A Luigi M. Lombardi Satriani,
perché ci ha insegnato a non bere nel fiume della dimenticanza (Lete),
ma ad abbeverarsi alla fontana di Mnemosúne per conoscere simultaneamente
il passato, il presente e il futuro e superare tutte le reti di spine della cattività.
I. Sull’antropologia visuale
“Non ho idee sulla realtà. Mentre quando ho cominciato avevo delle idee sulla fotografia.
Prima vedevo la realtà attraverso la fotografia, e oggi vedo la fotografia nella realtà”.
Anonimo Toscano
(Détournament da Jean-Luc Godard, maestro del cinema ereticale…
Non era Jean Renoir, un libertario aristocratico senza livrea che diceva:
“Bisognerebbe dare onorificenze alla gente che fa i plagi”… eccovi serviti).
La fotografia infonde passioni o le brucia, dissotterra i conflitti umani o li tradisce, spezza destini luminosi o li accende in utopie appassionate di bellezza e verità… tienimi lontano dalla fotografia che non sa piangere e dalla celebrità che non s’inchina davanti al sorriso dei bambini massacrati dalle guerre… perché nessuno può comprare un sorriso né insegnare nulla della fotografia né della vita… se non ciò che è già cenere di un fuoco creativo che dirompe nell’immaginale del pensiero imperativo e lo disvela a chi ancora crede all’impostura delle fedi, della politica, dei saperi circoncisi… quando un fotografo non ha più niente da fotografare sui campi insanguinati dei conflitti o nelle pagine delle riviste internazionali o nelle agenzie fotografiche più accreditate e passa alla raccolta dei riconoscimenti, si crede una brava persona e cade nella maniera come l’assassino… il fotografo è solo un po’ più falso a creare la propria leggenda…quando qualcuno è troppo ricco vuol dire che ha rubato qualcosa a qualcun altro, diceva mio padre, bombarolo di mare e anarchico senza tribune… diffida di quelli che convertono, convincono, educano o fanno dell’arte in cerca di essere beatificati e santi poi… più di ogni cosa diffida dell’imbecille da tutte le parti.
L’antropologia visuale è una delle branche dell’antropologia e attraverso la fabbricazione di immagini, film o nuovi media invita a “vedere ciò che si guarda” (Gregory Bateson)… l’antropologia visuale partecipata, della quale parliamo, si sviluppa nel superamento dell’oggettività e nell’affrancamento con i soggetti fotografati, senza tuttavia sostenere il mutamento culturale di persone o gruppi seguendo le logiche politiche-guerrafondaie del neo-colonialismo… per quanto ci riguarda, l’antropologia visuale è un mezzo per denunciare l’ingiustizia sociale, indicare le vessazioni e le violenze subite da molta parte dell’umanità.
L’antropologia visuale non è solo documentare, archiviare o musealizzare… che molto piace ai parassiti del capitalismo e agli accademici dell’inginocchiatoio… è anche un linguaggio artistico che ha un forte impegno politico teso a decostruire un reale dove c’è qualcuno che saccheggia e qualche altro che viene privato di qualcosa o di tutto… l’intenzionalità dell’antropologia visuale partecipata è l’interazione poetica con le tracce dell’uomo insieme alle sue lacrime, i suoi sorrisi o le sue rivolte dissennate, sempre tese alla conquista di una comunanza umana, più umana.
L’antropologia visuale si focalizza sulle pratiche reali delle genti, dei loro ambienti e lavora sul superamento delle contrapposizioni soggetto/oggetto, individuo/società, struttura/appropriazione per costruire un’alterità alla derisione che la dossologia egemonica sversa sulla cultura millenaria del meridione italiano, ad esempio… l’antropologia visuale dell’interrogazione (tanto per stare in Italia) emerge in studiosi come Ernesto De Martino, Diego Carpitella, Luigi M. Lombardi Satriani, Francesco Marano… registi come Vittorio De Seta, Michele Gandin, Luigi Di Gianni, Cecilia Mangini, Pier Paolo Pasolini… fotografi come Franco Pinna, Ando Gilardi, Mario Cresci, Lello Mazzacane… e va a cercare la realtà al di là del convenzionale e del precostituito… s’immerge in poetiche di vita sociale e immaginaria di gruppi umani… riti, cerimonie, processioni, pellegrinaggi, valori, norme, credenze… mostra la profondità culturale dell’altro che travalica ogni codice stabilito… è una ricerca sul campo per comprendere e condividere l’ombra e la grazia della vita e capire qualcosa di noi, dei nostri desideri più celati e attraverso l’immagine-specchio del proprio sentire, tenta di ricucire il passato col presente. L’immagine-specchio non è un riflesso del vero, è il luogo-canto di ogni presenza… è la storia rivelata da chi l’ha sempre subita.
L’ha detto bene Luigi M. Lombardi Satriani, uno dei padri dell’antropologia visuale italiana, attento studioso di Gramsci sulla cultura popolare: «In maniera sintetica io penso che particolarmente oggi l’antropologia debba farsi carico delle contraddizioni di tutta la realtà contemporanea proponendo possibili soluzioni, superando sia lo stereotipo che la vorrebbe scienza disinteressata e “oggettiva” sia quello che la vorrebbe separata nettamente dall’etica. Al contrario io penso che l’antropologo critico debba rivendicare in pieno la sua soggettività, la sua capacità di giudizio autonomo ed ereticale; come debba rivendicare l’essere l’antropologia ineludibilmente legata all’etica, al giudizio morale, all’esigenza di fornire modelli. Constato amaramente che queste mie posizioni vanno in direzione radicalmente opposta a quelle maggiormente in voga nel dibattito contemporaneo»¹. La fotografia che si occupa di antropologia, va detto, è libera da ogni… e poiché dietro ogni volto c’è un popolo, una nazione, un mondo… le casistiche ermetiche dell’indicibile sono fatte saltare… la fotografia è il Tutto in uno sguardo e l’interrogazione che ne consegue sborda nella sacralità dell’ospitalità, della solidarietà o della fraternità e non conosce che uomini senza patria o di tutte le patrie.
¹La citazione di Luigi M. Lombardi Satriani è un’annotazione che abbiamo trovato in uno dei nostri moleskine, senza nessuna datazione… forse è parte di un’intervista di Francesco Mazza, fatta nella sua casa romana mentre girava il film “I colori del cielo”, che andava a comporre il dittico con il nostro atlante di geografia umana, Genti di Calabria, 2017.
La fotografia è anche il Nulla incatenato alla responsabilità del proprio incorreggibile utilitarismo. Il linguaggio degli affari è subordinato “all’ossessione dei bilanci che uccide la memoria del passato, le discipline umanistiche, le lingue classiche, il pensiero critico e l’orizzonte civile che dovrebbero ispirare ogni attività umana” (Nuccio Ordine)². La dittatura del profitto e l’onnipotenza del denaro coltivano le masse al consumo e decretano la barbarie della civiltà dello spettacolo. L’economia prevalente investe tutte le arti e dittatori, regimi, democrazie si rivoltolano come un maiale nel letamaio della gloria (Gabriel García Márquez), diceva… il disprezzo per la giustizia sociale e il sapere della soggezione, promuovono l’apparenza a incarnazione del capitalismo saprofita e verità e finzione divengono l’alveo d’adulazione al padrone. Politica e statistica contengono la medesima indecenza e ogni cosa è prostituita al commercio. Rivenire l’uomo a se stesso significa disertare, sabotare, rivoltare la situazione attuale e per far questo tutti i mezzi sono buoni.
Il pensiero antropologico/magico della fotografia ha radici antiche… le mitografie della modernità — che spesso lo ignorano — sono riprodotte sugli scaffali della storia e legittimano ere di dolore, a partire dalla genesi dell’umanità. La religione, la politica, l’erudizione hanno saccheggiato quanto si poteva saccheggiare e celebrato — in nome della ragione imposta — la servitù dell’imbecille e la finzione dell’angelo, mai l’arte della bellezza autentica… quella è riservata ai caveau delle banche, ai mercanti d’armi o ai musei vaticani… tutti gli altri depositi dell’arte sono a disposizione di fluttuazioni del libero mercato, che non significa un mondo libero… anche gli artisti del dissenso sono recuperati dalla società consumerista e le loro opere sistemate nei supermercati insieme ai dentifrici, a disposizione di tutti. Il fatto è che l’induzione al consumo è anche la cementificazione dei rapporti umani con l’oggetto del desiderio. Ogni merce afferma lo spettacolo come modello presente della vita socialmente dominante: “Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria delle condizioni di esistenza” (Guy Debord)³. Solo i graffiti dell’uomo nudo e senza frontiere si rivolgevano al magico della comunità che viene, dopo l’arte si è intrattenuta soltanto con i despoti del potere e ha fatto dell’arte una virtù da schiavi.
²Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile. Manifesto, Bompiani, 2013
³Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1973
L’antropologia visuale che attiene alla fotografia o al cinema etnografico non è molto praticata e sono tanti gli autori, storici e critici che sotto il termine — antropologia visuale — hanno dispensato fotografie, film o teorie multimediali che poco hanno a che fare con questa disciplina materica… che significa, semplificando, raccontare e comprendere i fenomeni sociali che la fotografia antropologica o il film etnografico rappresentano. Per quanto riguarda i film etnografici, ciò che viene ripreso, scoperto, demistificato, rispetta quanto più possibile l’integrità degli accadimenti trattati e la realtà non viene interpretata né modificata, ma elaborata con il rigore scientifico di un’opera scritta e il lessico adottato è antropologico, cioè di vicinanza e comprensione con quanto viene fotografato o filmato.
Il film etnografico è il risultato di “una modalità di osservazione dove le tecniche e la sensibilità sia dell’artista sia dello scienziato vengono combinate per penetrare nel significato e nella natura del comportamento umano” (Robert Gardner)⁴. E non importa possedere una formazione accademica da antropologo per realizzare documentari etnografici. Ciò che conta è la considerazione della realtà degli eventi filmati che coniugano la sensibilità del film-maker con lo sguardo disincantato dello scienziato. Tuttavia, resta fermo che ogni film etnografico si configura con l’interpretazione dell’autore che si affranca con ciò che affabula (arti, simboli, gesti, costumi, riti, giochi, feste…). I film di Robert Gardnen, Jay Ruby, Karl Heider, Sol Worth, Jean Rouch o Robert J. Flaherty, maestro d’un “cinema verità” immortale, senza peraltro rinunciare alla ricostruzione poetica della realtà… di là dalle loro differenze architetturali, sociali, politiche, esprimono spaccati di vita quotidiana, tenuti insieme dall’attenzione agli archetipi visuali/linguistici dell’evoluzione umana.
La visione antropologica della fotografia (composta anche con didascalie documentali) si fonda su una sorta di interazione tra fotografo e soggetti/ambienti fotografati. La fotocamera entra nelle pieghe della realtà e la denuda di tutti i sofismi dell’accidentale o del ricercato. Gli studi di Paolo Chiozzi⁵, Francesco Marano⁶, Luca Pandolfi⁷ analizzano con sapienza non solo la comunicazione visuale o scrittura attraverso le immagini, ma fanno comprendere che fotografare vuol dire interpretare e dare veridicità alla ricerca della realtà. Lo sguardo del fotografare dunque, porta in sé non solo le informazioni che scippa alla realtà, ma si fa testimone di un evento, di una situazione, di un accadere improvviso. La consapevolezza dell’altro è parte fondante dell’antropologia visuale e il rapporto tra fotografo e fotografato diventa il ponte di un firmamento inventivo, un “auto-messa in scena” (Paolo Chiozzi) del soggetto fotografato con la storia che racconta. L’antropologia visuale è un linguaggio della conoscenza, una teorica del visivo che va ad analizzare, decodificare, costruire forme visibili di culture, corpi, luoghi, architetture… in una ricchezza esperienziale che travalica le politiche del potere e porta a riflettere sulla vita degli uomini e rielabora la loro esistenza nel mondo.
⁴Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile. Manifesto, Bompiani, 2013
⁵Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1973
⁶Francesco Marano, Camera etnografica, Storie e teorie di antropologia visuale, Franco Angeli, 2008
⁷Luca Pandolfi, L’interpretazione dell’altro. Per un’antropologia visuale dialogica. Dalla fotografia socio-etnografica al dialogo tra le culture, Aracne Editrice, 2005
Lello Mazzacane, dicono le sue note, «è professore ordinario di Storia delle tradizioni popolari e di Antropologia Visuale alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Napoli Federico II. È stato tra i fondatori in Italia della Visual Anthropology e nei primi anni ’70 lavora all’uso delle tecnologie audiovisuali nella ricerca demo-antropologica, e su questo e altri temi ha svolto corsi e seminari in varie università italiane e straniere (Cagliari, Urbino, Padova, Liverpool, Reading Warwick, Londra, Parigi, ecc.). In quegli anni fonda e dirige la struttura di Ricerca e Produzione audiovisiva Nuovo Politecnico, la cui intensa attività innovativa delle forme e delle tecniche avanzate del linguaggio audiovisivo si testimonia in più di cinquanta titoli/multivisioni (La festa dei gigli a Nola, 1975; Sette feste di carnevale, 1976; Viaggio in campania, 1979). Dal 1998 ha lavorato all’ideazione e alla progettazione di allestimenti multimediali per svariati musei, gallerie ed esposizioni in Italia, Europa e America. Nel 2002 è consulente per il coordinamento editoriale di “Idea per un museo virtuale dell’arte italiana” (Rai Educational), relativo alla valorizzazione multimediale del patrimonio pittorico esistente nelle maggiori pinacoteche nazionali attraverso la realizzazione delle “mostre impossibili”. Tra queste ha firmato la ideazione e la realizzazione della multivisione sulla cupola di S. Andrea della Valle presentata a palazzo Venezia nel 2002. Nel marzo 2004 (per la Rai) si occupa della Direzione scientifica del Portale della Cultura della Regione Campania. Molte delle sue fotografie sulla Cultura e Feste popolari dell’Italia meridionale sono custodite in Musei e Archivi (Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma; Cabinet des estampes de la Biblioteque Nazionale, Parigi). Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Perché le feste. Un’interpretazione culturale e politica del folklore meridionale (con Luigi Maria Lombardi Satriani), Savelli, 1974; I Bassi a Napoli, Guida, 1978; Lezioni di fotografia (con Mario Cresci), Laterza, 1983; Struttura di festa, Angeli, 1985; La cultura del mare nell’area flegrea (a cura di), Laterza,1989; Il sistema delle feste, in Storia d’Italia, Le Regioni: La Campania, Einaudi, 1990»… Mazzacane continua a essere presente nella storia delle tradizioni e della cultura subalterna italiana con lavori, articoli, immagini che costituiscono un impegno scientifico-sociale e restano al fondo dell’Antropologia visuale.
In Lezioni di fotografia, Cresci e Mazzacane riescono a superare la leziosità professorale… insegnano senza insegnare… producono materiali, esempi, possibilità aferetiche (rimozione dell’inutile) dell’immagine fotografica… si spingono oltre la didattica della tolleranza e approdano nell’universale etico che non teme nessuna verità… ci ricordano quel maestro epicureo senza discepoli che pressappoco diceva — La fotografia esiste e va attesa e stretta al sogno come la corda all’impiccato per lesa maestà —. O dell’altro maestro che si occupava di ospitalità, fratellanza e crocevia di cammini impervi: — “Maestro, tu non prendi niente da me, disse il discepolo”. — “Da te prendo quel che t’insegno, rispose il maestro” (Edmond Jabès)⁸. La fotografia è l’aurora o il crepuscolo di un nome, di un’incrinatura, di un vuoto che ricopre e avvalora ciò che è sparito o umiliato… e là dove sanguina di verità, le ferite della terra fioriscono, annotava… la nobiltà d’animo non sopporta nessuna limitazione né definizioni affrettate… la fotografia viene da dove vieni… è un linguaggio che libera da ogni costrizione o è la sua cella di detenzione. Poiché dietro una fotografia c’è un uomo, un popolo o una nazione, ogni immagine è uno slancio d’amore o l’edificazione della falsità.
⁸Edmond Jabès, Il libro dell’ospitalità, Cortina Editore, 1995
Mazzacane è stato un alfiere dell’antropologia visuale (insieme a Franco Pinna e Ando Gilardi)⁹ nel meridione italiano… nelle sue fotografie è riuscito a mostrare (con sincerità e onestà) gli sguardi molteplici di una popolazione ricca di tradizioni che si perdono nel tempo e fissato nella storia della fotografia la bellezza incompresa, maltrattata degli ultimi e degli esclusi. Le sue immagini contengono quell’aura sacrale o salvifica di antiche icone popolari che favoriscono la costruzione di rapporti qualitativi nella condivisione e superare le barriere comunicazionali che dividono o escludono culture diverse. La fotografia dei corpi di Mazzacane raccoglie le orme di una vivenza povera, certo, ma di una forza nobiliare che diventa esempio, immagine di qualcosa che è stato e riappare in quelle figure resistenti a ogni sorta di cancellazione del passato, della fede o dei sogni segreti. La bellezza degli umili segue il cammino inverso dell’esortazione alla genuflessione… la fotografia, tutta la fotografia, sarebbe intollerabile senza la dolcezza, la tenerezza, l’autobiografia del pugnale che la nega.
⁹Alle origini dell’antropologia visuale ci sono le fotografie raccolte da Charles Darwin (1809-1882)… tra i più attenti studiosi dell’antropologia visuale si riconoscono in Margaret Mead, Gregory Bateson, Paul Hockings, Marcus Banks, Howard Morphy, Robert Gardner… senza dimenticare gli studi sull’antropologia strutturale di Franz Boas, Bronislaw, Malinowski, Claude Levi-Strauss… in Italia tra i primi a credere nelle fotografie di argomento antropologico sono Paolo Mantegazza (1831-1910), gli esploratori Enrico Giglioli (1845-1909) e Lamberto Loria (1855-1913).
Ogni forma d’arte implica la sottomissione o l’eversione che la precede. La fotografia è uno strumento del comunicare e significa rendere vitale l’arte di vedere e cogliere ciò che accade di fronte alla fotocamera, quando nulla è dato e tutto resta da costruire. L’attimo fuggente c’entra, ma per scippare un momento della realtà perduta e invitare a comportarsi all’opposto di quanto la realtà insegna. L’ingiustizia delle istituzioni è a imitazione di Dio e ogni uomo/fotografo in utopia è un seminatore di bellezza che sta al margine dell’esistenza perché non accetta la sua fine.
II. Sulla fotografia dell’esistenza
Per cogliere l’arcano della fotografia basta scendere il più basso possibile, diceva la mia maestra in tutto, Diane Arbus… per me non è stato difficile perché nei bassifondi ci sono nato e la mia scuola è stata la pubblica via… non mi è mai piaciuto stare con i primi, mi è sempre piaciuto stare a parte… ancora non capisco come un fotografo con un po’ di cervello possa aspirare alla notorietà… è impossibile vivere nella fotografia e farci bella figura, se non t’accorgi della rapacità del potere… qualsiasi forma di successo che non abbia la grazia di Don Chisciotte, Alice delle meraviglie o della Banda Bonnot, riferisce un disturbo mentale… fascino, volgarità e desolazione del mercato fotografico, lasciano addosso quell’amaritudine che invoglia a una notte di San Bartolomeo della fotografia… poiché a una felicità da forsennati o da fessi della tecnologia… preferiamo di gran lunga il talento cinico/sarcastico di un bandito di confine… ci affranchiamo alla cattiva fama di uomini e donne che hanno fatto dell’arte, anche col fucile, per mettere fine alla mascherata generale.
La fotografia dell’esistenza emerge da una visione sensoriale della realtà e nello studio dei comportamenti mostra l’importanza antropologica dell’interrogativo… è una visione creativa che si relaziona con la verità e fa dell’immagine archetipica l’uscita dalla puerizia di una storia tradita o raccontata nelle mitologie della contemplazione. La fotografia dell’esistenza fuoriesce dalla relazione tra fotografo e soggetto e nella compartecipazione espressiva sbugiarda l’arbitrario e il consueto. La fotografia dell’esistenza si sottrae alla conoscenza normativa che attraversa il fare, dire, pensare, percepire della vita comune e trascolora l’immaginario sociale in coscienza del dovuto. Non ci può essere società giusta senza uomini e donne davvero liberi e una comunità è identitaria se conserva e raffigura le tracce della propria civiltà. L’essenza del valore di un popolo è data dalla significazione dei propri risvegli, che sono sempre quelli della libertà, della dignità e della conoscenza del diverso da sé che si fa storia.
A entrare con cura nel rizomario fotografico di Mazzacane possiamo vedere il rapporto stretto che intreccia lo sguardo del fotografo con i soggetti colti nel loro succedersi comunitario… non è reportage né fotografia occasionale o spontanea… è una sorta di empatia visiva che entra nel tessuto dell’esistente e ne riscatta la memoria storica. L’empatia, secondo la versione di Edith Stein¹⁰, è “un genere di atti, nei quali si coglie l’esperienza vissuta altrui”, una relazione tra persone, una percezione interiore come atto conoscitivo, particolare, che penetra nel mondo della persona incontrata e nel cogliere l’avvenimento (non importa con quali utensili espressivi) descrive il vissuto dell’altro, si fa interprete del proprio dolore o della propria felicità.
¹⁰Edith Stein, Il problema dell’empatia, Studium, 1998
La ritrattistica di Mazzacane non lascia spazio a fraintendimenti… le sue immagini si situano al di là del bene e del male e vanno a raccogliere quella verità che abita l’uomo interiore, dove ciascuno è ripreso nell’interezza di sé con la dignità che spetta solo a lui decidere come usarla… ricerca della conoscenza non significa giustificazione e abitudine alla condizione data, ma coacervo di incontri che figurano il bene comune fuori dall’umiliazione, dall’impoverimento e dal silenzio sistematico dei centri di potere. Lo stile dei gesti, abbigliamenti, pitture, deformazione dei corpi, danze, rituali, abitazioni, utensili, rappresentazioni teatrali, interpretazioni tribali… sono segni, passaggi, derive di una cultura che li ha prodotti e spesso di un’indifferenza istituzionale che li vuole cancellare o prostituire ai propri fini.
— “Il fotografo di strada e cliente”, “Guardia Sanframondi. Processione religiosa — fedeli incappucciati”, “Processione religiosa — bambina — personificazione della Castità”, “Processione religiosa — bambini travestiti da angeli e Vergine Maria — croce”, “Processione religiosa — fedele incappucciato — croce”, “Processione religiosa — fedele con crocifisso — fedeli trasportano una statua raffigurante la Pietà”, “La festa dei gigli di Nola” —… sono immagini che vanno oltre l’evento fotografato e diventano patrimonio artistico comune che nessuna ingerenza statuale o del malaffare può distruggere. Feste, tradizioni, epifanie transculturali respingono le brutalità dei prepotenti, raggiri dei demagoghi, interessi criminali e ciò che resta sulla pelle della storia è la bellezza e la giustizia come tracce dei padri e il rispetto della loro eredità. Le inquadrature di Mazzacane sono asciutte, mai celebrative, anche severe, spurie d’ogni concessione mercantile… danno l’esatta misura del degno a ogni persona ed esprimono con forza la ricchezza del passato, del presente e del futuro di una civiltà. Il fotografo napoletano dà ai ritrattati l’uguaglianza fra tutti e porta alla luce della cartografia fotografica quella bellezza — sovente nascosta — che restituisce alla semplicità degli ultimi, degli esclusi, degli emarginati il giusto e ciò che appartiene loro: la bellezza è la forma compiuta della giustizia e sta alla fine della dissoluzione della sofferenza.
L’immagine antropologica di Mazzacane compie uno “sradicamento” della viltà predominante… si chiama fuori dalle trappole dell’idiozia corrente e dalla violenza della vita devalorizzata dal mondano d’autore… è una fotografia dell’anima popolare che riporta alla capacità di commuoversi e risvegliare valori e disvalori — mai capiti a fondo — di un popolo antico che da sempre ha conosciuto la bellezza e la bruttura, lo spirito e la carne, le fiamme e il sangue… lo splendore meridiano di un pensiero sublime, nobile, eversivo che ha attraversato epoche di lacrime e gioie, senza mai perdere la capacità di ridere sul proprio avvenire.
Per non dimenticare. Il libro di Mazzacane e Lombardi Satriani, Perché le feste. Un’interpretazione culturale e politica del folklore meridionale (corredato da un importante intervento di Goffredi Fofi)¹¹, è il crogiolo di un dibattito culturale-politico negli anni ’70, animato nei lavori di Lombardi Satriani — Il folklore come cultura di contestazione (1966), Antropologia culturale e analisi della cultura subalterna (1968), Folklore e profitto. Tecniche di distruzione di una cultura (1973), Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud (1974) — ed esprime al meglio la forza del pensiero meridionalista d’impegno civile. La religione popolare urbana, il teatro popolare, i rituali della camorra o gli inganni della politica che fuoriescono dalle immagini di Mazzacane fanno da ponte alle parole di Lombardi Satriani e forniscono strumenti per formulare domande… chiedere conto di verità poco esplorate… la ricercazione di visioni vilipese, calpestate, ingiuriate che ne reclamano la fine. I materiali visivi di Mazzacane si oppongono al bozzettismo, al pittorialismo, al cartolinesco spesso usati per raccontare Napoli, il territorio campano e l’intero Sud… sono indagini tematiche specifiche che dirottano fuori dalle immagini stereotipate, servizi televisivi o reportage d’immediato consumo… le fotografie di Mazzacane intervengono sulle difficoltà dell’esistenza e figurano i bisogni d’identità mai perdute della comunità meridionale… sono icone a volte grezze, altre aggraziate, spesso un tratto di unione fra il mistero della sacralità e la vita stessa.
¹¹Lello Mazzacane, Luigi Maria Lombardi Satriani, Perché le feste. Un’interpretazione culturale e politica del folklore meridionale, Savelli, 1974
La visione antropologica della fotografia di Mazzacane, s’inserisce nell’iconologia vita-morte senza nessuna dichiarazione di giudizio… i simboli, i riti, la coralità dei culti sono espressioni ancestrali di una popolazione che è riuscita a trovare ricchezze comunitarie nella sua infinita povertà. Il fotografo non rinuncia a contrapposizioni polemiche e contrasti politici che le sue immagini suscitano nei dibattiti dell’epoca tra classe e potere… specie la partitocrazia della sinistra non sempre riusciva a comprendere che in quelle fotografie c’era anche l’interrogazione delle gerarchie ecclesiastiche e ideologiche che discettavano nell’inganno sui fasti del Paese… in questo viatico figurativo, l’iconografia di Mazzacane raggiunge la pienezza dell’origine, poiché l’amore per la vita non appartiene a nessuno, se non ai sogni dei quali via via si libera.
L’antropologia visuale di Mazzacane… decifra la parola, il canto, il gesto prima dell’avvento o del miracolo… accoglie l’uomo fuori da tutte le convenzioni/convinzioni e non si lascia recintare da universi convenuti… l’immagine succede al pensiero come il dialogo al frammento, si distende nelle pieghe del linguaggio abrasivo e raschia le limitazioni… i perseguitati, i banditi, gli esiliati, i poeti dell’amor fou attingono al dolore dei secoli e attraverso l’indignazione, il grido, il cerimoniale come griglie di convivenza o di riprovazione, ritrovano l’appartenenza originaria dei propri principi. Sotto un certo taglio ereticale, il portolano figurale di Mazzacane è ateologico, apofatico, fantasticante… un cielo di tenerezza disseminato di venture irriducibili… dove il divenire è il tempo dell’indicibile, il passato il tempo dell’uomo che rammemora ciò che è stato e avvalora ciò che non è più.
I volti, i corpi, le posture, i gridi, i canti, le gesta primordiali dei fotografati di Mazzacane si richiamano a infanzie interminabili e si oppongono al brutto e all’osceno di molta fotografia fantasmata come “arte” del sociale… rimandano all’innocenza della vita buona o alla speranza, anche disperata, della comunione felice o riuscita che lascia libera l’umiltà come somma di molte grandezze, specie quelle della gratitudine, dell’accoglienza, della caparbietà a respingere l’ingiustizia dappertutto e affrontare sacrifici, anche i più estremi, per il conseguimento di una società meno feroce. Tutti nascono con le ali della tenerezza, ma solo chi sogna un mondo più giusto e più umano impara a volare. L’amore dell’uomo per l’uomo è in ciascuno e la felicità è al fondo del buon uso dell’amore (come dell’indignazione), non perché ci sentiamo amati, ma perché riusciamo ad amare il diverso da sé soltanto se facciamo dell’amore il pane di tutti e riconoscere il senso dell’umano nell’uomo.
Altri articoli di questo autore
Parthenope (2024) di Paolo Sorrentino
Edward Steichen – Sulla fotografia nel boudoir
Edward Steichen – L’impiccagione della fotografia come una delle belle arti
Terry Richardson. Sulla fotografia consumerista
Terry Richardson. Sulla fotografia che uccide la fotografia
Francesca Grispello. Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e l’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza
Miseria della fotografia nella civiltà dello spettacolo
Pierangelo Campolattano – L’agente di custodia-fotografo del carcere dell’isola di Gorgona
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte settima e ultima)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte sesta)
La zona d’interesse (2023) di Jonathan Glazer
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte quinta)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte quarta)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte terza)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte seconda)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte prima)
Commentari sulla macchina/cinema nello spettacolo dell’Apocalisse
Ognuno per sé e la fotografia contro tutti! – quinta parte
Ognuno per sé e la fotografia contro tutti! – quarta parte
Ognuno per sé e la fotografia contro tutti! – seconda parte
C’è ancora domani (2023), di Paola Cortellesi
Ognuno per sé e la fotografia contro tutti!
LA CITTÀ DELL’ACCIAIO NELL’ARCHIVIO FOTOGRAFICO LUCCHINI PIOMBINO 1940 / 1990
Diane Arbus Della fotografia trasgressiva. Dall‘estetica dei “Freaks” all‘etica della ribellione (Parte prima)
Gisèle Freund – Sulla fotografia delle passioni
Marialba Russo – Sulla fotografia mediterranea
Francesca Woodman – Sulla fotografia dell’esistenza
GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI: IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA 4° Parte
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte sesta)
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte quinta)
Gente dell’Arcipelago Toscano Ritratti di mare, di pietra, di ferro, di vento
GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI: IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA 3° Parte
GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI: IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA 2° Parte
GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI: IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA I° Parte
PAOLA AGOSTi – Sulla fotografia DELL’INDIGNAZIONE
Nancy “Nan” Goldin è una fotografa di notevole talento visionario.
ALEXANDRA BOULAT – Il coraggio della fotografia
GIAN PAOLO BARBIERI – SULLA FOTOGRAFIA DELLA SEDUZIONE
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte terza)
André Adolphe Eugéne Disderi sulla fotografia della “BELLA” BORGHESIA
Giuseppe “Gegè” Primoli Conte e fotografo della belle époque
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte seconda)
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte prima)
Album Auschwitz sulla fotografia criminale nazista (parte terza)
Album Auschwitz sulla fotografia criminale nazista (parte seconda)
Album Auschwitz sulla fotografia criminale nazista (parte prima)
Tommaso Le Pera Della fotografia immaginista scritta sull’acqua del teatro e sulla filosofia gnostica degli occhi chiusi (parte IV))
Tommaso Le Pera Della fotografia immaginista scritta sull’acqua del teatro e sulla filosofia gnostica degli occhi chiusi
Fino all’ultimo respiro del cinema-Duende di Jean-Luc Godard
Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
No comment yet, add your voice below!