fbpx Skip to content

Leni Riefenstahl (“Era carina come una svastica”, diceva…) – Parte I

di Pino Bertelli

Dal trionfo della volontà in camicia bruna all’apologia del corpo sedotto nell’Africa nera

“Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”.

Heinrich Heine

“L’umanità degli umiliati e offesi non è mai vissuta all’ora della liberazione neppure per un minuto”.

Hannah Arendt

“Un anarchico che si rispetti sta sempre due passi avanti al nemico”.

Dal film, Criminali come noi (2019), di Sebastián Borensztein

1.La bella maledetta in camicia bruna

La macchina/cinema, sin dal suo debutto — diciamo dal 1895 con i fratelli Lumière, ma non è vero, già nel proto-cinema di Thomas Edison tra il 1891 e il 1895, e prima ancora con la rappresentazione delle Ombre cinesi, il cinema era già un “gioco da salotto borghese”, subito adeguato alla mercificazione di massa… è quella Scatola delle illusioni che fortifica tutto ciò che lo invalida —… la Lanterna magica non ha mai fatto troppo assegnamento sulla poesia, semmai sulla merce e i padroni dell’immaginario sono uomini d’affari ai quali importa solo il successo al botteghino… con la disinvoltura dei saltimbanchi, dei santi o degli idioti… hanno fatto e fanno ancora del cinematografo un’impresa di largo consumo e spingono le platee scimunite nell’inedia e nella domesticazione sociale[1].

[1] Pino Bertelli, La macchina cinema e l’immaginario assoggettato, Trattato di liberazione degli sguardi, Nautilus, 1987

La macchina/cinema è un sistema politico, religioso, filosofico, mercatale che si definisce in rapporto a valori e morali accettate ed eccetto i soliti ribelli alle ortodossie, sempre sbattuti in nicchie d’intelligenze esiliate, vilipese o  censurate che tentano di affrettarne la fine… il sistema-film abdica ogni forma di protesta e ad ogni mito che produce c’è sempre un altro mito che lo sostituisce, quando il film non tira, non incassa… il film è specchio-memoria di un’epoca, una replica della croce che consegna Cristo alla storia che lo imbratta di soggezioni, tradimenti o attrattive circensi… la devozione è la medesima di quella di Giuda… bastano pochi denari o un abbonamento alla piattaforme digitali per evitare il disgusto, lo sgomento o l’equivoco del cinema… esperti di un’arte puramente contraffatta, produttori, cineasti, attori, critici, storici e tutti i commensali della macchina/cinema, vivono in funzione di un linguaggio pietrificato nel successo e nel   consenso, incapaci o assuefatti a una glossolalia dozzinale, deformata, banalizzata, artefatta della merce circuitata.

Al tempo del cinema di David Wark Griffith, Mack Sennett, Charlie Chaplin o Buster Keaton… ognuno cercava di filmare come tutti, ma tutti filmavano nelle loro differenze… infatti, quando il cinema era ancora muto, un maestro del linguaggio cinematografico come Griffith, ha firmato Nascita di una nazione (The Birth of a Nation, 1915), un’opera innovativa della tecnica cinematografica e al contempo la più brutale visione razzista mai appara nella storia del cinema… qui i cavalieri incappucciati del Ku Klux Klan difendono i diritti di nascita ariani, impiccano i negri e fanno abrogare i diritti civili degli schiavi… il film si chiude su un dittatore che arringa le masse che si trasformano in figure angeliche, poi la didascalia sui titoli di coda: “Osar sognare un giorno dorato dove la guerra bestiale non governerà più. Al suo posto il dolce Principe nelle Sale dell’amore fraterno della Città della pace”. Il pubblico è servito! Quando si ama il cinema è un disonore sopravvivergli! Poiché anche la falsità, l’ipocrisia, l’inciviltà del cinema sono da distruggere!

E non è un caso che la pulzella del nazismo, Leni Riefenstahl, prenda a mentore proprio David Wark Griffith… la ragazza era sveglia… bella anche… anche affermata ballerina con Max Reinhardt… quando lesse il Mein Kampf (La mia battaglia) di un certo Adolf Hilter era il 1925 e rimase profondamente colpita di tanta spazzatura letteraria che scrisse a Hitler per incontrarlo… la cosa avvenne in occasione del congresso di Norimberga nel 1933 che celebrava la presa del potere nazista… Hitler vide nella pupilla del regime tutta la bellezza, la forza, la potenza della gioventù germanica e le commissionò un documentario di propaganda… il titolo non lascia scampo a fraintendimenti: La vittoria della fede (Der Film vom Reichsparteitag der NSDAP, 1933). Soggetto, sceneggiatura e montaggio di Leni Riefenstahl, 64 minuti. Prodotto dal Ministero del Reich per l’istruzione pubblica e la propaganda. Le parate delle camicie brune s’intrecciano bene alla marzialità di Hitler, Goebbels, Göring, Hess, Himmler, Arturo Arpicati che porta il saluto del dittatore Benito Mussolini e Ernst Röhm, allora capo delle SA (“sezione d’assalto”, reparto paramilitare costituito da Hitler nel novembre 1921 a difesa dei comizi del partito)… ma il 30 giugno e il 1° luglio del 1934… scatta La notte dei lunghi coltelli o dell’Operazione Colibrì e le SS e la Gestapo assassinarono i generali e Röhm ritenuti oppositori del regime… siccome nel film della Riefenstahl, Röhm era piuttosto presente, Hitler decise di non distribuirlo ma di distruggerlo.

Dopo la disfatta del nazismo, negli archivi della Repubblica Democratica Tedesca venne rinvenuta una copia del documentario della Riefenstahl e in Inghilterra anche quella personale… la tecnica della regista è scabra, essenziale, a tratti convulsa… sparge fremiti o sensazioni di verità articolate sulle facce militaresche dei personaggi… c’è una sorta di euforia generale che ingrandisce il momento storico… un senso di fatalità che declassa la tragedia che contiene. Le inquadrature sono forti, ricercate, ripetute… una prosa filmica ispirata alla materia che tratta… una sorta di deliquescenza della ragione che sopravvive alla sua intenzionalità e alla visione romanzata che la conchiude. Le fotografie che ritraggono la Riefenstahl tra i gerarchi nazisti mostrano la spigliatezza di una donna bene in arnese tra medaglie, pugnali e pistole… non ci si appassiona impunemente alle protervie delle bandiere uncinate, senza la volontà di liberarsi dell’impostura che le fregia nel loro albore dissennato… gli sguardi complici dell’ineffabile lo dicono… ma il cinema sfugge al cinema, specie se di propaganda…  e sull’apoteosi di qualsiasi Impero, l’ombra della verità si allunga oltre il futile che cela e — senza che la Riefenstahl se ne facesse scrupolo, ma anzi ne cantasse le vestigia —… si avverte su quei volti impagliacciati di vigore, un futuro di cadaveri.

Leni Riefenstahl (Berta Helene Amalie Riefenstahl), la bella maledetta in camicia bruna, è una donna particolare, attrice, regista e fotografa di notevole talento figurativo. Nasce in Germania, a Berlino, nel 1902. La sua figura di cineasta (e di fotografa) investe l’intero secolo. Sullo schermo, la Riefenstahl è stata poco più di una bambola fascinosa, sovente impudente, romantica, sentimentale, materiale delicato per uomini senza desideri e pubblici sbigottiti di tanta aristocratica bellezza. I film di Arnold Fanck, Ebbrezza bianca (1931) e S.O.S Iceberg (1933), la impalmano nel suo splendore di diva del cinema tedesco. È bella, brava e intelligente. Nella frequentazione dei capi nazisti non si accorge di quanto predica Adolf Eichmann, il boia degli ebrei. Quando fu processato a Gerusalemme, dichiarò che aveva ordinato lo sterminio di milioni di uomini, donne e bambini perché quello era il suo lavoro. Hannah Arendt lo inchioda alle sue responsabilità e in un saggio di illuminante verità storica, giudicato controverso anche dagli israeliani-sionisti, lo denuda nella sua mediocrità: “Non era stupido: era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo”[1].

[1] Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, 1963

Un libro diventa universale quando induce gli intelletti che non sono affatto portati alla verità, a rivedere le proprie certezze… rompere le barriere delle definizioni e nelle divergenze cogliere la fragilità delle formule! È deplorevole per uomini e donne che pensano a un certo grado di qualità, credere in termini consacrati all’autorità, senza biascicare le soluzioni raccomandate. Poiché quando la giustizia diventa istrionica, degenera in caricatura! Il boia va ucciso perché ha ucciso e fatto uccidere! L’innocenza degli ebrei gassati lo richiede!… e uno stupido resta uno stupido financo se fatto Papa… questo significa scendere fino alla radice delle cose e senza santi in Paradiso! un Eichmann giustiziato è un criminale di meno! poiché si porta addosso il marchio della non-umanità. La Riefenstahl debutta come produttrice (in collaborazione con il teorico del montaggio cinematografico in forma d’arte, Béla Balàs) e regista di se stessa con La luce blu (o La bella maledetta, 1932). Interpreta Junta, una ragazza gitana, la sola persona del villaggio che riesce a scalare le pareti del Monte Cristallo, guidata da una luce blu. Il bagliore di una roccia di cristalli blu attira l’avidità degli uomini che violano il segreto della ragazza e lo distruggono insieme alla sua vita. In molti hanno visto in questo film un apologo fiabesco, cancellato dalla brutalità del presente e la perdita così anche dei valori magici del mistero. È la retorica del melodramma o, se vogliamo, del romanzo d’appendice. Tutto ritorna al proprio posto con la morte dell’eroe/eroina e il mito risorge nell’immaginario collettivo.

Come regista di finzione, la Riefenstahl è piuttosto inconsistente. Il suo valore di documentarista, innegabile. I film che ha diretto e interpretato, La bella maledetta e Bassopiano (tratto dall’operetta di E. D’Albert, terminato nel ‘44, poi sequestrato dalle forze di liberazione e proiettato al pubblico soltanto dieci anni dopo), non lasciano traccia del suo particolare talento filmico e confermano invece la struggente bellezza di un corpo fuori del tempo e del gusto comune. Se nei documentari la forza evocativa, propagandistica del regime, certo… è legata a un’architettura filmica di notevole figurazione e consapevolezza del montaggio come arricchimento estetico del film… fino a raggiungere livelli epici di grande fascino o seduzione dell’immagine cinematografica… nei film attoriali tutto sembra cadere in una sorta di operetta mondana, dove gli interpreti sono avvolti in luci suggestive, piani e sequenze infastellati di estetismi ed esagerazioni che mirano alla bella gloria… melodrammi sempre oracolari tesi alla consolazione quanto alla felicità perduta o ritrovata… strano per una regista che sa usare la macchina da presa in maniera efficace… quando s’immerge nella doppia servitù del detto come consenso, perde perfino l’audacia esibita e immobilizzata dell’alfabeto nazista che l’ha resa celebre. La Riefenstahl muore a 101 anni (sempre troppo tardi), a Pöcking nel 2003.

La Riefenstahl viene arrestata nel primo dopoguerra per propaganda nazista, rilasciata (dopo quattro anni di carcere in Francia) nel ‘48 e assolta dalle accuse più gravi, ma non le furono scontate le sue simpatie per Hitler e fu oggetto di altri processi. Nel 1993 il regista Ray Müller realizza il documentario — The Wonderful, Horrible Life of Leni Riefenstahl (La meravigliosa, orribile vita di Leni Riefenstahl) —, da dimenticare o, se vogliamo farci del male, da rivedere con quel malessere in corpo che sovviene ogni qualvolta che Müller inquadra la Riefenstahl come una dea… l’implorazione di una donna che ha messo tutta la sua vita e il nazismo sul medesimo piano… una lusinga da rigattieri del cinema che cerca a tutti i costi la salvezza dell’eroina e concilia le dottrine dei persecutori con le loro vittime!

[Continua…]

Altri articoli di questo autore

Condividi

No comment yet, add your voice below!


Add a Comment

Vuoi accedere agli eventi riservati?

Abbonati a soli 15€ per 365 giorni e ottieni più di ciò che immagini!

Se invece sei già iscritto ed hai la password, accedi da qui

Dimmi chi sei e ti dirò che workshop fa per te

Non è facile trovare un buon educatore!
Appartengo ad una generazione che ha dovuto adattarsi alla scarsa offerta dei tempi. Ho avuto un solo tutor, a cui ancora oggi devo molto. Brevi, fugaci ma intensi incontri in cui il sottoscritto, da solo con lui, cercava di prendere nota anche dei respiri e trarre insegnamento da ogni singola parola.
A causa di questa carenza io e i miei coetanei ci siamo dovuti spesso costruire una visione complementare come autori, designers, critici ed insegnanti e questo ci ha aiutato a costruire qualcosa di fondamentale e duraturo.
Per questo motivo con Cine Sud che vanta un’esperienza di oltre 40 anni nel settore della formazione, abbiamo pensato alla possibilità di offrire dei corsi “one to one”, costruiti sulla base delle esigenze individuali e in campi disparati, che vanno dalla tecnica alla ricerca di nuovi linguaggi in fotografia.
Dei corsi molto vicini a quelli che avremmo voluto avere nel passato, se ce ne fosse stata offerta l’opportunità e la parola opportunità non va sottovalutata, perché ha un peso e una sua valenza e non è spesso scontata.
Ognuno sarà libero di scegliere, sulla base dei nostri consigli, un autore o un tecnico, tra quelli offerti come docenti, e intraprendere un corso che gli offra quello di cui realmente ha bisogno e, eventualmente, ripetere questa esperienza in futuro.
Come quando si va da un eccellente sarto a scegliere con cura un vestito, adattandolo perfettamente al corpo, vogliamo fornirvi il corso che meglio si adatta alle vostre, singole e personali esigenze.
Niente nasce dal caso e per poter essere all’altezza di questo compito e potervi fornire un’offerta diversificata e soddisfacente, abbiamo pensato di sottoporvi un questionario tra il serio e lo scherzoso a cui vi preghiamo di rispondere.
Aiutateci a capire le vostre reali esigenze e chi abbiamo difronte, non ve ne pentirete.
Massimo Mastrorillo

Dimmi chi sei e ti dirò che workshop fa per te

Approfondiamo ! per i più intrepidi
X