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L’introspezione sull’umanità nei lavori di Paulo Abreu

di Alessandro Tarantino

Surreale, concettuale e onirica è la fotografia di Paulo Abreu, artista e fotografo 28enne brasiliano che attraverso le sue creazioni visive induce lo spettatore a interrogarsi sull’essenza dell’uomo, sulle relazioni interpersonali e sull’individuo quale entità da calare nel contesto sociale.

I suoi scatti sono quindi un concentrato di emozioni umane inserite in una narrazione astratta e in un’ambientazione generica, non definita. Trovano così spazio sentimenti intimi come la sofferenza e la malinconia, la fragilità e l’angoscia, percezioni che sempre più spesso si tende a nascondere o persino ad ignorare quando si è a contatto con gli altri, ma che trovano furente sfogo nella solitudine del proprio io.

Abreu è ben consapevole del tono generalmente malinconico della sua abilità artistica, e lo sostiene dicendo: «È certamente fatto con intenzione. Mi considero più un individuo malinconico che felice. Temi come la solitudine, le delusioni d’amore e l’angoscia mi attirano sempre». Tuttavia, la malinconia che si trova nel suo lavoro non deve essere confusa con la disperazione assoluta, poiché da nessuna parte segnala una conclusione apocalittica a un viaggio di vita.

Sono quasi delle statue le figure di Abreu, che condividono con noi, però, l’umanità della loro essenza, fatta di vuoto e di pieno, di ferite nascoste dietro i sorrisi: «Mi piace pensare che il mio lavoro sia un modo per me di tradurre le mie riflessioni sui temi dell’esistenza umana, o semplicemente un modo per esprimere i miei sentimenti», spiega in alcune interviste.

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