La prima volta che mi sono recata negli Stati Uniti sono partita con grande entusiasmo, un avventura di 8,500 km attraverso 9 stati Illinois, Iowa, Dakota del sud, Montana, Wyoming, Arizona, Colorado, Nebraska. Ho visitato Chicago e Salt Lake City, due metropoli molto diverse tra di loro, la prima culturale e maestosa, la seconda in parte religiosa in quanto città fondata dai mormoni e in parte ricca di percorsi naturalistici famosa per attività ricreative all’aria aperta. Luoghi storici quali il Monte Rushmore, Little Bighorn, La Mesa Verde. Ho attraversato Yellowstone, Arches, Bryce Canyon,Grand Canyon da nord, la Monument Valley e l’Antelope Canyon. Luoghi turistici ma anche solitari fuori dai circuiti tradizionali.
Ho attraversato metropoli e città abbandonate, luoghi dove il tempo si è fermato, strade infinite e coltivazioni di cui non si vedeva la fine.
Ho portato con me la mia Nikon D 3000 con l’obiettivo per reflex AF5DX18/55 VR.
Il viaggio è iniziato da Chicago, metropoli tra le più grandi degli Stati Uniti. Situata sul lago Michigan, nonostante la dimensione è sembrata ai miei occhi stupefacente. Il traffico scorre sotto la città, l’architettura moderna con i suoi grattacieli all’avanguardia, i giardini e i musei, la identificano come una città a misura d’uomo, multiculturale, abitata da molti afroamericani, gli unici che ho incontrato per tutto il resto del viaggio.
Attraverso pianure sconfinate sono giunta ai piedi del Monte Ruschmore dove si radunano ogni giorno in pellegrinaggio centinaia di reduci di guerra in una sfilata continua che segue un protocollo preciso, uno spettacolo tipicamente nazionalista americano.
Da qui tappa sulle alte pianure ventose e sconfinate del Montana a Little Bighorn triste luogo di battaglia tra Caster e i nativi americani dove mi sono fermata ad ascoltare il rumore del vento.
Abbiamo continuato il nostro viaggio nei luoghi incantati dei parchi che mi hanno rapita, ho documentato attraverso la fotografia animali liberi che vivono in condizioni estreme, ho fotografato un piccolo scoiattolo pochi istanti prima di essere morso da un crotalo, i bisonti imponenti con passo lento lungo la strada un coyote tranquillo in cammino. Sono rimasta colpita dalle dimensioni dei tacchini selvatici e dei corvi, i nidi delle aquile su alti spuntoni di rocce e il loro volo maestoso e i minuscoli colibrì così piccoli e veloci cui ho dedicato tempo e pazienza per riuscire a fotografare. Ho ammirato i geyser e i loro getti di acqua calda provenienti dalle viscere della terra i colori delle caldere, numerose nel parco di Yellowstone che creano tavolozze dipinte nella roccia calcarea, laghi e cascate imponenti, i silenzi e i rumori, i temporali improvvisi e gli arcobaleni, le sequoie secolari, gli enormi archi di roccia e il deserto di terra rossa; l’immensità della Monument Valley e la cura nel preservare la natura da parte dei rangers insomma, emozioni attraverso la visione della vera essenza della natura.
In questo viaggio ho dedicato tempo alle persone con il mio inglese easy, così definito da una signora incontrata durante un bagno nella piscina dell’hotel. Non posso scordare gli incontri con la gente di cui ho avuto l’impressione che nonostante la loro forte identità americana fossero figli di mondi completamente diversi tra uno stato e l’altro.
Ho rubato scatti di vita quotidiana, persone al lavoro, a passeggio per la strada, nei mercati della riserva indiana, nei Motel, nei locali, girotondi innocenti di bambini, durante il brunch domenicale.
Più volte sono stata fermata per strada e mi hanno raccontato dei loro antenati venuti dall‘Italia, ho ascoltato storie, ho osservato curiosa gli indiani nelle loro riserve con banchetti di fortuna nei mercati frequentati solo da indigeni. L’incontro sorprendente è stato quello con un indiano appartenente alla tribù Navajo di cognome Bruno’s; mi ero fermata per comprare da lui bracciali e collane di turchesi quando sentendo parlare italiano si illuminò nel volto e cominciò a raccontare del suo bisnonno, un tale bambino biondo di nome Bruno, rapito dagli indiani mentre transitava su una carovana con la sua famiglia nelle zone della Monument Valley alla fine dell’ 800.
Bruno venne cresciuto nella riserva e divenne il capo tribù.
Nella sua lunga vita ebbe molte mogli e figli di cui lui era un discendente. Tante storie e tanti luoghi che rivivono attraverso le fotografie.
Mi diverte catturare la meraviglia per ricordare. Così ho fatto in questo viaggio. Finisco con un’immagine, un nido in una insegna, il particolare SE che lascia aperte nuove speranze e nuove avventure.
Biografia
Patrizia Cerrato (Asti 1961)
Infermiera di professione fotografa per caso. Sono sempre stata attratta dalla fotografia sin da piccola, ho frequentato l’istituto d’arte, mi sono avvicinata allo studio dei grandi fotografi, la predisposizione ad un approccio visivo ha trovato terreno fertile nella fotografia dove non ho mai cercato la perfezione ma il desiderio di fermare l’attimo quell’attimo già svanito. Fotografo per ricordare, per divertirmi e rilassarmi, comunicare ma anche isolarmi e osservare ciò che mi circonda. Non mi colloco in nessun gruppo particolare, non sono amatoriale, assolutamente non professionista, cosa sono ? Ho cominciato da piccola a fotografare il mondo intorno a me con una macchina fotografica usata da papà tale COMET II, sono passata ad una Pentax K 1000 totalmente manuale per poi utilizzare reflex NIKON. Attualmente ho una NIKON D3000. Uso la fotografia per fermare l’attimo quell’attimo che svanisce, fotografo con curiosità senza un progetto definito, mi sento anarchica nello scegliere chi e cosa fotografare e spesso rubo attimi alle persone che trovo sul mio cammino.
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