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Leonello Bertolucci da “The Jazz Loft Project: Photographs and tapes of W. Eugene Smith from 821 Sixth Avenue, 1957-1965 di Sam Stephenson” a “Il Photo editing. Scegliere le immagini nel racconto fotografico”

di Leonello Bertolucci

Mi sorvegliano dallo scaffale, lo so che non dormono. Sono le centinaia di libri fotografici raccolti lungo il mio percorso di passione (in entrambi i sensi, quasi opposti, che questa parola può avere).

Ma non sono tutti figli che si amano in quanto tali, né soldati di un unico esercito a difesa della fotografia.
La maggior parte di loro è ricoperta dalla polvere, mentre un ristretto numero di eletti è quasi consumato dalle mie mani e dai miei occhi. Sono stati selezionati dal tempo, che come sempre decide ciò che davvero coincide tra ciò che siamo, ciò che sappiamo e ciò che vediamo.
Nell’olimpo che quasi per predestinazione si è così creato, svetta un libro che ancora – e ogni volta di più – mi accarezza e mi picchia, mi seduce e mi respinge, apre la porta e me la sbatte in faccia. In tutti i casi mi commuove.

Parlo di The Jazz Loft Project, e riguarda l’inarrivabile W. Eugene Smith. Un libro dallo strano e lungo sottotitolo: Photographs and tapes of W. Eugene Smith from 821 Sixth Avenue, 1957-1965.
Tecnicamente non è nemmeno un vero libro fotografico, piuttosto un racconto con fotografie, un diario, un inventario, un’avventura umana, e l’autore non è il grande fotografo ma Sam Stephenson. Dunque?

Dunque il libro è quanto di più intensamente drammatico e poetico si sia prodotto attorno a Smith, autore che di dramma e poesia ha intriso la sua pratica fotografica.

Gli anni documentati in questo libro sono quelli in cui la vicenda umana e personale di Eugene Smith è allo sbando: nel 1955 si licenzia da Life, dopo l’ennesimo litigio sull’editing dei suoi lavori pubblicati dalla rivista. Lascia la sicurezza economica e si tuffa nel più ambizioso progetto della sua vita, il “ritratto” della città di Pittsburgh.

Come gli accade spesso, il progetto gli prende la mano e lo trascina in una sorta di delirio perfezionistico: le poche settimane preventivate diventano quattro anni, da cui esce stremato, affranto, squattrinato e travolto dalle decine di migliaia di foto prodotte, divenute ingestibili; un progetto di fatto incompiuto. In condizioni psicologiche e fisiche precarie, complicate dalle varie dipendenze a cui ricorre, abbandona nel frattempo moglie e quattro figli rifugiandosi, nel 1957, in un loft fatiscente di New York, una sorta di autoisolamento dove la passione/ossessione per la fotografia resta l’unica bussola nella tempesta.

Passione che, in questo tetro edificio, si salda a un’altra: la musica jazz. Qui infatti si riuniscono nottetempo i grandi del jazz per improvvisate jam session, e Eugene Smith fotografa, ascolta, registra, filma, accumulando quantità abnormi di materiale: non solo 40.000 fotografie, ma anche 4.000 ore di registrazioni su oltre 1.700 bobine. L’edificio e le serate sono frequentati da una fauna notturna variegata fatta di grandi artisti, tossicodipendenti, poliziotti, prostitute.

In tutto questo, arriva l’aspetto che per me è stato sempre il più toccante, la “goccia di splendore” – per dirla con De André – che quel lungo periodo condensa in questo libro: le foto fatte da Smith dalla finestra del suo loft-rifugio-prigione.

Determinato a rinchiudersi ma non a tacitare la sua vocazione di testimone attento ed empatico della vita e delle vite. Sicché, se di notte fotografa il jazz, di giorno punta l’obiettivo verso la strada sottostante, a volte attraverso un vetro rotto, e noi oggi vediamo una bambina che esce da un negozio di fiori, un poliziotto che guarda verso l’alto, le gambe di una donna che esce dalla portiera di un’auto, un tizio che piazza un telescopio sul marciapiede per osservare il cielo, le impronte dei passanti sulla neve fresca, e tanti altri frammenti di un mondo ricco di magia che vive spiato dal suo sguardo. La sua sofferenza sublimata in dolcezza.

In attesa della prossima notte di musica e adrenalina.

Ancora oggi molti romantici, curiosi e appassionati vanno al numero 821 della Sixth Avenue di New York e alzano gli occhi verso quelle finestre, che sono ancora lì.

Leonello Bertolucci

È fotografo e giornalista. Dagli anni ottanta si occupa di reportage per testate e agenzie italiane e internazionali. È consulente e photo editor per diverse redazioni giornalistiche. Scrive di fotografia nel suo blog su Il Fatto Quotidiano e sulla rivista Il Fotografo e ha pubblicato diversi libri, tra cui una raccolta di aforismi sulla fotografia, 55 fotograforismi (Postcart Edizioni).

È docente all’Istituto Italiano di Fotografia, a Bottega Immagine, a Foto Scuola Lecce e ha insegnato al Master in Giornalismo dell’Università di Bologna. Organizza corsi, workshop e letture portfolio. Sue fotografie sono apparse, tra gli altri, su Time, Newsweek, Paris-Match, Stern, Epoca. Attualmente è fotografo contributor per l’agenzia Getty Images.

Con emuse ha pubblicato nel 2020 Il photoediting. Scegliere le immagini nel racconto fotografico.

Fotografie da The Jazz Loft Project: Photographs and tapes of W. Eugene Smith from 821 Sixth Avenue, 1957-1965

leonellobertolucci.it

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