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Leni Riefenstahl (“Era carina come una svastica”, diceva…) – Parte II

di Pino Bertelli

La luce e l’ombra del nazismo di Leni Riefenstahl si coglie nei documentari di esaltazione del regime: La vittoria della fede (Der Film vom Reichsparteitag der NSDAP, 1933), Il trionfo della volontà (Triumph des Willens,1935), Il giorno della libertà (Tag der Freiheit – Unsere Wehrmacht, 1935), Olympia (1938). In queste imbarazzanti apologie della “razza nordica”, la sua macchina da presa riesce a significare un’estetica dei corpi e una composizione dei movimenti che la proiettano di forza nello sparuto gruppo dei grandi cinedocumentaristi (Robert Flaherty, Joris Ivens, Dziga Vertov). Tuttavia va detto, e anche con chiarezza, che la Riefenstahl non è stata uno strumento più o meno inconsapevole del nazismo, è stata la “pupilla di Hitler”, i suoi lavori erano concertati su un’idea “ariana” dell’esistenza e il posto degli dèi era quello dell’altare purificatorio dove sventolava la svastica. In alcune fotografie fuori scena, a vedere la Riefenstahl incartata nella divisa nazista o sorridente tra Goebbels e Hitler, o anni dopo, abbracciata con la fotocamera in mano da un giovane Mick Jagger, idolo della musica con la linguaccia che ha infiammato la giovinezza di milioni di adoratori, facendo credere loro di essere un artista trasgressivo e non il cameriere della regina o il fantoccio dei mercificatori di tutto, dalla musica ai cannoni… ci fa rabbrividire… forse anche sorridere. Il linguaggio utilitario converte il tempo storico in accettazione, c’è chi si rassegna, chi lo rifugge e chi ne viene travolto! Gli inebetiti di rango non sono degli ingenui… stanno sempre all’ombra della forca che li promuove a miti o assassini… una sorta d’incrocio fra il santo e l’imbecille che incuriosisce o deprime… niente è più comune del falso velato di creatività… poiché tutto s’impara, anche a fare l’artista o allestitore di fosse comuni.

Il cinema di propaganda della Riefenstahl si lega ai concerti negli stadi dei The Rolling Stones nella medesima simulazione, devozione o credenza che fa dello spettacolo il discorso ininterrotto che “l’ordine presente tiene su sé stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria delle condizioni di esistenza” (Guy Debord)[1]. Tutto vero. L’apparenza feticista nasconde il medesimo carattere di relazione fra regnanti e cortigiani ed ha le sue leggi fatali… i falsi miti della Riefenstahl come i miti falsi dei Rolling Stones sono la ricostruzione materiale dell’illusione religiosa… dipendenti dalla potenza economica che li detta… modellati per organizzare socialmente l’apparenza. Lo spettacolo delle parate/volti del nazismo della Riefenstahl (o i corpi in delirio dei fan dei Rolling Stones, Beatles o Elvis Presley, financo del più stupido talk-show televisivo), non è un insieme di immagini, ma una rapporto fra persone, mediato, assemblato o avvelenato dalle immagini. Lo spettacolo, compreso nella sua totalità, ritualità, antropofagia culturale, politica, economica, è il risultato e il progetto del modo di produzione esistente e marchio evidente della vita socialmente dominata. Là soltanto dove le persone si sono fatte creatori di valori e si sono disancorate dalla storia universale dell’infamia, il dialogo si è armato contro la coscienza spettatrice e ha dato inizio alla dissoluzione di tutte le ideologie totalitarie o società del dispotismo che immobilizzano nel compiacimento, nella recita e nel sangue, la non-storia dell’umanità.

La filmografia di propaganda della Riefenstahl figura Hilter come il nuovo messia del nazismo, idolatrato come un’entità sacrale dal popolo germanico… una glorificazione in terra di un uomo incapace perfino di farsi una sega controvento… un piccolo estasiato di sé, imbevuto d’ignoranza abissale, asceso dalla periferia alla ribalta di una nazione e della storia per mezzo dell’eterna finanza borghese (anche ebraica) è vigliaccherie aristocratiche che sostengono tirannie, terrorismi o rivoluzioni… ciò che importa è riempire le banche di soldi… le carneficine passano, i soldi restano! E sempre in mano ai medesimi forsennati del potere. Di tanto in tanto, certo… alcuni sono impiccati all’asta della bandiera o sull’organo sfasciato di una cattedrale… e quando accade siamo sempre assaliti da lacrime di commozione… la compassione la serbiamo per gli assassinati dai loro servi… quando le folle strisciano, la frusta dei padroni canta! Il tanfo della feccia viene sempre dall’alto!

Il trionfo della volontà è una sorta di caleidoscopio filmico che intreccia i discorsi di Hitler (politici e gerarchi) con le parate oceaniche di soldati in perfetto stile romano, al raduno di Norimberga del Partito Nazional Socialista Tedesco dei Lavoratori il 4/10 settembre 1934. C’è la consacrazione delle bandiere, la benedizione dei ranghi nazisti del vescovo, il teologo presbiteriano del Reich (Johann Heinrich Ludwig Müller), i seguaci in abiti contadini, divise,  cavalleria tutti uniti alla luce delle fiaccole che di lì a poco si trasformeranno in forni crematori! L’aquila e la svastica dominano l’immaginario collettivo e Hitler è figurato in un’apoteosi sacrale del Dio che prenderà nelle mani le sorti della Germania che si risveglia nel ferro e nel fuoco che promette al mondo. Il film si chiude così: «Il partito è Hitler; Hitler è la Germania come la Germania è Hitler, Sieg Heil!».

[1] Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979

 

Il partito nazista non badò a spese… le cose vennero fatte bene… la Riefenstahl aveva una troupe di 172 persone—10 staff tecnici, 36  direttori della fotografia e assistenti, nove fotografi aerei, 17 uomini cinegiornalistici, 12 troupe di cinegiornali, 17 uomini addetti alle luci, due fotografi, 26 autisti, 37 uomini per la sicurezza, quattro operai, e due assistenti d’ufficio —. Molti dei suoi cameraman indossavano l’uniforme delle SA per essere confusi tra la folla… la scheda, che sia veritiera o gonfiata poco importa… queste sono cose che piacciono ai nomenclatori o storici dell’accademismo blasonato… sanno tutto sui numeri di un film e niente di cosa contiene o disvela. Le inquadrature, montaggio, fotografia, musica (Wagner funziona sempre nel nazismo)… sono di una compiutezza formale di rara funzionalità… tanto belle quanto false! Hitler scende dal cielo (da un aereo) salutato dalla città di Norimberga… le mamme piangono e alzano i bambini al passaggio del dittatore, i giovani sono ritemprati nella fede, le acclamazioni della massa coinvolgono anche l’ultimo dei netturbini… attendono la salvezza, il trionfo, la potenza e non si accorgono che quel manichino col sorriso da ebete è un ritardato mentale. 

Il soggetto di Il trionfo della volontà è firmato dalla Riefenstahl e da Walter Ruttmann, esponente calligrafo dell’avanguardia cinematografia tedesca degli anni ’20… con Berlino – Sinfonia di una grande città (Berlin – Die Sinfonie der Großstadt, 1927) racconta una giornata della città di Berlino ma quello che ne sortisce è un documentario sperimentale che s’inabissa nell’astrattismo e nel qualunquismo. Poi Ruttmann passa dalle dipendenze di Goebbels a quelle di Mussolini e nel 1933 venne chiamato nell’Italia fascista per fare un film tratto da un soggetto di Pirandello (piuttosto rimaneggiato, anche da Mario Soldati), Acciaio (1933). Una storia di operai che si svolge nelle acciaierie di Terni. Le sequenze che riguardano le macchine della fabbrica sono potenti, documentarie, allargano il divario tra una situazione reale, le facce fresche dei comprimari non professionisti e l’interpretazione svenevole della diva provinciale Isa Pola… la fotografia di Massimo Terzano è di forte impatto emozionale… insieme al montaggio di Ruttmann e Giuseppe Fatigati danno al film una qualche sopportabilità da non uscire dalla sala cinematografica. Acciaio raccolse consensi aperti da parte della critica, anche se gli incassi non furono esaltanti. Il Corriere della sera e La Stampa parlarono del cinema di Ruttmann come forma d’arte… il quotidiano fascista L’Impero coglie nel film la dignità della razza italiana (?!). Là dove gli slogan hanno vinto, l’indifferenza e la compiacenza rintronano nelle armi delle ideologie, prima del loro fallimento!

Certo se mettiamo il film di Ruttmann accanto ad Acciaio (2012) di Stefano ordini, quello del tedesco appare quasi un capolavoro… il film di Mordini, girato nelle acciaierie di Piombino, è tratto tratto dall’omonimo romanzo (asservito alla fatalità della farsa più che all’indiscrezione dei contenuti scritturali) di Silvia Avallone… una cosetta sentimentale dal gemito facile… infarcita di passioni simulate e sentimenti insinceri… metafore da farmacia, falce, martello & bandiere rosse che si sgretolano tra i sogni di un’amicizia tra due ragazzette che vogliono andare all’isola d’Elba e quelli dell’operaio che vuole sposare l’amore della sua vita, spezzato da un incidente sul lavoro… una tematica sopravvissuta al romanticismo e al bidet, diceva… i piombinesi affluirono a frotte al cinema… i sindacalisti piangevano di tanta benevolenza proletaria senza lotta di classe… le istituzioni della città avvolsero la Avallone e Mordini nel manto dei riconoscimenti e il film passò financo al Festival del cinema di Venezia per grazia ricevuta… Riondino prese il Nastro d’argento per miglior attore (non protagonista), davvero un supplemento fumettistico senza colore di ciò che si trova a interpretare, e il film resta più inservibile di un santo… che peccato che, per giungere a tanta bassezza creativa, si debba passare attraverso l’umiliazione del consenso.

In Germania Acciaio uscì col titolo, Arbeit macht glücklich (Il lavoro rende felici)… quasi le stesse parole che di lì a poco milioni di persone leggeranno all’ingresso dei campi di sterminio (Il lavoro rende liberi), prima di essere bruciate nei formi crematori. La “prima” avvenne nella città mineraria di Bochum… l’evento fu una festa di bandiere naziste e fasciste, alla quale partecipò anche l’autore del soggetto, Luigi Pirandello… i consensi dei critici tedeschi però non ci furono… Acciaio non rispecchiava la mistica del nazionalsocialismo. Pirandello non era entusiasta del risultato e non riconosce nel film il suo scritto (Gioca Pietro! o E lui gioca!)… intanto il fascisti di Mussolini uccidono l’onorevole Giacomo Matteotti, socialista e il buon Pirandello si scrive al Partito Nazionale Fascista (17 settembre 1924). La devozione paga sempre. Non è una questione di “grandezza intellettuale”, è il convincimento che una ideologia, una dottrina o una gloria da commedianti possa davvero adottare la detestabilità, la brutalità o l’intolleranza di un regime e farci bella figura.

Due anni dopo il film di Ruttmann, Berlino – Sinfonia di una grande città (Berlin – Die Sinfonie der Großstadt, Dziga Vertov — teorico anomalo, futurista o surrealista del cinema sovietico, inviso alla gerarchia stalinista —… filma scene di vita quotidiana a Mosca, dall’alba al tramonto e licenzia L’uomo con la macchina da presa (Человек с киноаппаратом, Chelovek s kino-apparatom, 1929), un piccolo gioiello etico/estetico che fu ritenuto “formalista” e inadatto alla società comunista. Vertov scompagina la grammatica cinematografica e la macchina da presa diventa il soggetto del film… doppie esposizioni, carrellate accidentate, riprese oblique, primissimi piani, rallentamenti, balzi di scena… espressione della realtà documentata senza il bisogno delle didascalie del cinema muto… il florilegio di un cinema di poesia mai più visto sullo schermo. Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, il regista immenso di La corazzata Potëmkin (Бронено́сец Потёмкин, 1925), definì la pellicola di Vertov (sembra), “teppismo cinematografico senza senso”. Un po’ poco per un film che ancora oggi è da annoverarsi tra i più grandi della storia del cinema. A ritroso. Il trionfo della volontà è tra i migliori film di propaganda mai realizzati…  il più funesto, certo… un ammasso di fatalità, catechismi e orge ideologiche che fanno rabbrividire anche l’ultimo dei becchini o dei beati… l’istante in cui innalziamo un Dio al posto dei nostri singhiozzi, ci conferisce un aspetto da assassini… la turba dei credenti, dei prostrati e dei criminali è sempre legata alle stigmate della gloria e quando la folla sposa un Mito, preparatevi alle fosse comuni, peggio ancora, all’instaurazione di una ideologia, una religione o una pianificazione finanziaria che giustificano il permanere del crimine nella storia.

La forza architetturale di Il trionfo della volontà è innegabile… c’è una magniloquenza refrattaria nel film, quasi un’ansito di furore isterico senza interrogativi che la Riefenstahl domina con capacità tecniche che le vanno riconosciute… la ricerca formale è piegata all’effetto, al correttivo della percezione o alla veemenza di un mito umanizzato, Hitler!… s’avverte anche l’introduzione generalizzata a una vita devota al capo che preconizza la cristologia dell’immortalità e l’assolve dal disumano che gli si legge in volto, malgrado la cosmesi figurativa/moralista della regista. A vedere con una certa malizia libertaria… i volti bruniti di Hitler, Rudolf Hess, il generale von Blomberg, l’ammiraglio Reader, Joseph Goebbels, Alfred Rosenberg, Hans Frank, Fritz Todt, Robert Ley, Julius Streicher… ci appaiono come i pupazzi bombardati da libri e vasetti di marmellata del film di Jean Vigo, Zero in condotta (Zéro de conduite,1933)… non è che il tempo li ha resi ridicoli, lo erano già allora, lo sono da sempre ridicoli… si sono abbeverati da oltre duemila anni di teologie/teocrazie antisemite e fatto del dispotismo una demenza prolungata… i loro incensatori, ulcerati dall’adorazione e dal vassallaggio, li hanno resi forti e feroci, e hanno permesso di organizzare la barbarie e di averla degradata a universo!

Alle accuse di filo-nazista che le vengono rivolte dai giornalisti stranieri dopo la disfatta nazista… Biancaneve/Riefenstahl risponde (da qualche parte): «Pensando a Triumph des Willens si può ricostruire minuziosamente il diagramma di applicazione di questo principio “dinamico”, di questo alternarsi di momenti “forti” e momenti “deboli”: si inizia con il “picco” dell’arrivo in aereo; segue la “valle” del risveglio di Norimberga. Tale forma “compositiva” risulta perfettamente adeguata al progetto di costruzione di una forma liturgica mediante le possibilità originali e specifiche del cinema». Vero niente. La propaganda è il tentativo intenzionale di pochi di influenzare gli atteggiamenti ed il comportamento di molti, tramite la manipolazione di una comunicazione simbolica. 

[Continua…]

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