) non è tra le più attente e lo ignora. I nudi aperti, i volti alteri, i corpi donati… sono incompresi e tacciati di bassa pornografia. Le mille copie restano invendute per molti anni. Sarà un’amica della fotografa, Barbara Alberti, a raccogliere i volumi e regalarli agli amici. Oggi è un libro/manifesto della cultura gay e da molti storici, critici, antropologi dell’immagine fotografica è ritenuto (giustamente) un capolavoro della fotografia italiana.

Nel quartiere delle “graziose” a Genova, la Carmi entra in intimità fotografica con i travestiti… con Morena, la Gitana, l’Elena… le immagini sono di una bellezza unica e restituiscono dignità a una “popolazione invisibile”… i ritrattati sono presi nelle loro case, vicoli, piazze… e la catenaria fotografica li mostra senza l’inviolabilità del mistero che li avvolge e li condanna come uomini travestiti, come donne mascherate o come puttane… si comprende bene che le fotografie della Carmi sopprimono l’istantanea e vanno oltre la posa… esprimono un momento storico e un processo egualitario dove non sono contemplati né vittime né innocenti. Le Drag Queens della Carmi figurano una vitalità materica, un’estetica dei corpi in amore liberati in una situazione ludica, erotica, libertaria che conduce a un diverso discorso amoroso dove nessuno può acconsentire al godimento dell’altro se esso non passa attraverso la condivisione, l’accoglienza e il sentire di un’epoca nella quale l’utopia della differenza accettata si manifesta. Le mostre, i libri, gli scritti di Lisetta Carmi hanno una qualche risonanza nella radura incolta della fotografia italiana e anche i ciechi e i sordomuti della critica salottiera si sono accorti con trent’anni di ritardo che l’opera fotografica della Carmi è di una rilevanza culturale destinata a restare nell’immaginario della fotografia d’impegno civile. La sua fotografia si racconta come contraddizione o estetica della differenza, ma rispettare e comprendere la contraddizione sotto ogni forma nella quale si presenta, consente a ciascuno l’esercizio della libertà ed è il modo migliore di rispettare la vita propria e dell’altro. Daniele Segre, acuto regista di realtà sociali, le dedica un documentario di rara intensità poetica, Lisetta Carmi, un’anima in cammino (2009). Il ritratto che ne esce è quello di una signora della fotografia, di un’aristocratica del pensiero libertario che nella qualità etica ed estetica della sua scrittura fotografica, afferma che la vita è tanto più umana, quanto più è libera.

Tra i lavori della Carmi ci piace ricordare il libro fotografico L’ombra di un poeta. Incontro con Ezra Pound (2005, dodici scatti fatti nel 1966)(4), un gigante della poesia, discutibile per le sue scelte politiche e adesione ai regimi totalitari (per i quali si spende anche in orazioni radiofoniche) e Acque di Sicilia(5) con la pregevole prefazione di Leonardo Sciascia (1977), che scrive: “La fotografia — quando è fotografia: perché anche la fotografia, oggi, può essere altro; cioè può negarsi come fotografia e aspirare al nulla — si crede sia (e effettivamente è) la rappresentazione più oggettiva possibile della realtà, delle cose come sono. Ma senza venire meno alla sua natura e al suo assioma, la fotografia — un insieme di fotografie — può parlare di poesia — e cioè mito, memoria, sentimento — invece che prosa — e cioè ragione, storia, condizione umana.

Queste fotografie delle acque siciliane — una per una verissime, realissime, scattate qui ed ora — nell’insieme sono da disporre sulla mappa immaginaria che abbiamo tentato di tracciare: Anch’esse mito, memoria, poesia”. I luoghi, i volti delle donne, dei giovani siciliani sono austeri, spogli, assomigliano a guerrieri feriti a morte, battuti, mai vinti. Le immagini della Carmi restituiscono loro la scorza della Storia e li proiettano in stagioni dell’esistenza maltrattata dall’incuria del potere. Non c’è retorica né abbandono alla miseria da cartolina illustrata in questa ritrattistica del dolore… c’è invece una metafisica della rottura, una grandezza plastica che presuppone ingannati e, per assenza, ingannatori. Il sogno conta più del reale, la finzione più della materialità. La passione dolorosa dell’esistere fuori dal culto dei governanti si configura negli sguardi tesi contro l’arte della giustificazione e ciò che risplende in queste immagini è un agire comunicativo che distrugge l’inessenziale e s’invola nella politicizzazione dell’arte di vedere. L’incontro fotografico con Ezra Pound (i testi sono di Tomaso Kemeny, Uliano Lucas e Luciano Eletti) restituisce il poeta alla storia dell’umano… la Carmi non giudica Pound per il suo passato “politico” né lo innalza al cielo straordinario della sua poesia… lo cattura nella sua dimensione di uomo, di essere fragile e al contempo coriaceo, segnato da un principio di speranza che riluce di un fascino leonino singolare… la nudità dello spirito di Pound è palese e non chiede compenso per l’avvenire… amare la verità che cade di fronte alla fotocamera significa accettare anche il diverso da sé e la Carmi, come pochi, riesce a cogliere sulla faccia del poeta le proprie lacera- zioni e i propri abissi. “Ogni individuo, come ogni epoca, possiede una realtà solo grazie alle proprie esagerazioni, alla propria capacità di sopravvalutare i propri dèi (E.M. Cioran)(6). Nel 1996 le viene assegnato il premio Niepce Europeo per il lavoro che aveva fatto su Ezra Pound. Non è mai troppo tardi per comprendere che per certi poeti dell’anima in volo ciò che è diritto, per altri è un invito alla segregazione o all’assassinio. Ancora. A Lisetta Carmi… per amore, solo per amore di lei e della fotografia dell’immaginario dal vero (Henri Cartier-Bresson) che ha disperso in ogni regione del cuore… solo la passione è in grado di comprendere la passione, perché la passione contiene la visione del mondo che conosce e divelte tutti i confini… al principio o alla fine di ogni fotografia autentica c’è sempre il vuoto e l’oscurità che fanno della libertà un bene per tutti. La fotografia autentica è una poetica dello spirito è ha la capacità d’illuminare la vita concreta. La fotografia autentica è un ponte verso l’uomo libero. La fotografia autentica contiene la giustizia, l’amore, la verità e vive per la costruzione di una società planetaria, più giusta e più umana.

Note:

  1. Charles Baudelaire, Lo spleen. Poemetti in prosa, Garzanti, 2004
  2. Michel Onfray, L’arte di gioire. Per un materialismo edonista, Fazi Editore, 2009
  3. Lisetta Carmi, I travestiti, Essedi, 1972
  4. Lisetta Carmi, L’ombra di un poeta. Incontro con Ezra Pound, O Barra O Edizioni, 2005
  5. Lisetta Carmi, Acque di Sicilia, Dalmine, 1977
  6. E.M. Cioran, Confessioni e anatemi, Adelphi, 2007
     

Articolo tratto da “Fotografia ribelle” di Pino Bertelli
Edito NdA press ©2017

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